Comandamenti
Introduzione
All’inizio di ogni omelia ho offerto queste brevi riflessioni a commento dei comandamenti. Desideravo, e desidero ancora, aiutare i miei parrocchiani, anche virtuali, a riflettere sulle dieci parole con cui Dio vorrebbe regolare la vita dell’uomo, che lui ha creato e continua ad amare. Queste parole di Dio sono sapienza e grazia, sono dono che fanno crescere la pace nel cuore dell’uomo e l’armonia nella società. Quando queste parole vengono dimenticate o disattese nascono i problemi e aumentano le sofferenze per popoli interi e per secoli.
Don Vigilio Covi
“Dio allora pronunciò tutte queste parole:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio.
Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo»” (Es 20,1-17).
Leggeremo i comandamenti con semplicità e brevemente. Mio intento sarà solo suscitare in voi il desiderio e la volontà di continuare la vostra istruzione, o frequentando dei momenti di catechesi, o almeno leggendo il catechismo!
Quando il giovane che possedeva molte ricchezze si affrettò correndo per chiedere a Gesù cosa “fare per avere la vita” di Dio in sé, il Signore, prima di rispondere alla sua domanda, volle accertarsi: “Tu conosci i comandamenti, «non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre»” (Mt 19,18). Ottenuta una risposta positiva, Gesù lo ha fissato con uno sguardo di particolare amore e gli ha fatto la proposta che tutti conosciamo. Prima di tutto però il Signore ha messo quel giovane di fronte alla parola della sapienza che regola la vita di ciascuno e di tutto il popolo: i Comandamenti! Questi quindi sono importanti, ci preparano ad accogliere le ulteriori parole di Gesù. Egli non se la sente di chiamare qualcuno alla propria sequela se non dopo esser sicuro della sua volontà di obbedire a questa parola di Dio! Obbedire ai comandamenti è perciò preparazione all’accoglienza del Vangelo. Gesù è stato accolto più facilmente da coloro che prima avevano aderito all’annuncio di Giovanni Battista, che proponeva a tutti di confessare i propri peccati!
2. È facile pensare che per «essere a posto» basti osservare i due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo: chi riesce ad amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi è infatti vicino al regno di Dio! Gesù stesso ha detto che da questi comandi “dipende tutta la legge e i profeti” (Mt 22,40). Ma cosa significa amare Dio e il prossimo? Li amiamo davvero? Non cerchiamo talvolta, forse anche senza accorgerci, una qualche gratificazione sia da Dio che dal prossimo? Non ci sfugge talora qualche aspetto della vita in cui siamo convinti di aver cento ragioni per fare come ci piace, ma non abbiamo la ragione più grande, quella di Dio? Ci è certamente d’aiuto un elenco degli aspetti salienti della vita personale, familiare e sociale, per ricordare come l’amore di Dio e del prossimo penetra in profondità in ogni situazione e in ogni tipo di rapporto. Ecco allora i dieci comandamenti, un promemoria per illuminare i vari aspetti della nostra vita con la luce di Dio. Essi sono stati scritti dal dito di Dio su tavole di pietra: espressione concreta che sottolinea l’importanza e la grandezza di queste parole, che non possono essere cancellate da nessuno. Esse sono riportate in più pagine della Sacra Scrittura, in particolare nel libro dell’Esodo, quando viene narrato il passaggio del popolo d’Israele nel deserto. Là il popolo doveva essere preparato ad innamorarsi di Dio dopo aver lasciato gli idoli, le immagini cioè che di Dio l’uomo può creare nella propria mente e a cui può attaccare il cuore: siamo sempre tentati dai nostri istinti, e perciò con facilità ci inventiamo un’immagine di divinità che ci lasci fare ciò che ci piace! Ecco allora le dieci parole (Es 20,1-17), riassunto di un insegnamento sapiente, che fa invidia agli altri popoli (Dt 4,8) e ci custodisce dall’inganno dei nostri ragionamenti e delle nostre immaginazioni: queste parole sono come i titoli di dieci grandi capitoli che ci insegnano e ci aiutano a vivere l’amore di Dio e l’amore del prossimo!
3.
I dieci comandamenti, così come ci vengono dall’Antico Testamento, potrebbero essere presi alla lettera, ed allora lascerebbero spazio ancora alle opinioni e interpretazioni guidate dai nostri egoismi. Gesù se n’è accorto, e perciò ha dedicato parte del suo insegnamento a correggerne gli errori di interpretazione e a completarne la comprensione alla luce del suo Spirito, lo Spirito che dal cielo è sceso su di lui! Nel discorso della montagna, nel vangelo secondo Matteo, per ben sette volte Gesù dice: “Ma io vi dico…” (5,20ss). In quelle pagine l’evangelista ci fa vedere Gesù che passa in rassegna alcuni dei dieci comandamenti facendoci vedere come essi non vanno presi alla lettera, bensì come spunto per comprendere in quali direzioni deve svilupparsi l’amore che il Padre ha deposto in noi. Gesù ci diventa maestro così nel vedere come l’obbedienza a Dio non alimenta in noi un senso di costrizione, ma apre la mente e il cuore ad esercitare e sviluppare le nostre energie più belle e più profonde. Leggendo i dieci comandamenti dovremmo sempre tener presente che il vero interprete di essi è Gesù, e noi solo nel suo Spirito possiamo comprenderli e viverli. Questi comandi non sono delle leggi fredde dateci a capriccio da un Dio che vuole imporsi come nostro padrone, ma dal Padre che ci ama e che non vuole che mettiamo la nostra vita su strade che ci portano all’infelicità o a procurare sofferenza agli altri suoi figli.
4.
Mosè è salito sul monte a pregare, ad incontrare Dio nel silenzio. È là che ha ricevuto le norme per il popolo: fino a quel momento poteva seguire solo la legge che ogni uomo si ritrova scritta nel cuore. In molti punti la legge scritta nel cuore combacia con quella scritta dal dito di Dio sulla pietra, e allora perché questa? Era necessaria? È facile ingannarsi e passar sopra a quanto il nostro cuore e la nostra coscienza ci dettano. È troppo facile far tacere la nostra coscienza. Questa, purtroppo, si lascia convincere spesso da egoismi più o meno violenti. Una parola che ci viene dall’esterno, a conferma della voce interiore, è un aiuto, un sostegno. In un popolo poi non tutte le persone giungono a percepire allo stesso tempo e allo stesso modo la voce interiore: per un popolo è necessaria la legge promulgata, perché regga la vita di tutti e unisca così tutti in un’unica obbedienza. Non diremo poi mai abbastanza che i comandamenti non sono tutto: per l’uomo non è sufficiente obbedire ai comandamenti. Chi obbedisce ai comandamenti può sentire ancora del vuoto nella propria vita, proprio come il giovane che ha rincorso Gesù mentre usciva per mettersi in viaggio. Vivere i comandamenti è solo una preparazione ad incontrare il Signore. Egli può certamente farsi incontrare anche da chi è al di fuori di questa obbedienza, come è successo a Zaccheo e a molti altri nella storia. Chi però desidera Gesù coscientemente non può presumere di incontrarlo al di fuori di questa strada che egli stesso ha indicato: sarebbe un tentare Dio, un orgoglio che impedisce a Gesù stesso di avvicinarsi, come è successo ad Erode: questi avrebbe voluto vederlo, ma senza fare la minima fatica per obbedire ai comandamenti che conosceva e disprezzava.
5.
L’elenco dei dieci comandamenti inizia con una frase di introduzione: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù». Di solito noi diciamo solo la prima parte della frase, e basterebbe. Prima di offrirci i suoi comandamenti, o meglio le sue parole di sapienza (così si dovrebbe tradurre il termine ebraico usato nel testo sacro!), Dio si presenta al suo popolo. Egli è Dio, un Dio del cui amore abbiamo già esperienza. Egli ha tolto il popolo dalla schiavitù e gli ha donato il bene più grande, la libertà! Il desiderio e la volontà di Dio quindi va in questa direzione. Affinché il popolo possa continuare a godere della libertà, e questa aumenti per una gioia sempre più profonda, egli dona i suoi sapienti orientamenti. I comandamenti vengono quindi da un Dio vero, un Dio che ci ama, un Dio che è al di sopra di tutti quelli che si fanno ubbidire come divinità solo a proprio vantaggio, ad esempio come il faraone d’Egitto. Io sono il Signore tuo Dio: «sono io che mi curo di te, sono io che ti amo e voglio davvero il tuo bene, io che non ho interessi miei, io che ho l’unico interesse di procurare a te il bene e la pienezza di vita. Io ti ho già messo in situazione di libertà e voglio rispettare fino alla fine la tua libertà, ma ti offro pure le regole perché tu non ti lasci ingannare e precipiti in nuove schiavitù peggiori di quella d’Egitto. Le dieci parole che udrai vengono da me, dal mio amore e dalla mia sapienza: non sottovalutarle, non ignorarle, non nasconderle, ma vivile sempre, quando nessuno ti vede e quando sei in posti di responsabilità nella società. Questa non può che essere arricchita e migliorata dalla tua obbedienza ai miei insegnamenti».
II. Non avrai altro Dio all’infuori di me
6.
Cominciamo a vedere il primo comandamento: Non avrai altro Dio all’infuori di me! Questo è il primo, non solo perché il primo ad essere pronunciato, ma anche nel senso che sostiene tutti gli altri, come il primo anello di una catena sostiene tutti gli altri anelli. Tutti i comandamenti infatti traggono la loro forza da questo! È possibile che ci sia un altro Dio? Se Dio è il Creatore di tutto, non è possibile che ve ne siano altri! Eppure che differenza tra il Dio che conosciamo noi cristiani e quello che conoscono i musulmani o quello temuto dagli animisti dell’Africa! Ci sono differenze abissali, tanto che noi dobbiamo dire loro: il vostro Dio non è il nostro! Cioè: la conoscenza di Dio che voi avete non corrisponde alla nostra! E arriviamo alla conclusione: gli uomini adorano molti dèi! Ma che cosa significa la parola « Dio »? Con questo termine intendiamo quel Qualcuno o qualcosa su cui ci appoggiamo per avere sicurezza, garanzia per il futuro, salute, vita, realizzazione dei nostri sogni, soddisfazione e successo in tutte le situazioni. Per questo possiamo dire che ci sono tanti “dèi”. Anche a noi talora è capitato o capita di dare tutto il peso e di porre tutta la speranza nel possedere una determinata cosa o nel raggiungere un determinato obiettivo: diciamo che uno ha come proprio dio il denaro, oppure il pallone, o la moda, o la discoteca, o la casa, o la tintarella, o l’automobile, o il lavoro, ecc.! Non avrai altro Dio all’infuori di me! Questa parola deve rimanere impressa nella nostra mente, confortati da molte altre affermazioni della S.Scrittura: “Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non ce n'è altri” (Is 45,22)!
7.
Non avrai altro Dio all’infuori di me! Chi è il Dio che parla qui? È Colui che può aggiungere: “Ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto”! È colui che si è curato del popolo e della sua libertà, che ha mantenuto le promesse di salvezza e che quindi può dare ancora suggerimenti; è l’unico di cui siamo certi che i suoi comandi non nascondono secondi fini, e che non vuole ingannarci nè deluderci: “Io sono Dio, sempre il medesimo dall'eternità” (Is 43,12-13). Noi poi, vivendo nel tempo nuovo e conoscendo questo Dio dalla vita di Gesù, sappiamo che egli è il Dio che sa cosa ci è necessario, è colui che fa sorgere il sole e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, che conta i capelli del nostro capo, che ha mandato il Figlio a soffrire per noi. Non avrai altro Dio all’infuori di me! Non cercheremo la nostra sicurezza in nessun altro, non daremo la nostra fiducia ai sogni della nostra fantasia e della nostra bramosia, non ci faremo comandare o guidare dalle cose, dal denaro, dal successo, dalle mode umane, dai divertimenti. Dio stesso ce lo proibisce perché ci vuol bene, e sa che se cercheremo la nostra gioia al di fuori di lui avremo null’altro che delusioni e sofferenze. Non saremo capaci di sostituire l’amore del Padre con qualcosa che noi stessi possiamo scegliere o dominare, qualcosa che ubbidisce a noi! La fede nel Dio vero è fatica, richiede responsabilità, mentre la via facile dell’egoismo non ci dà quella soddisfazione che troviamo nell’amare e nell’essere amati!
8.
Non avrai altro Dio all’infuori di me! Questa frase ci fa venire alla mente quel: “Non abbiamo altro re che Cesare”, detto dai capi Giudei a Pilato. Essi abiurarono così la fede nel Dio d’Israele, rinnegando del tutto Gesù e ricattando pesantemente il governatore romano. Quando si dà fiducia, invece che al Padre, a uomini, o addirittura a cose o animali, come prima conseguenza viene eliminato Gesù dalla propria vita e vengono condizionati pesantemente gli altri, a partire dai propri familiari. La fiducia va data solo al Padre! Purtroppo quando Dio non viene più visto come Padre diventa quasi automatico ricorrere ad altri espedienti, dando fiducia persino a maghi, medium, oroscopi, amuleti, portafortuna, sortilegi, chiromanzie, cartomanzie, e persino negromanzie (interrogazione dei morti)! Rifiutano il rapporto di fiducia con Dio e perciò peccano gravemente quelli che si fanno leggere mani o carte o cristalli o fondi di caffè o altro ancora per conoscere il proprio futuro o per farsi consigliare i passi da compiere nella vita. E peccano in modo gravissimo coloro che ricorrono a queste persone addirittura con l’intento di creare legami d’amore o di pagare il diavolo perché danneggi la salute o faccia morire i propri “nemici”! Coloro che fanno i maghi poi, anche se non si fanno esplicitamente aiutare dal demonio, ma soltanto approfittano della creduloneria dei loro clienti per spillare denaro, commettono gravissimo peccato contro Dio e contro gli uomini! Dice infatti la Scrittura: “Non si trovi in mezzo a te … chi esercita la divinazione o il sortilegio o l'augurio o la magia; né chi faccia incantesimi, né chi consulti gli spiriti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore”. (Dt 18,10-12)
9.
“Non avrai altro Dio all’infuori di me”! Ho richiamato l’attenzione su un aspetto che per molti di noi è sconosciuto, ma che purtroppo crea e diffonde molte sofferenze. È quella mancanza di fede in Dio Padre che lascia spazio alla superstizione e al desiderio di ricorrere al mondo occulto. Voi vedete spesso sugli strumenti di comunicazione le promesse di maghi e medium che assicurano felicità, denaro, salute con i loro mezzi magici, con amuleti, portafortuna, con sistemi strani mai verificabili. Perché Dio non vuole che i suoi figli si avvicinino a questo mondo occulto? Egli ci ama, e sa, come del resto noi stessi dobbiamo riconoscere, che qui c’è inganno, non solo l’inganno dell’uomo, ma, peggio ancora, l’inganno del maligno. Questi attira con promesse di bene e di benessere, e talvolta mantiene per un po’ queste promesse, ma poi trascina con sè le persone togliendo loro la pace, fino a mettere dentro di esse il desiderio del male e la volontà di realizzarlo. L’interesse per queste pratiche e la non decisione a rifiutarle subito può portare talora a rimanere intrappolati in gruppi e sette organizzati da persone maligne intenzionate a eliminare del tutto la fede e ogni comunione, quella con i familiari e quella con i cristiani. Ci sono gruppi di adulti che, con la suggestione dell’occulto, attirano ragazzi e giovani in gruppi e gruppetti, li trascinano a ribellarsi ai genitori, e così un po’ alla volta li condizionano e li ricattano, tanto che non possono più astenersi nemmeno dal compiere altro male. Vengono in tal modo predisposti ad entrare in quelle stesse formazioni di adulti che possono davvero portare il nome di regno di Satana! Spesso l’interesse dell’occulto prende il via da pratiche di medicina o ginnastica alternative: non è la medicina o la ginnastica ad averne colpa, ma la nostra poca attenzione o nulla preparazione a discernere gli eventuali pericoli dello spirito che vengono abbinati a quelle pratiche. Dobbiamo essere decisi ad osservare il primo comandamento, amando il Signore con tutto il cuore, cercando di farci aiutare a conoscere la sua volontà per divenire strumento del suo amore per tutti gli uomini!
10.
Mi chiedo spesso come può fare un cristiano ad osservare il primo comandamento. So che Dio è il mio Dio, mio Padre, fonte della mia vita e della mia gioia, che vuole liberarmi da ogni male e farmi vivere in comunione con sè e con gli altri uomini. Cerco di ricordarlo e di orientare ogni mia giornata e ogni mia azione a questa luce. Tengo vivo il contatto con lui pregando. La mia prima preghiera sarà un grazie. Gli dirò grazie perché egli continua a farmi conoscere il suo amore e i suoi pensieri attraverso Gesù! Dopo il grazie, la lode e l’ammirazione per ogni sua opera, anche per i fiori e le montagne, ma soprattutto per la salvezza dal peccato. Tengo viva nel cuore la richiesta di perdono, perché ogni giorno anch’io do spazio al peccato del mondo, e perché i miei piccoli o grandi peccati hanno rovinato la creazione e l’immagine di Dio in me per i fratelli. Chiedo il suo intervento in ogni momento: senza il suo Spirito nulla è veramente buono, senza la sua forza nulla sarà fecondo di vera comunione, senza la sua luce nulla sarà sapiente! Chiedo a lui l’intervento nelle difficoltà, con fiducia, sapendo anche che egli conosce meglio di me quanto serve al mio vero bene e al bene di quelli che amo, perché egli è Padre che mi ama e ci ama. Mi affido a lui e desidero imitarlo, desidero avere in me le stesse sue qualità di misericordia e fedeltà, di benevolenza e gratuità! Desidero vederlo, udirlo soprattutto, e perciò cerco la « Parola » che egli ha consegnato agli uomini, il suo Figlio diletto, Gesù! Tutto questo voglio che formi la base di ogni mio pensiero e che traspiri in ogni mia conversazione! So che non mi bastano cinque minuti al mattino e dieci alla sera per nutrire questo rapporto di figlio con il Padre, ma almeno di questo minimo non mi voglio privare! So che se lascio perdere la preghiera al mattino e alla sera, in poco tempo influiranno su di me con forza i modi di pensare superficiali e vuoti del mondo che mi circonda! Quando mi prendo tempo per ascoltare e meditare, ringraziare e lodare il Padre, allora cresce anche la mia libertà e la mia pace! In tal modo cerco di vivere la sapienza del primo dei comandamenti del mio Dio!
11.
Ripensando al primo comandamento devo far menzione di una mentalità diffusa. Con facilità ragioniamo così: « Dio di certo non vuole che io soffra! Certamente Dio vuole la mia gioia! Dio non ci ha messo al mondo per soffrire! » Queste frasi possono trovare giustificazione e appoggio nella S. Scrittura e nella nostra sana concezione di Dio. È vero, Dio vuole la nostra gioia e la sofferenza è entrata nel mondo non per volere di Dio, ma per l’invidia del diavolo (Sap 2,24)! Guai però se dimentichiamo i modi di fare di Dio! Non per nulla egli introduce il primo comandamento dicendo “Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto”! Egli ha fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto, lo ha tolto da quella sofferenza, ma prima di dargli la gioia del paese dove scorre latte e miele lo ha fatto passare per la tremenda esperienza del deserto! Nel deserto il popolo si è dovuto spogliare di tutto quello che aveva, anche dei sogni e soprattutto dello spirito di orgoglio e di ribellione, e questo è avvenuto tramite privazioni e tribolazioni. Dio vuole la nostra gioia e ci prepara ad essa, con una preparazione che fa soffrire! Così il Padre ci ha preparati ad accogliere la risurrezione di Gesù dopo la sua tremenda passione e morte! Le frasi entrate nel nostro dire quotidiano e ricordate sopra, vengono usate spesso per giustificare il rifiuto della croce, persino il rifiuto dei momenti difficili della convivenza degli sposi, e quindi per giustificare separazioni e infedeltà coniugali. Dio può anche permettere che soffriamo, che portiamo il peso dei nostri peccati e di quelli delle persone che amiamo. In seguito, dopo la pazienza e dopo l’amore fedele che costa e quello che perdona, viene la gioia più pura, più bella, più santa e duratura!
12.
Il primo comandamento continua con queste parole: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio” (Es 20,4-5). Di qui ha origine l’assoluto rifiuto di ogni immagine da parte di ebrei, musulmani e Testimoni di Geova. Le immagini però vengono proibite da Dio perché non diventino idoli, non siano cioè messe al suo posto e rimanga così disattesa la sua volontà e l’uomo sia privato della vera vita! Da quando però il Figlio di Dio s’è incarnato, in lui Dio ha potuto esser visto, toccato, udito! In Gesù vediamo il vero volto del Padre, che ce lo ha mandato come “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15)! L’umanità di Gesù poté essere osservata: perciò una pittura o scultura che ci richiami i vari momenti della vita del Signore, e ci orienti così all’osservanza del suo comando di amarci gli uni gli altri, non può rientrare in questa proibizione! Le immagini pericolose e proibite sono quelle che cambiano i connotati di Dio, quelle che noi «immaginiamo», che dipingiamo cioè nei nostri pensieri, con le nostre idee e con i nostri gusti. Queste immagini se le «fanno» anche i Testimoni di Geova e i musulmani, anzi, proprio essi, che non sono disposti a ricevere in pienezza l’unica rivelazione offertaci da Gesù, si fanno un’idea di Dio che non corrisponde alla verità!
Il comando diventa positivo quindi così: accogli di Dio l’immagine che lui ti ha dato, conoscilo come lui si è voluto rivelare, adoralo come lui vuol essere adorato e ubbidito, ascoltalo tramite la voce di colui che egli stesso ha mandato per farsi conoscere, Gesù! Per obbedire a questo comandamento è necessario un ascolto continuato della Parola di Dio, perché il suo volto, i moti del suo cuore, i suoi desideri profondi per noi e le sue aspettative diventino il fondamento del nostro vivere e trasformino il mondo che ci circonda in una festa per tutti!
II. Non nominare il nome di Dio invano
13.
Il secondo comandamento nella Bibbia dice così: “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano” (Es 20,7). È una parola che riguarda il nome di Dio! Che cos’è il nome? È il termine con cui individuiamo e riconosciamo una persona tra molte altre. Qual è la parola con cui individuiamo il nostro Dio tra l’infinità di divinità adorate dagli uomini? Prima di Gesù egli veniva chiamato “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, e dopo Gesù “Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo”! Noi individuiamo Dio sempre con nomi di uomini, di persone concrete vissute su questa terra, così non corriamo dietro alle fantasie di qualcuno! Dio non è un’idea, ma qualcuno ben riconoscibile! Abramo gli ha creduto e gli ha ubbidito, e perciò la sua vita è stata plasmata dalla Parola che gli è stata rivolta! Gesù ci ha insegnato a chiamarlo Padre, come egli stesso faceva nella preghiera e negli insegnamenti. E pronunciare il suo nome “invano”, che cosa può voler dire? Il termine « invano » può esser tradotto « per niente », dove il niente è ciò che non esiste. Per la mentalità biblica ciò che « non esiste » sono gli idoli! Non tratterai Dio come fosse un idolo, un nulla che tu puoi mettere dove vuoi e di cui puoi pensare che ti permetta di fare quel che vuoi!
14.
Pronunciare il Nome ha il significato profondo di richiamare la presenza, e la presenza del Padre è Presenza di colui che ci ha creati, che ci ha amati fino al sacrificio del Figlio, che ci attende a farci partecipi della sua gloria! Le parole che lo caratterizzano, e quindi non solo il nome “Padre”, ma anche i titoli che usiamo per Gesù e i suoi santi, vanno usate con rispetto e amore! Usarle per discorsi inutili, futili o sconvenienti, oppure per giuramenti falsi o vani, o per vantarci e sostenere superbia e orgoglio, o per formulare scherzi e barzellette, sarebbe davvero offensivo e blasfemo. Non occorre poi nemmeno dire che la bestemmia, cioè l’uso di titoli ingiuriosi rivolti a Dio e ai suoi doni, è grave peccato: essa è prestar voce a Satana, il nemico di Dio e dell’uomo. Essa è un peccato talmente grave che in nessuna religione viene pensata la possibilità che gli uomini la pronuncino: si è diffusa solo tra i cristiani, che non hanno paura di lui perché sanno che Dio è buono e non si sente offeso! Certamente Dio non si sente offeso, perché nessuna bestemmia lo tocca, anzi, egli ha compassione dell’uomo che la pronuncia, perché lo vede già vinto e in balia di Satana!
Nelle Sacre Scritture, come nel Vangelo, quando si parla di bestemmia s’intende soprattutto l’attribuire a Dio le opere del Maligno e al Maligno le opere di Dio! Ci guarderemo bene dal dare a Dio la colpa del male che gli uomini commettono! Gesù dice perciò che non troverà perdono colui che accusa Gesù di compiere le opere di Satana e di essere venuto a rovinare l’uomo. Infatti, se rifiuti l’unico Salvatore accusandolo di rovinarti, a chi ti rivolgerai per chiedere salvezza?
15.
Noi accogliamo il secondo comandamento come un invito a lodare e benedire il nostro Dio e Padre! Lo amiamo, e perciò parliamo volentieri con lui e, se ne abbiamo l’occasione, parliamo volentieri di lui. Facciamo conoscere a tutti la sua bontà e misericordia, la sua fedeltà e la verità delle sue parole! Non ci sogniamo nemmeno di insegnargli ciò che lui deve fare, come se egli non sapesse o fosse poco prudente o incapace di amare e di perdonare: lo ringraziamo invece per tutto ciò che succede di bello e di buono, ma accettiamo anche ciò che ci fa soffrire e lui permette, e in ogni nostra necessità attendiamo da lui il soccorso. Le preghiere dei Salmi ci sono di grande aiuto per esprimere le lodi di Dio e per scorgere in ogni situazione il suo intervento che salva, purifica, rinnova, corregge, consola, fa crescere! Cercheremo le parole più belle per parlare di lui, e quali espressioni potrebbero essere più belle delle sue? Usiamo perciò le parole che ci sono donate dalle Sacre Scritture per esprimere la nostra lode e il nostro ringraziamento! “Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene” (Sal 147). Possiamo imparare da tutti i santi, in particolare da Maria Ss.ma: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore!… Grandi cose ha fatto in me il Signore, e santo è il suo nome” (Lc 1,46)! Se preghiamo con la Chiesa, pregheremo tutti i giorni i Salmi, Parola di Dio, e, lodando così il Signore, crescerà la nostra conoscenza di lui e maturerà la nostra vita interiore!
III. Ricordati di santificare le feste
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“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro” (Es 20,8-11). È il terzo comandamento, molto dettagliato e lungo nella Bibbia. Per aiutarci a memorizzarlo il catechismo lo abbrevia così: Ricordati di santificare le feste! L’obbedienza a questo precetto ha fatto sì che il popolo d’Israele non scomparisse lungo i millenni, nonostante le gravi difficoltà e tentazioni cui è stato sottoposto. Il comandamento di osservare il sabato era profezia: il sabato era infatti attesa del Messia, giorno della speranza e di ardente desiderio, nella gioia della certezza di essere salvati da lui! Noi il Messia lo abbiamo riconosciuto in Gesù nel giorno della sua risurrezione dai morti, il giorno dopo il sabato, e lo abbiamo accolto. La profezia del sabato è quindi già realizzata; questo giorno è divenuto per noi solo preparazione del “giorno del Signore”, che celebriamo non solo con l’astenerci dai lavori che fanno pensare al guadagno, e quindi alle preoccupazioni terrene, ma soprattutto con il memoriale della morte e risurrezione di Gesù! Esso è pure il giorno in cui vogliamo far risplendere nelle famiglie e nelle comunità cristiane il più grande insegnamento del Signore, l’amore degli uni per gli altri.
17.
Ricordati di santificare le feste! È Gesù che dà significato a tutte le espressioni della fede, perché è lui lo Sposo che celebra le nozze alla cui gioia invita i discepoli. In vista di lui riceve nuovo significato il digiuno (Mc 2,20) e la gioia (Mc 2,19) e da lui prendono valore i giorni, perché egli è signore del sabato (Mc 2,26). È lui il vino nuovo che adopera otri nuovi (Mc 2,22) per essere conservato: la domenica è l’otre nuovo che conserva la gioia e l’amore dei cristiani per Gesù! Noi santifichiamo questo giorno. È un giorno separato dagli altri giorni. In esso compiamo ciò che Dio stesso compie quando santifica il suo Nome (Ez 36,23ss): ci raduniamo attorno a Gesù, purifichiamo il tempo e i pensieri dalla brama di compiere ciò che ci fa guadagnare denaro, che alimenta le passioni egoistiche; compiamo le azioni che portano in noi lo Spirito Santo, Spirito nuovo, che trasforma i nostri cuori di pietra in cuori di carne! Chi non santifica questo giorno disconosce la paternità di Dio, si allontana da lui e si priva delle gioie più belle rovinandosi l’esistenza. Chi non si raduna con gli altri figli di Dio, chi non purifica la mente e il corpo dai desideri dell’egoismo, chi non fa nulla per ricevere lo Spirito Santo (preghiera, celebrazioni, ascolto della Parola) non “santifica” la festa della risurrezione del Signore Gesù, e si sottomette al peccato, signore della morte. La partecipazione all’Eucaristia e ad altre preghiere, la pratica del soccorso ai poveri e ai piccoli, il dar sollievo e coltivare l’unità della propria famiglia, il collaborare alla costruzione della comunità, sono le azioni tipiche del cristiano che santifica le feste!
18.
La domenica è il primo ed è l’ottavo giorno in cui Gesù si è fatto presente ai suoi, riuniti nel cenacolo. Con la sua presenza ha benedetto il loro ritrovarsi e ha consacrato il giorno dopo il sabato, riservandolo all’incontro con lui! Vivendo il riposo, distacco dal peso del lavoro e dalle sue preoccupazioni, e vivendo la comunione gioiosa con i fratelli nella fede, noi anticipiamo la beatitudine del nostro traguardo, del paradiso! È un giorno di gioia! È giorno consacrato a Dio, non alla superficialità e all’egoismo. È il giorno in cui nella nostra vita deve risplendere l’amore del Padre, la comunione dello Spirito Santo, la sapienza della croce di Gesù! Chi pensa solo a se stesso in quel giorno o pensa soltanto a divertirsi, non lo santifica, lo svuota del suo significato, e a lungo andare, lo rende giorno della grande noia. La Chiesa, nella sua sapienza millenaria, dice a noi fedeli che è molto importante per la nostra vita sia l’astenersi dal lavoro che il partecipare all’assemblea liturgica: lo raccomanda con forza, dicendo che chi non lo fa commette colpa grave: infatti, in breve tempo non capirà più cosa significhi essere cristiano, si allontanerà dalla comunità e perderà ogni riferimento al vangelo. Vuoi santificare davvero il giorno del Signore? Partecipa attivamente alla celebrazione Eucaristica, organizzati per dedicare del tempo a persone sole o sofferenti, curati della comunione nella tua famiglia e nella tua comunità, anche, ma non solo, con giochi e attività divertenti e ricreanti. Trova soprattutto un po’ di tempo per la tua istruzione religiosa e per la preghiera. Il mondo di oggi si è organizzato in modo da invogliare persone e famiglie a trascorrere la domenica nei centri commerciali, per dedicare questo giorno agli acquisti necessari e superflui. In tal modo non solo molte persone vengono obbligate a lavorare in questo giorno, ma le famiglie vengono attirate a viverlo con superficialità e disimpegno spirituale. Io credo che il cristiano non deve appoggiare questa moda e deve non contribuirvi. Io ti esorto quindi a fare i tuoi acquisti in un giorno feriale: lascia che anche i commercianti e i loro collaboratori possano godere del giorno del Signore! Così faremo quanto già l’autore della lettera agli Ebrei diceva: “Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone, senza disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma invece esortandoci a vicenda; tanto più che potete vedere come il giorno si avvicina”(10,24s).
IV Onora tuo padre e tua madre
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Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti da il Signore, tuo Dio.
Il quarto comandamento è il primo che ci vuol rendere consapevoli delle nostre responsabilità verso gli uomini, e i primi uomini cui la Parola di Dio ci mette di fronte sono i genitori. Coloro che ci hanno dato la vita sono le prime persone che Dio vede accanto a noi, quelle che sono stati strumento del suo amore e della sua onnipotenza. Perché onorarli? Li onoriamo perché Dio stesso si è servito del loro amore per donarci la vita. Come li onoriamo? Li onoriamo diventando noi stessi strumento dell’amore di Dio per loro! Il comandamento non dice “ubbidisci a tuo padre e a tua madre”, perché padre e madre sono uomini e quindi anch’essi tentati dall’egoismo e dalle forze del mondo. E Dio non vuole che noi accontentiamo le inclinazioni fuori posto, nemmeno se espresse dai genitori. Anche per questo aspetto noi ci riferiamo alla Parola o all’esempio di Gesù. Anch’egli ha avuto genitori da amare e onorare. Egli li ha onorati quando da ragazzo si è intrattenuto ad ascoltare e interrogare i dottori della Legge nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,41-50). Pur lasciandoli soffrire, ha fatto loro comprendere di non essere loro proprietà, ma di avere una chiamata di Dio cui essere fedele. Li ha poi onorati rimanendo loro sottomesso per lunghi anni, preparandosi a realizzare la propria vocazione. Ha onorato sua madre quando ha lasciato capire a tutti che la grandezza di lei non era la maternità fisica, bensì la sua docilità alla Parola di Dio! L’ha onorata infine quando dalla croce le ha consegnato il nuovo compito di amare il discepolo e l’ha affidata alle sue cure!
20.
Considerando il 4° comandamento vediamo dispiegarsi davanti a noi non solo il rapporto figli-genitori, ma anche e prima di tutto l’amore dei genitori verso i figli, e di questi verso i fratelli e tutti gli altri parenti e di quanti partecipano al loro compito educativo. Questo amore è istintivo, sorge spontaneo, non viene comandato! Ma anche quest’amore ha le sue tentazioni e può venir meno al sorgere di interessi e ambizioni, o per reagire a peccati e inadempienze. Per questo il comandamento di Dio ci viene in aiuto. Non dobbiamo e non possiamo, perché Dio non lo vuole, che interessi materiali o di orgoglio e potere superino e sostituiscano il nostro amore venuto alla luce spontaneamente. Questo amore spontaneo per genitori e parenti è opera di Dio in noi, e lo dobbiamo coltivare e mantenere, lo dobbiamo curare e accrescere, lo dobbiamo far diventare un amore voluto, un amore fedele, come quello di Dio per il suo popolo ingrato. Onorare la madre e il padre, “anche se perdesse il senno”, come dice la Scrittura in altro passo, è segno di salute della nostra vita. Come dobbiamo aver sempre presente il nostro traguardo, così dobbiamo ricordare sempre da dove siamo venuti. Da piccoli onoriamo i genitori con la docilità dell’obbedienza, da grandi li onoriamo con la docilità dell’obbedienza a Dio! La nostra maturità ricca di sapienza e di fede, di rettitudine e di amore equilibrato, onora chi ci ha dato la vita. Chi è disordinato e disorientato o vive senza riferimento a Dio disonora i suoi genitori. Essi ne soffrono, come talora succede, fino a morirne.
21.
Onora tuo padre e tua madre! I genitori, grazie a questo comando, che ci fa intuire come Dio si interessi alla nostra famiglia, si sentono impegnati a far sì che il loro dare la vita sia completo. Essi perciò non si accontentano di mettere al mondo i figli, ma si occupano della loro crescita e formazione: si occupano del cibo e della salute, si prendono cura della istruzione, e si occupano pure della loro fede, che non sia di qualità scadente, malata, ininfluente sulle decisioni quotidiane, assente dalle scelte di vita o dimenticata. Essi vogliono dare ai figli anche il “Pane vivo e vero, quello della vita eterna”! I genitori cristiani permettono ai figli di partecipare alla loro preghiera, che così, fin da piccoli, esperimentano la presenza di Dio accanto a sé! I figli collaborano con i genitori per amare i propri fratelli e gli altri parenti cui la famiglia deve essere riconoscente o cui deve essere di sostegno e di aiuto. La parentela è la prima comunità, una comunità naturale, che ci fa sperimentare in piccolo le gioie della comunione che viviamo nella Chiesa e quella della Comunità finale, eterna, dei Santi! È nostra gioia, ma anche dovere, rendere più sani e santi che si può i rapporti in essa, cosicché anche i piccoli e quelli che sono più deboli nella fede trovino nutrimento a tutte le loro necessità e sperimentino l’amore del Padre!
22.
Non uccidere. Il quinto comandamento è formulato molto brevemente, ma impegna tanto i nostri pensieri e il nostro cuore! Dio ci vuol far intendere che non ci dà il permesso di disfare quanto lui ha fatto: egli ha impegnato tutto il suo amore per creare l’uomo, gli ha dato vita, lo ha reso suo collaboratore, anzi, sua immagine, e non può sopportare che noi distruggiamo la sua opera preziosa! Non togliere a nessuno la vita che è opera di Dio! C’è chi prende alla lettera queste parole, e ritiene che Dio voglia solo che evitiamo di dare la morte, ma Gesù ci ha insegnato ad ascoltarle in modo più profondo e completo. “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5,21-22). Non rovinare la vita di nessuno, nè fisicamente, nè psicologicamente, nè spiritualmente! Se usi parole di rifiuto e di disprezzo stai già cominciando a dare la morte! Se t’arrabbi contro qualcuno significa che attribuisci alla sua persona minor valore che a qualche cosa o a qualche tuo progetto. Addirittura Gesù ti direbbe di dare vita, di migliorarla a tutti, piccoli e grandi, facendoti loro servo! “Ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo” (Mt 20,26s). Purtroppo noi uomini siamo tanto spesso ripiegati su noi stessi e tendiamo a far sì che gli altri soddisfino il proprio egoismo. In tal modo non ci avvediamo nemmeno che stiamo uccidendo!
23.
Non uccidere! Le diverse culture esistenti nel mondo si differenziano molto anche per il diverso valore che attribuiscono alla vita umana! Sia i popoli antichi che quelli moderni, non raggiunti dal messaggio evangelico, alla vita umana attribuiscono un valore relativo: si uccide facilmente, sia neonati che anziani, sia parenti che estranei, sia “colpevoli” che innocenti! Noi, avendo assorbito per secoli la mentalità illuminata dallo Spirito Santo, riteniamo sacra la vita umana dal suo inizio fino al suo termine naturale: è dono di Dio, è una realtà di cui non ci riteniamo padroni, ma servitori; di fronte ad ogni vita umana ci sentiamo servi di Dio e suoi collaboratori. Per questo consideriamo peccato grave consigliare e procurare un aborto, non soccorrere chi avesse subito un incidente, trascurare chi a causa di qualche handicap non fosse capace di soddisfare alle proprie necessità, abbandonare un ammalato a se stesso. La nostra società ha acquisito anche nella sua legislazione questo valore della vita umana, almeno fino a quando la coscienza di tutti i cittadini abbondava di riferimenti alla fede cristiana. Quando questi hanno iniziato a scemare, banali interessi egoistici hanno fatto modificare anche le leggi e la loro interpretazione, almeno per quanto riguarda l’aborto; sembra ci sia tendenza a modificarle anche per permettere di dare la morte a malati e anziani che, nella loro sofferenza o solitudine e per la nostra incapacità ad assisterli adeguatamente, ne esprimessero più o meno consapevolmente il desiderio. Noi però sappiamo che il comando “Non uccidere” non viene dalle leggi umane, ma dalla bocca di Dio! Continuiamo perciò a rispettare la vita dal suo inizio fino alla sua conclusione naturale; sappiamo infatti che anche la sofferenza ha un valore inestimabile: Dio si può servire anche di essa per i suoi misteriosi disegni di salvezza!
24.
Non uccidere! Ubbidendo a questa Parola di Dio, e alla lettura in positivo che ne ha fatto Gesù, noi vogliamo sostituire a tutti i pensieri di morte quelli di vita! Cominciamo con l’evitare di pensare male degli altri, allontanando i sospetti, cercando di desiderare la salvezza per tutti, anche per chi avesse davvero causato grandi sofferenze agli altri e per chi stesse commettendo ingiustizie o delitti. Con Gesù ripetiamo nell’intimo del nostro cuore: “Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno”! Cerchiamo di amare non solo quelli che ci salutano, ma anche chi stesse meditando la nostra morte. Amiamo chi ci ama, ma anche chi ci sta imbrogliando: altrimenti, come siamo testimoni del Dio dell’amore? Amiamo chi ci parla con dolcezza e chi ci parla con arroganza: per gli uni e per gli altri noi vogliamo essere un segno di Dio Padre! Amiamo chi ci fa del bene e chi ci trascina in tribunale per privarci della casa o della libertà: con la grazia di Dio saremo per loro, e per gli altri, testimoni del valore della Parola del Signore e della vita eterna! Su tutte queste persone che certamente soffrono per la cattiveria e il male che portano nel cuore invochiamo lo Spirito Santo, perché anche ad essi sia concesso di godere della “buona notizia” dell’amore del Padre, e ne diventino portatori! Direte: per vedere le cose in questo modo e per agire così bisogna essere dei santi! Ma noi siamo santi! Noi portiamo nell’anima e nel corpo la santità di Dio: perché non dovremmo farla vedere?
25.
Non uccidere! Talora, purtroppo, succede che qualcuno si toglie la vita. È un peccato gravissimo: è come dire a Dio che ha fatto male a crearci. Noi non siamo padroni di fare quel che vogliamo della nostra vita, che ci è data per dar gloria al Padre e per servire e onorare il Figlio suo Gesù! Non giudichiamo tuttavia coloro che si uccidono: noi non sappiamo quali forze negative entrano in gioco, quanto pesanti le malattie psichiche e quanto violente siano le tentazioni, e quanto diventi debole la volontà e la resistenza ad esse. Non attribuiamo colpa a nessuno: anzi, preghiamo Dio che perdoni e salvi anche chi fosse arrivato a questo passo estremo. Dobbiamo tuttavia dire, soprattutto ai giovani, che il suicidio è peccato grave, offesa a Dio e grave offesa agli uomini. Quanta sofferenza provoca un suicidio ai parenti, ai conoscenti, agli amici, a tutta la comunità! Il clima che si genera attorno ad un suicidio parla da solo: dice quanto questo peccato sia grave. Se ci capitasse di venire a sapere che qualcuno è tentato di commetterlo, dobbiamo fare il possibile per aiutarlo: aiutarlo non solo con accorgimenti umani e pratici, ma soprattutto aiutarlo a pregare, a chiedere benedizione, forse anche a domandare un esorcismo, perché la tentazione del suicidio viene certamente dal maligno, che talora riesce a rendere schiavo il cuore dell’uomo con fissazioni e oppressioni violente.
Il comandamento “Non uccidere” ci impegna ad amare, a vivere in tutte le sue dimensioni l’altro comandamento di Dio: “Amerai il prossimo come te stesso”. Amiamo il prossimo sofferente e quello che sta bene soprattutto aiutandolo ad incontrare Gesù, il vero salvatore, l’unico che ci fa conoscere i significati più profondi della nostra vita, ce la riempie di gioia e ci fa incontrare il Padre che ci attende!
26.
Chi segue Gesù non si accontenta di “Non uccidere”! Chi segue Gesù cerca di “fare agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a se stesso”! Se guardiamo la storia della Chiesa, vediamo che proprio essa, cioè i nostri fratelli e sorelle vissuti nei secoli passati, è stata impegnata in prima fila e per prima, in tutte le dimensioni e le possibilità della vita, ad aiutare i deboli e i sofferenti! Vediamo papi e vescovi, Ordini e Congregazioni religiose, principi e re cristiani, impegnati a servizio degli emarginati, degli orfani, dei malati, dei piccoli, degli ignoranti… a servizio della vita, per la crescita della vita! Gli ospedali, gli orfanotrofi, le case di riposo, le scuole gratuite aperte a tutti, le università, le scuole professionali, i patronati per la promozione degli operai, le cooperative e molte altre iniziative atte a far crescere la vita umana hanno tra i loro ispiratori e fondatori dei cristiani. Anche i moderni Centri aiuto alla vita, le comunità di ricupero per tossicodipendenti, e molte associazioni o organizzazioni nate per il sollievo o il recupero della vita umana sono sorti per ispirazione o per opera della Chiesa, e comunque dall’obbedienza al Vangelo. Così il quinto comandamento, letto alla luce dell’amore di Gesù, che ha dato se stesso per noi, porta frutto nella società e nel mondo!
Noi obbediamo a questo comando di Dio anche facendo attenzione alla nostra formazione culturale e spirituale, alla nostra preparazione perché la nostra vita sia dono e servizio a tutti i livelli! Obbediamo a questo comando quando consideriamo la nostra vita come una chiamata di Dio a collaborare con lui, e perciò ci lasciamo suggerire anche le grandi scelte e le piccole decisioni da questa certezza: io devo collaborare con l’amore di Dio Padre! Abbi pure stima di te stesso: non limitarti a vivacchiare, ma fa della tua vita uno strumento e un prolungamento dell’amore di Dio Padre! Ricorda sempre che sei membro del Corpo di Cristo: ciò ti aiuterà a valutare sempre positivamente la tua vita e quella di tutti gli altri uomini: per essi Gesù ha dato se stesso!
Ci sarebbero poi vari argomenti delicati e difficili, dolorosi e tragici da trattare a proposito del quinto comandamento: la guerra, la legittima difesa dei singoli e dei popoli, la pena di morte. Sono situazioni in cui il nostro amore all’uomo viene messo alla prova in maniera drastica e drammatica. Se maturiamo nell’ascolto del vangelo e nell’amore al Signore Gesù Cristo, se accogliamo il suo santo Spirito, ci sarà dato di considerare queste situazioni come occasioni in cui essere testimoni di lui e della paternità di Dio!
27.
“Non commettere adulterio”. È il sesto comandamento. Dio rispetta la nostra crescita: prima di tutto ci chiede di onorare i genitori, dato che fin da bambini ci troviamo circondati dal loro amore; poi instauriamo rapporti più ampi al di fuori della famiglia con i vicini e con tutta la società: il quinto comandamento ci sollecita a viverli nell’amore! Con il prossimo comandamento, il sesto, Dio ci dice una parola per la maturazione che avviene in seguito, nell’età adolescenziale e giovanile, quando si risvegliano i sentimenti e gli stimoli per cercare una relazione che porterà a formare un’altra famiglia! Qui collaborano molte forze, fisiche, psichiche e spirituali: tutte dovrebbero esprimere l’amore vero e puro, quello stesso che riceviamo da Dio, affinché la nostra vita giunga a perfezione. Le energie sessuali collaborano alla nostra gioia quando sono poste a servizio dell’amore, non solo del nostro amore, ma di quello che Dio Padre ha per tutte le sue creature! Quando invece le energie sessuali vengono impiegate per accontentare l’egoismo cercando il piacere, allora generano disordini, malattie psichiche e fisiche, sofferenze di vario genere, che indeboliscono la persona e l’intera società! Gli impulsi sessuali del nostro corpo sono preceduti e accompagnati dal desiderio di una relazione stabile con una persona dell’altro sesso, in vista di un completamento, di un confronto e di un sostegno reciproco che duri tutta la vita. I giovani sono così portati alla formazione di una propria famiglia: ad essa si preparano con desiderio e attenzione impegnando le loro migliori energie. La comunità cristiana cerca di aiutarli, donando loro i consigli maturati non solo nell’esperienza, ma anche nella preghiera e nella meditazione della Parola di Dio! Le esperienze toccate e gli argomenti sollevati da questo comandamento sono quindi molti: educazione e formazione all’amore maturo, preparazione al matrimonio, rapporto tra sposi nella vita di coppia, e, di conseguenza, anche gli orientamenti errati, fonte di enormi sofferenze: masturbazione, rapporti al di fuori del matrimonio, adulteri, divorzi, incesto e stupro, omosessualità, pornografia, pedofilia e prostituzione e ogni tipo di perversione sessuale.
28.
Ho accennato ad una lunga serie di temi che dovrebbero essere affrontati nella presentazione del sesto comandamento. I tempi in cui viviamo lo richiederebbero: il mondo che ci circonda è tanto impregnato di distorsioni e devianze sessuali che turbano le coscienze e le disorientano, incoraggiando e indirizzando i più deboli e meno formati a comportamenti e opinioni senza regole, senza rispetto, senza pudore e, inoltre, senza timore di far soffrire gli altri. I più anziani tra noi sono stati abituati da giovani a trattare la sessualità con un’attenzione e un pudore talora esagerati; oggi l’esagerazione è passata dall’altra parte! Un sano equilibrio sembra lontano, difficile da raggiungere nel nostro mondo secolarizzato, tendente a ignorare Dio.
Dobbiamo ricordare sempre l’intenzione di Dio, che, creando l’uomo, “maschio e femmina li creò”! Le diversità sessuali tra uomo e donna e la loro reciproca attrazione sono nell’intenzione e nel progetto del Padre, che ha pensato l’uomo in modo che, per raggiungere la sua pienezza, debba accogliere l’aiuto dell’altro sesso. In tal modo lo ha messo sulla via dell’umiltà e lo ha reso capace di amare e di ricevere amore. In questa capacità di ricevere e di donare amore sta non solo la somiglianza dell’uomo a Dio, ma anche la possibilità di collaborare con la sua potenza creatrice più piena, quella di trasmettere la vita! La sessualità perciò è dono preziosissimo e sacro. Ciò che offende la sessualità umana e ciò che ne distorce il suo significato offende Dio stesso! Anche le barzellette che comunicano un modo egoistico e triviale di pensare questo aspetto della vita, stridono ai nostri orecchi allo stesso modo delle bestemmie!
29.
Come ogni ambito della vita umana, anche l’ambito sessuale è luogo di tentazione. Spesso proprio i comportamenti e le iniziative degli adulti (tra il resto vedi pure varie riviste per adolescenti!) sollecitano i ragazzi a nascondere le potenzialità della propria sessualità e a cercare la risposta dei loro desideri di conoscerle là dove la troveranno solo in modo superficiale, incompleto e distorto. Qui il diavolo trova facile terreno per giocare le sue carte e portare lontano dalla luce di Dio i giovani: egli fa imboccare la strada comoda e disimpegnata, la strada che fa vedere la sessualità come fonte di piacere, e come strumento di piacere gli organi sessuali. Di qui l’avviamento alle tecniche di eccitazione della fantasia e del corpo, alla masturbazione, ai rapporti sessuali facili. Coloro che cedono a questa tentazione si rovinano cuore e mente: non cercheranno più di donarsi per amare gratuitamente e con serenità, non ne saranno facilmente capaci; si privano delle gioie più profonde e libere, e della comunione serena con gli altri. Di conseguenza si diffonde pure la concezione che la vita consista nel cercare la propria soddisfazione. Anche l’eventuale matrimonio verrà visto come una possibilità di godere il piacere, con la conseguente esclusione della fedeltà coniugale e dell’indissolubilità del matrimonio. In questo clima cresce anche la superficialità sia nel procreare che nell’evitare la procreazione con tutti i metodi tecnicamente possibili, anche quelli che impediscono un sano sviluppo dell’armonia di coppia, e pure quelli che potrebbero provocare un aborto nei primissimi giorni della gestazione.
30.
San Paolo parla del Vangelo come di un messaggio destinato dalla misericordia di Dio all’umanità che vive in modo del tutto disordinato, e in tal modo si procura da se stessa grandi sofferenze. All’inizio della lettera ai Romani, parlando dei pagani, scrive: “Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa (cf Rm 1, 24-32). L’apostolo ci dice così che le perversioni sessuali disorientano e rendono gli uomini incapaci di una convivenza serena: esse sembrano essere un tremendo castigo di Dio per coloro che si rifiutano di credere in lui. Vogliamo guarire la famiglia e la società da molti mali? Dobbiamo orientare i loro membri alla purezza e alla castità, al “dominio di sè”, dei propri impulsi e desideri!
31.
La Parola di Dio è chiara: le perversioni sessuali condannate da Dio, come ci riferisce San Paolo nel testo citato della lettera ai Romani, sono grave peccato: esse generano disordini e sofferenze a se stessi e agli altri. Già nell’Antico Testamento, con la distruzione di Sodoma (Gen 19), gli uomini sono stati avvisati della gravità del peccato di omosessualità: esso arriva addirittura a rovinare la società intera! Ma la Parola di Dio avvisa anche del male di ogni impurità e fornicazione. Col termine « fornicazione » intendiamo i rapporti sessuali cercati per il piacere da ragazzi e ragazze. La parola latina « fornix », portico, diede origine al verbo fornicare, che indicava il ritrovarsi dei giovani nel buio dei porticati per “divertirsi”, dietro le colonne o negli angoli nascosti. Ecco cosa insegna San Paolo: “Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio (Ef 5, 3-5). Perché le esperienze sessuali dei giovani sono da considerarsi peccato? Esse non esprimono amore, non preparano ad amare, anzi, creano la mentalità che la vita è ricerca di piacere. I ragazzi e i giovani che non si sanno dominare, non si preparano a formare una famiglia stabile, nè saranno capaci di portarne le responsabilità, rimarranno egoisti e diverranno instabili! Sarà facile per loro cercare l’adulterio, oppure non vedranno più nemmeno lo scopo della vita e saranno preda della disperazione!
32.
L’amore tra uomo e donna trova la propria pienezza e dona vera soddisfazione quando diventa stabile e duraturo, quando l’uno può garantire all’altro sicurezza per tutta la vita. Questo è l’ambiente ideale anche per la crescita e l’armonia dei figli. Il rapporto sessuale di un coniuge con altra persona al di fuori del proprio matrimonio, oppure di una persona non sposata con una sposata è adulterio. Sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo questo peccato è considerato gravissimo: esso ignora o disprezza la benedizione di Dio! “Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio»” (Mt 19,8-9). L’adulterio è peccato, ed è grave, non solo per le sofferenze che provoca ai diretti interessati e alle loro famiglie, ma anche per l’instabilità che genera nella società. Gli effetti a lunga scadenza non sono facilmente pensabili. Dagli adulteri vengono i divorzi, e di qui le sofferenze dei figli e le insicurezze di ragazzi e giovani. Anche coloro che non avessero figli, commetterebbero un male ugualmente grave, perché questo comportamento crea una mentalità che rende più facile la decisione d’infedeltà dei giovani e la loro incapacità ad assumere impegni stabili per tutta la vita. Lo «scandalo», il comportamento che, creando mentalità, facilita il peccato agli altri, ai giovani e ai deboli, è sempre gravissimo: Gesù ha avuto parole tremende per chi dà esempio di peccato e abbassa di tono la vita di una comunità di fede (Mt 18,6-9; Mc 9,42-47)! Noi ovviamente non vogliamo condannare chi commette adulterio, ma non possiamo assolutamente ignorarne la gravità: proprio come Gesù, che disse all’adultera che gli era stata portata con l’intenzione di lapidarla: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).
33. Tra i giovani si è diffusa la “moda” di « provare » il proprio “amore”, e per questo, spesso, prima di impegnarsi a celebrare il matrimonio, convivono qualche tempo. Ciò che viene messo alla prova in realtà non è l’amore, ma i sentimenti amorosi o, forse, gli egoismi, per vedere se sono compatibili! Le sensazioni sentimentali e l’egoismo (ognuno infatti vuol vedere se l’altro lo soddisfa abbastanza!) non riescono a far maturare l’amore: quando, e se si sposeranno, spesso non saranno ancora capaci di donarsi l’un l’altro. Coloro che decidono o subiscono la convivenza rimangono nell’incertezza, nell’insicurezza, e quindi nella tensione, perché sanno che potrebbero essere lasciati in ogni momento con relativa facilità. In questa incertezza, benché non vogliano ammetterlo, si sentono condizionati e un po’ ricattati: “Devo piacere al mio partner, altrimenti mi lascia”! E così non godono riposo e pace. Spesso questo atteggiamento continua a far soffrire anche dopo l’eventuale celebrazione del matrimonio. I giovani che praticano questa moda difficilmente portano a maturare la propria capacità di amare. Nel fidanzamento “tradizionale” essi per lungo tempo si cercano, si desiderano, allenandosi a saper attendere, anche con fatica e con sofferenza. Tutto questo esercizio, che mette alla prova la perseveranza, - ma soprattutto fa maturare la propria capacità di donarsi nell’amore, - con la convivenza viene a mancare. Fino a che punto essi sanno ascoltarsi, ubbidirsi reciprocamente, prendere decisioni comuni? L’amore si dimostra anche con questi aspetti e ha bisogno di tempi prolungati per svilupparsi ed esprimersi. Noi cristiani siamo attenti inoltre all’aspetto spirituale: decidere la convivenza significa impostare la propria vita senza la benedizione di Dio e della Chiesa, anzi, al di fuori di ogni benedizione e di ogni comunione con i fratelli di fede! La famiglia che non ha celebrato il sacramento del matrimonio può far conto solo sulle proprie forze: e queste sono certamente ridotte e incerte se non si può fare riferimento alla benedizione e alla grazia di Dio. Se questa fosse stata rifiutata coscientemente c’è addirittura orgoglio e peccato alla base della convivenza. Il giovane cristiano sa che deve andare contro corrente anche in questo aspetto della vita. Egli cercherà di formare una famiglia con chi condivide pure la sua fede, per poter godere una piena unità nei lunghi anni in cui vivranno insieme: l’unità di fede la si vede e la si gode già dal tempo del fidanzamento, vissuto nella fiducia ed obbedienza al Signore, compreso il dominio dei propri istinti sessuali, e nella comunione della Chiesa! Il cristiano sa che deve accompagnare il proprio coniuge fino alle porte del paradiso: non può iniziare questo cammino mettendosi su una strada sbagliata!
San Paolo vede la vita familiare dei cristiani come sviluppo di una ferma decisione. Il credente che si sposa vive nel matrimonio il suo amore e la sua fedeltà al Signore. Il matrimonio viene visto come vocazione, e diventa così un luogo di rivelazione del Dio dell’amore e della misericordia. L’amore del marito per la moglie manifesta quello di Gesù per la Chiesa: egli “ha dato se stesso per lei” (Ef 5,21-33), e la risposta della Chiesa è rivelata dalla libera e dolce sottomissione della moglie al marito. Il rapporto inscindibile Gesù-Chiesa è concreto e visibile nel rapporto inscindibile marito-moglie. Essi non sono uniti prima di tutto dalla passione, nè solo l’attrazione di buoni sentimenti o da un contratto sociale: essi sono uniti e fedeli perché in loro vive e cresce l’unione a Gesù e l’appartenenza alla Chiesa. Il matrimonio è il luogo dove la decisione di servire il Signore diventa ogni giorno concreta e visibile a tutti: esso è un monte su cui risplende la presenza e la santità di Dio!
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Con tutti i cristiani anch’io sono rimasto sbalordito dalla notizia che nell’occasione dei campionati mondiali di calcio in Germania nel 2006 sono state “importate” circa cinquantamila prostitute per le “esigenze” dei tifosi! E che gran parte di queste persone erano costrette a prostituirsi. Ascoltiamo a questo proposito San Paolo: “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dá alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1Cor 6, 15-19). Vendere il proprio corpo o usare del corpo di una prostituta è grave peccato, perché si tratta una persona come un oggetto, senza impegnarsi in un atto d’amore. Se chi la frequenta è sposato, commette pure adulterio. E se la persona di cui si abusa è costretta a farlo, si partecipa ai gravissimi delitti dei trafficanti che rendono schiave donne di paesi poveri, ingannate da promesse menzognere e minacciate con pesanti ricatti.
Non occorre spiegare poi perché sono peccato grave la pedofilia e l’incesto (rapporti sessuali tra familiari): ognuno capisce senza bisogno di argomentazioni. Tutti i metodi usati per destinare il proprio corpo o quello altrui al piacere sessuale è contrario alla sua vera destinazione, l’amore come dono di sè! Ritengo sia necessario anche dire quest’altra cosa: il fatto che una persona, in particolare un giovane, abbia dei pensieri che orientano ad uno dei disordini sessuali, non significa che egli si debba già identificare con essi. Ne ricordo uno che aveva qualche attrazione omosessuale: si riteneva già un omosessuale. Quando gli ho detto che erano soltanto delle tentazioni, il suo cuore si è alleggerito di un peso enorme! Se una persona avesse pensieri di suicidio, non è già un suicida! Dovrà farsi insegnare e dovrà imparare a vincere quei pensieri, che sono semplici, benché pericolose, tentazioni del maligno!
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Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio (Eb 13, 4). Quanti cristiani hanno vissuto la parola di Dio con amore anche per quanto riguarda l’aspetto sessuale! Risplendono davanti a noi moltissimi esempi da imitare. Non vogliamo dimenticare un’infinità di uomini e donne che ci hanno dato e ci danno testimonianza di una vita in cui la sessualità è fonte e strumento di un amore ammirevole! Pensiamo alle martiri, che pur di non offendere la loro castità verginale si sono lasciate uccidere: Lucia, Agnese, Cecilia, Maria Goretti, e moltissime altre in ogni regione e in ogni tempo! Quanti coniugi poi hanno vissuto la loro vocazione matrimoniale con fedeltà eroica: Rita da Cascia, Giovanna de Chantal, Gianna Beretta Molla… Quanti sposi, non avendo la possibilità di aver altri figli, o per rispettare la malattia e la sofferenza del coniuge, hanno vissuto e stanno vivendo la castità matrimoniale con gioia e serenità, istruendosi anche sull’uso dei metodi naturali di controllo della fertilità! Quanti santi hanno consacrato le loro energie d’amore, maschile e femminile, ai poveri, ai piccoli, ai malati, ai morenti, ai lebbrosi! Quanti cristiani scelgono addirittura la rinuncia al matrimonio per donare le proprie capacità d’amare a Gesù, che chiede loro di dedicarsi alla preghiera o ai fratelli abbandonati! Le persone più belle, più attente e generose attorno a noi, quelle su cui si può contare sempre, sono quelle che sanno dominare gli impulsi sessuali e sanno dedicare il proprio amore al Signore nella purezza e nell’obbedienza a lui! Abbiamo molti fratelli che ci incoraggiano con la loro vita gioiosa e forte a rispettare la nostra sessualità e ad impiegarla nell’offrirci ad amare con purezza e generosità con la benedizione di Dio!
Viene da chiederci: in un mondo così pervertito come quello in cui viviamo, come potranno i nostri giovani e ragazzi non essere rovinati nella loro coscienza e nelle abitudini di vita? Già il salmista si poneva la stessa domanda. Ed egli stesso dava la risposta che ancor oggi vale: “Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Custodendo le tue parole!” (Sal 119,9). Avviciniamo i giovani alla Parola di Dio, ed essi cresceranno come fiori bellissimi e profumati pur in mezzo al fango delle pozzanghere! La Parola è il segreto, la forza, la luce per vivere con purezza e sobrietà in questo mondo. Amare e cercare la Parola è il consiglio dei santi, perché la Parola è il dono di Dio che ci fa conoscere e ci trasmette la sua vita!
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Il settimo comandamento, “Non rubare”, è tanto esplicito, che non dovrebbe avere bisogno di molte spiegazioni. Sembra addirittura che tutti gli uomini siano coscienti che il rubare è un male da evitare: chi ruba infatti cerca di tener ben nascosto il suo gesto, non solo quando il valore della cosa rubata o frodata è consistente, ma anche quando esso è insignificante. Non rubare! Questo comandamento tocca il nostro rapporto con le cose, ma il rapporto con le cose manifesta di che tipo è il nostro rapporto con gli altri, e con noi stessi! Il furto avviene quando una cosa o il denaro diventa ai nostri occhi più importante delle persone e più importante della nostra pace interiore. È certamente un inganno, e quindi una tentazione il volersi appropriare di ciò che appartiene ad altri o che altre persone stanno usando per il proprio sostentamento. Il desiderio di possedere cose o denaro arriva a farci disprezzare e danneggiare il nostro prossimo. Per questo San Paolo ha scritto: “L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori.” (1Tm 6,10). La bramosia del denaro e della ricchezza porta persino a rinnegare la fede! E infatti questa bramosia è una sorta di idolatria, che mette il denaro o la ricchezza al posto di Dio. Il denaro diventa pericoloso anche in questo caso, non solo se viene rubato, ma se ruba la fede dal nostro cuore. Un caso particolare, (almeno in Italia) è quello di vedovi che convivono senza celebrare il matrimonio, per non perdere la pensione del coniuge defunto. In questo caso il denaro appare loro più importante della benedizione di Dio sulla propria vita e della possibilità di partecipare ai sacramenti della santa Chiesa.
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Ci sono molti modi di rubare: c’è chi sottrae direttamente la proprietà altrui, come chi nasconde nella propria borsetta qualche boccetta di profumo o scatoletta di caramelle tolta dallo scaffale del negozio; c’è chi froda, cioè usa bilance false o aumenta i prezzi oltre un sano guadagno; c’è chi fa l’usuraio con coloro cui ha prestato del denaro; c’è chi danneggia le cose pubbliche e chi priva del giusto e dignitoso e tempestivo salario quanti lavorano per lui o per i suoi interessi; c’è chi finge di lavorare ingannando il proprio datore di lavoro e chi ruba tempo e denaro dovuto alla propria famiglia e alla propria comunità per darlo ai passatempi o ai vizi. Non sarei capace di elencare tutti i casi possibili, tanto sono impensabili certi modi di appropriarsi dei beni altrui o di usare in modo disonesto i propri! Particolarmente grave è il furto da parte di persone cui ci si rivolge con fiducia, come operatori finanziari e avvocati o altri operatori sociali. Non parliamo del grave doppio peccato di maghi e indovini che guadagnano ingannando le persone ingenue e stolte che si rivolgono a loro in situazione di sofferenza e ignoranza. Ci rendiamo gravemente colpevoli di furto anche indirettamente, senza saperlo e senza poter far nulla o quasi per evitarlo: le grandi società multinazionali, cui prestiamo il denaro depositandolo nelle banche, si riforniscono in paesi poveri delle materie prime per confezionare i prodotti che noi consumiamo. Ebbene, spesso esse commettono veri e propri furti a danno delle nazioni e dei popoli, stabilendo e imponendo prezzi bassissimi per le merci acquistate. Questi “furti” hanno la grave conseguenza di rendere schiavi popoli interi. Noi beviamo ogni giorno caffè e tè, mangiamo cioccolato o frutta esotica, vestiamo di cotone, portiamo catenelle d’oro o gioielli incastonati di diamanti, e non ci rendiamo conto che, per godere ad un prezzo abbordabile di questi e molti altri beni, moltissime persone sono state sfruttate e sono tuttora costrette a vivere in condizioni disumane. Quelle persone sono state defraudate, da noi! Siamo responsabili della loro miseria e dei danni che essa provoca, comprese le violenze commesse per esprimere la rabbia che sorge in loro. Per evitare almeno in parte queste grandi ingiustizie, sono sorte Banche etiche e altre iniziative di solidarietà; inoltre la Chiesa propone sempre, attraverso i suoi missionari o la Caritas, piccoli e grandi progetti a favore di questi popoli. A tali proposte si può aderire anche con donazioni consistenti per… farci giustizia da soli!
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Chi ha rubato, e vuol riconciliarsi con Dio e con gli uomini, deve ovviamente restituire. Il vangelo ci offre l’esempio di Zaccheo, che, arricchito della gioia d’aver incontrato Gesù, restituisce quattro volte tanto a coloro cui aveva rubato in precedenza. Non solo: Zaccheo, ritrovata la pace del cuore, non si limita a restituire, ma distribuisce la metà dei suoi beni ai poveri. Ecco il frutto della presenza di Gesù nella nostra casa e nel nostro cuore: egli ci libera dalla bramosia delle ricchezze, ci salva dalla menzogna che fa credere che la gioia venga dal possesso del denaro, ci orienta a sviluppare l’amore, unica vera ricchezza della nostra vita! Chi ruba, o comunque vive con la brama di arricchire, non ha ancora Gesù in sè. Se si dichiara credente, ma continua a sognare ricchezze, inganna se stesso: la sua fede è vana, è malata e così debole che basterà una piccola tentazione per ignorarla del tutto. “Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità.” (Ef 4,28). Il cristiano, quando lavora, sa di guadagnare non solo a vantaggio proprio e della propria famiglia, ma anche per i poveri, anche per quei popoli che sono stati defraudati per farci godere molti beni con relativa facilità. Fin da giovane perciò il cristiano, quando deve scegliere la propria professione, dovrebbe essere aiutato a non pensare solo al proprio tornaconto con egoismo, ma piuttosto a intraprendere un impiego che risulti utile a molti! Noi tutti, credenti in Gesù Cristo, teniamo presente l’esempio della prima Chiesa di Gerusalemme, i cui membri deponevano ai piedi degli apostoli i loro beni perché ci fosse uguaglianza nella comunità. Tra noi, nella Chiesa, ci sono sempre persone cui possiamo guardare con fierezza e col desiderio di imitarle: sono coloro che, con una povertà volontaria sull’esempio di S.Francesco e di un’infinità di altri nostri fratelli e sorelle, arricchiscono di Spirito Santo la società, vivendo in una sobrietà esemplare per amore del Signore Gesù!
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Gesù, raccontando la parabola del seminatore, dice che “l’inganno della ricchezza soffoca la parola” (Mt 13,22) e gli impedisce di portar frutto. Per questo egli suggerisce, a chi lo vuol seguire, di lasciare tutto, di vendere e donare il ricavato ai poveri. In altra occasione dice: “Io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,19). I poveri, che saranno accolti come Lazzaro nei cieli, saranno amici che intercedono per noi, grazie alla nostra generosità! Non tutti accettano queste parole di Gesù: ad esempio, “i farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio” (Lc 16,14). Per questo l’essere ricchi è pericoloso, perché può arrivare ad ostacolare persino la nostra fede. Infatti è stato l’amore del denaro a far perdere la tramontana a Giuda: “Egli andò a discutere con i sommi sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo nelle loro mani. Essi si rallegrarono e si accordarono di dargli del denaro” (Lc 22,4-5). E noi vediamo che l’aumento della ricchezza nei nostri popoli ha segnato l’abbandono della fede da parte di molte persone. Un salmo dice: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sal 49,21)! Un’altra Scrittura dice: “Per amor del denaro molti peccano, chi cerca di arricchire procede senza scrupoli. Fra le giunture delle pietre si conficca un piuolo, tra la compra e la vendita si insinua il peccato” (Sir 27,1-2). Il nostro rapporto con le cose e con il denaro è sempre un campo minato: non finiremo mai di essere vigilanti e attenti. Dobbiamo inoltre ricordare che chi si è arricchito per aver ubbidito a Satana, gli resterà debitore! Quelle ricchezze, anche quando passeranno ai figli e ai nipoti, daranno il diritto al nemico di intervenire nella loro vita! Dovremo, per resistere all’attrattiva della ricchezza, essere saldamente ancorati alla fede e alla Parola di Dio! Gesù è sempre il tesoro nascosto, l’unica perla preziosa che cerchiamo di possedere, perché l’unica che ci dà la gioia che nessuno mai potrà togliere!
VIII. Non dire falsa testimonianza
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“Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo” (Es 20,16). Tutti noi insegniamo ai bambini di non dire bugie. Un ragazzo che mente, infatti, benché le sue menzogne riguardino cose di poco conto, nei nostri popoli che vivono una cultura sorta da radici cristiane, risulta antipatico: di lui non ci si può fidare. Le bugie del bambino e del ragazzo di solito non sono molto dannose, se non perché egli diventa un giovane inaffidabile. Chi mente non gode fiducia da parte di nessuno, e perciò si priva della gioia della comunione serena. Ogni menzogna perciò è peccato, perché, oltre la propria reputazione, rovina le relazioni, tutte le relazioni che si hanno, quelle familiari e quelle sociali. Le menzogne sono poi particolarmente gravi quando danneggiano gli altri. Diffondere accuse false riguardo altre persone è calunnia, ed è grave mancanza di amore, grave peccato quindi! “Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). “Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo creatore” (Col 3,9-10). Mantiene la sua validità anche il proverbio: “Le bugie hanno le gambe corte”! Nessuno riesce a nascondere la propria menzogna, se non per poco: egli perderà sicuramente prima o poi la stima e la onorabilità di figlio di Dio! Il discepolo di Gesù sa di aver ricevuto lo Spirito Santo, e perciò non vuol fare ciò che Dio stesso non farebbe! Lo Spirito Santo infatti è “spirito di verità”, come ci dice Gesù stesso più volte (Gv 14-16). Il cristiano che mente lascia credere che il suo Dio è mentitore, mentre invece Dio non inganna e non vuole ingannare nessuno!
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Menzogna veramente grave è giurare il falso. Chi poi lo facesse in tribunale, in particolare se a causa di essa venisse danneggiata o condannata qualche persona, commette peccato gravissimo. Giurare ha il significato di chiamare Dio a testimone di quanto si afferma o si nega. Nessun giuramento fa onore all’uomo: è segno che egli stesso dichiara di non esser degno di fiducia. Gesù ci insegna: “Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,36-37).
Gesù non ha avuto il tempo di rispondere a Pilato che gli chiese: “Che cos’è la verità?” (Gv 18,38). Ai discepoli però lo aveva già detto: “Io sono la verità” (Gv 14,6)! Quel Dio che nessuno ha mai visto nè può vedere, Gesù ce lo fa conoscere: vedendo lui conosciamo il Padre! Conoscere il Padre significa anche sapere con quale amore dobbiamo guardare gli uomini, e significa leggere tutto il tempo come compimento della risurrezione di Gesù e tutti gli eventi come preparazione del nostro ingresso nell’eternità! Gesù è la verità: infatti egli è la rivelazione dell’amore nascosto di Dio, nascosto in ogni avvenimento e in ogni uomo. La verità la possiamo conoscere solo con lo sguardo compiaciuto con cui Dio guarda il Figlio suo e la possiamo comunicare solo attraverso quel suo amore che passa per la croce, come dice San Paolo: “Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4,15)! Il comandamento “Non pronunciare falsa testimonianza” ci impegna quindi a dire e fare ciò che possa manifestare la misericordia e la fedeltà della paternità di Dio presente in Gesù. Non ci preoccupiamo perciò di rendere pubblico sempre tutto quello che sappiamo, ma quanto favorisce l’amore, e di dirlo nel modo che esprima carità, comprensione, benedizione. Questo dev’essere tenuto presente sia in famiglia, sia nella società, nell’esercizio di professioni che impegnano al segreto professionale, e anche di quelle che utilizzano i mass-media. Coloro che scrivono su giornali, rotocalchi e internet o che parlano a radio e televisione devono svolgere la loro attività come servizio all’unione e alla reciproca comprensione di tutte le persone di ogni categoria. Le menzogne sono sempre grave offesa all’uomo e a Dio, ma lo sono anche il divulgare notizie vere che possano creare divisioni e lotte o che favoriscano mentalità e sensibilità superficiali, frivole, se non addirittura turpi. Un sano equilibrio è difficile! Gli operatori dei mass-media devono pregare molto per potersi mantenere nello Spirito Santo e ricevere da lui sapienza e luce per il loro lavoro. Continuando a convertirsi con la preghiera potranno divenire operatori di pace!
42.
Essere sinceri e veritieri è particolarmente necessario e impegnativo nei rapporti familiari: la menzogna che entra nelle relazioni coniugali riesce a “separare ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10,9)! Nessuna menzogna deve prendere spazio in questo ambito: chi è attento diventa vigilante per difendersi da sentimenti e legami verso persone estranee, sentimenti che possono portare alla distruzione della famiglia. Tra marito e moglie non ci devono essere angoli bui, oscuri: tutto dev’essere nella luce, anche l’uso che ciascuno di essi fa del denaro. Molte famiglie sono rovinate dal fatto che l’uno o l’altro tiene nascoste al coniuge i propri guadagni e le proprie spese e le scelte economiche o finanziarie, o le copre con la menzogna. L’amore al futuro della propria famiglia e alla sua unità aiuta ad essere umilmente e serenamente sinceri anche in questo campo.
C’è poi un tipo di menzogna di cui pochi si accorgono e si pentono, solo quei genitori che vedono i figli allontanarsi dalla fede e dalla sana vita ecclesiale. È la menzogna creata dal nostro essere cristiani tiepidi, superficiali, comodi, ignoranti riguardo ai misteri della nostra fede, incapaci di rendere ragione della nostra speranza! Con questa superficialità non siamo testimoni della serietà dell’amore del nostro Dio nè della verità della risurrezione di Gesù dai morti! È la menzogna peggiore, perché rende la nostra vita inutile per il regno di Dio e dannosa per quanto riguarda la salvezza dei nostri fratelli, che non saranno aiutati ad avvicinarsi all’unico Salvatore di cui hanno bisogno! Se poi noi siamo i pochi cristiani con cui essi sono a contatto, in famiglia o sul lavoro o in altri ambienti, questa nostra falsa testimonianza è molto grave! Noi siamo la luce del mondo, e la luce non va messa sotto il moggio o sotto il letto (Lc 11,33)! Non possiamo nemmeno tenere Gesù nascosto in nome del rispetto delle credenze altrui: lasceremo che essi siano ingannati? Quanto dobbiamo pregare e quanto dobbiamo tenerci uniti agli altri credenti per essere sempre fervidi e forti nel vivere la nostra santa fede e praticare la vera e pura carità! Gesù ha detto di essere “venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità”: noi vogliamo condividere con lui questo compito, impegnativo sì, ma fonte di beatitudine!
IX. Non desiderare la donna d’altri
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Non desiderare la moglie del tuo prossimo. A questo comando fa riferimento Gesù quando dice: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,28). Noi abbiamo sempre dei desideri, più o meno forti, che ispirano molte nostre azioni, danno loro significato e ci stimolano a progettare. I nostri desideri però non sono tutti sani, nè tanto meno tutti santi! Essi non sono manifestazione della nostra psiche che dobbiamo seguire a tutti i costi per raggiungere la felicità. Talora in essi si nasconde la tentazione, possono portare lontano dalla strada che Dio ci propone, e, se li seguiamo, possono rovinare la nostra vita e anche quella di altre persone. Noi possiamo, dobbiamo e vogliamo discernere tra essi quelli da seguire e quelli da abbandonare. Come fare? Li confrontiamo con la Parola di Dio e con gli insegnamenti della Chiesa, oppure con i consigli di qualche padre spirituale che si occupa di noi e prega per noi. Prima di seguire un desiderio interrogo Dio, mio Padre, e Gesù, mio Salvatore! Tra i desideri da vagliare ci sono anche e anzitutto quelli che riguardano la nostra affettività. A chi devo aprire il cuore? A chi manifestare i miei sentimenti e le mie aspirazioni? Sappiamo che aprire il cuore ad un’altra persona può portare ad un legame affettivo, tanto più se quella persona ci è simpatica. Non lo faccio perciò se io o l’altra persona fosse già impegnata, per non correre il rischio di legare il mio cuore al suo o di suscitare in lei il desiderio di me. Dobbiamo imparare a comandare anche ai nostri desideri per custodire il cuore nella fedeltà alla missione che siamo chiamati a vivere nella nostra famiglia e nella Chiesa!
X. Non desiderare la roba d’altri
44.
Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo! Il decimo comandamento riassume raccomandazioni e insegnamenti del Signore e degli apostoli. Il desiderio delle ricchezze orienta molte decisioni e tutti gli atteggiamenti della nostra vita, proprio come i desideri di un’altra donna o di un altro uomo. Il desiderio della ricchezza rende il nostro occhio invidioso delle ricchezze degli altri, e può portare a gesti inconsulti: furti, inganni, imbrogli, menzogna, omicidi ecc. Quanti mali provengono dal desiderio non orientato secondo i pensieri di Dio! La nostra vigilanza deve essere rivolta sempre al nostro interno, per non lasciarci trascinare da ciò che ci piace, ma lasciarci invece orientare da ciò che è voluto e amato dal Signore. Ciò che gli altri possiedono, anche fossero molto ricchi, è loro affidato perché lo usino come strumento di amore per molti altri. Se essi lo usano con egoismo per i propri piaceri, per divertirsi, non lo usano bene e saranno giudicati. Allo stesso modo anche noi: ciò che possediamo ci è affidato perché lo usiamo come strumento di amore e di comunione tra gli uomini, per i poveri in primo luogo. Se riuscissimo a vedere così tutte le ricchezze, non le desidereremmo, e il nostro cuore rimarrebbe puro e libero per amare. Se teniamo nel cuore il desiderio delle ricchezze non riusciremo a guardare gli altri con la libertà di chi ama i fratelli, ma con lo sguardo di chi cerca clienti o teme concorrenti. La sapienza di Dio ci preavvisa: “Chi costruisce la sua casa con ricchezze altrui è come chi ammucchia pietre per l'inverno” (Sir 21,8), e perciò ci raccomanda: “Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore” (Sal 62,11). E ancora un’altra Scrittura ci dice: “Chi ama il denaro, mai si sazia di denaro e chi ama la ricchezza, non ne trae profitto” (Qo 5,9).
45.
“Non desiderare…”! Gli ultimi due comandamenti penetrano nell’intimo del nostro cuore e ci impegnano ad un discernimento delicato e sottile. Quali sono i miei desideri? Dov’è il tesoro del mio cuore? Non posso vivere senza desideri: sono essi che danno slancio e consolazione, speranza e forza per agire! Farò miei i desideri di Dio! “Cercate le cose di lassù” (Col 3,1), ci esorta San Paolo. “Cercate la pace con tutti e la santificazione” (Eb 12,14). Ecco dove fissare i nostri desideri: l’armonia con tutti gli uomini e l’accoglienza dello Spirito Santo nella nostra vita! I desideri più profondi diventano preghiera, e la preghiera del cristiano non può essere che quella che si condensa in quella che ci ha insegnato il Signore Gesù: il «Padre nostro». Desidero essere capace di lodare Dio, di conoscere la sua volontà e di accoglierla, di realizzare i suoi sogni, collaborando al suo regno. Desidero il suo pane, che è lo Spirito Santo promesso, che mi rende simile al Padre nell’amore! Desidero il suo perdono per me e per i fratelli tutti, affinché possa esserci pace vera in ogni casa e in ogni contrada. Desidero che il male e il maligno siano lontano da ogni persona umana, e per questo prego con insistenza! Desidero la sapienza, per aiutare me stesso e tutti a vivere nella concordia e nell’amore gli uni verso gli altri. Non ritengo di obbedire ai comandamenti di Dio finché non desidero di camminare sulla strada della santità, quella sulla quale Dio stesso mi ha chiamato e sulla quale mi ha posto quando mi ha unito al suo Figlio Gesù!
Nihil obstat: P. Modesto Sartori capp., Arco, 17.01.2007
Peccato e peccato grave.
Un gruppo di persone si mette in viaggio. Vogliono incontrare il loro più caro amico, che abita sulle montagne. La strada, lunga e a tratti faticosa, è segnata. È necessario fare attenzione ai segni, perché ci sono vari incroci. Se si imboccano altre strade, invece di avvicinarsi alla meta ce se ne allontana: non si ci può permettere di perdere l’orientamento!
Il gruppetto si è incamminato e procede con gioia.
Qualcuno però, distratto da qualche suono gradito o dallo spavento di qualche rumore inatteso, inciampa e cade. Nulla di grave, nonostante il dolore di un ginocchio sbucciato. Si rialza da solo e riprende il cammino.
Talvolta, imprudente nel camminare sul bordo, qualcuno perde l’equilibrio e sdrucciola giù per la scarpata. Spine, cardi e sassi appuntiti lo pungono e feriscono, ma può risalire, aiutato dagli altri. Ha perduto e ha fatto perdere del tempo. Un altro, cadendo perché distratto, si frattura un braccio o una gamba. Ci sono gli amici che lo aiutano, per fortuna; lo portano e portano anche il suo zaino. Tutti fanno molta più fatica del previsto e del necessario.
Avanzando più veloci degli altri, alcuni imboccano una strada sbagliata. Quando il gruppo si accorge, perde molto tempo a cercarli e richiamarli. Quelli però, nonostante i richiami, continuano a camminare ostinati su quella strada. Pur senza graffiature e senza gambe rotte camminano veloci: ma non arriveranno dove sono attesi. Continueranno a camminare? Verso dove? La gioia che cercano si allontana sempre più da loro!
Perché questo viaggio? Per capire il peccato (vado in direzione sbagliata e perciò non arriverò mai al traguardo).
Perdi tempo, ti sbucci le ginocchia? Peccato, non grave, perché sei rimasto sulla strada, non ti sei perso, puoi riprendere il cammino insieme agli altri per incontrare il Padre!
Ti procuri sofferenza e fai soffrire e perder tempo anche ad altri? Rallenti l’incontro, corri volutamente il rischio di perderne il desiderio? Peccato grave.
Vai da solo senza ascoltare i richiami del gruppo? Le azioni suggerite dal tuo orgoglio e dalla tua ostinazione sono peccato mortale, perché allontanandoti dalla Chiesa ti metti in situazione di non incontrare mai più Colui che ti attende per amarti per sempre!
Inoltre…
Se raccogli e mangi un fungo velenoso, ti farà male, benché tu pensi che esso sia commestibile! Ogni peccato (il non seguire la sapienza di Dio per la nostra vita) provoca conseguenze di sofferenza e di morte a breve e a lungo termine, anche se, chi lo commette, non sa che quel che fa è peccato.
“Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo.”
PROPOSTA DI ESAME DI COSCIENZA (da rivedere e da completare )
È peccato
1.
Ritenere qualche persona più importante di Dio Padre
Ascoltare con maggior attenzione gli uomini invece di Dio
Ritenere Dio come servo dei propri bisogni ed istinti
Ritenere Dio padrone cattivo e interessato
Evitare la Parola di Dio o non cercarla
Pregare Dio senza fiducia e non pregare, o pregare solo per domandare
Aver vergogna di farsi vedere a pregare o di pregare insieme in famiglia o alla comunità cristiana
Deridere coloro che, volontariamente o a fatica, pregano
Distogliere i figli o altri dalla preghiera e dall’ascolto del Vangelo
Ribellarsi alla volontà di Dio
Non affidare a Dio il proprio futuro, ma volerlo scoprire interrogando le carte, (cartomanti), le mani (chiromanti), astrologi, cristalli, pendoli, medium, morti, sedute spiritiche: peccato grave e pericoloso
Voler intervenire sulla propria vita o su quella altrui tramite magie
Chiedere a maghi o streghe di fare qualcosa per legare a sé delle persone, o per farle ammalare o morire o per farle guarire: equivale a chiedere aiuto al diavolo, che chiederà molto in cambio
Vivere come se Dio non esistesse, come se non fosse capace di parlare
Continuare a piangere o rimpiangere il passato
Arrabbiarsi
Tenere nel cuore pensieri superbi o di orgoglio, o manifestarli con atteggiamenti o azioni di superiorità
Adorare uomini (es. Sai Baba), piante, animali, cose
Portare amuleti o portafortuna
Aderire ad altre religioni, sette, movimenti religiosi alternativi
Accettare iniziazioni a società segrete
Far professione di fede islamica anche solo pro forma
Rinnegare la propria fede cristiana
“Beato l'uomo che … si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1,1).
2
Bestemmiare, cioè inveire contro Dio con titoli ingiuriosi: non serve nemmeno il comandamento per capire la gravità di questo peccato diabolico
dare la colpa a Dio del male che capita, del peccato degli uomini, delle tue incapacità di vivere obbediente a lui.
pensare e dire che Dio dovrebbe fare diversamente, che Dio è ingiusto, ecc.
pronunciare il nome di Dio per sciocchezze, per raccontare barzellette, per futilità
usare il nome di Dio per proprio interesse, per darsi autorità, per farsi benvolere, o come nome magico
non lodare mai Dio, nemmeno dei suoi evidenti benefici
“Lodate il Signore: il Signore è buono;
cantate inni al suo nome, perché è amabile” (Sal 135,3).
3
Di domenica o nelle solennità
lavorare anche se si potrebbe evitarlo
pensare solo a divertirsi
non frequentare l’assemblea eucaristica
frequentare la Messa svogliatamente, senza impegno a collaborare, come se si assistesse ad uno spettacolo
non curarsi della propria famiglia
ignorare le persone sole, sofferenti o malate
partecipare alla Comunione in maniera sacrilega, cioè senza essersi confessati dei peccati gravi o continuando la convivenza senza il sacramento del matrimonio
“Non disertiamo le nostre riunioni
come alcuni hanno l'abitudine di fare” (Eb 10,25)
4.
per i figli ancora giovani:
far di testa propria senza interrogare i genitori, soprattutto se si vive con loro
non occuparsi di loro
pretendere da loro denaro, l’eredità, di farsi servire
litigare con i fratelli per questioni materiali
appoggiare i propri fratelli in scelte sbagliate di vita
per i genitori:
disinteressarsi dei figli piccoli e giovani o accontentare tutti i loro capricci
dar loro denaro senza assicurarsi che lo sappiano usare
non istruirsi in vista della loro educazione e dei loro problemi
non farsi aiutare per comprenderli nei problemi del loro sviluppo
non interessarsi della loro crescita nella fede e nella preghiera
“Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto” (Ef 6,1).
5.
ritenersi e farsi padroni della vita propria o altrui
operare in questa direzione, togliendo spazio vitale al prossimo
ritenersi migliori degli altri con orgoglio o superbia
offendere con parole o con gesti che nuocciano alla salute
parlare male di qualcuno
pensare il male o augurare il male o la morte
maledire
pensare o tentare il suicidio
pensare all’omicidio
consigliare o favorire l’aborto (vero omicidio, con gravi conseguenze alla salute psichica della madre)
consigliare o aiutare l’eutanasia (vero suicidio)
Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio.
“Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5,22).
6.
acquistare riviste pornografiche, frequentare film immorali, navigare in internet su siti porno, seguire programmi televisivi osceni
vestire in maniera da eccitare coloro che ti vedono
ricercare il piacere sensuale con il proprio corpo
seguire tutte le inclinazioni: il piacere sessuale con chiunque, per finto amore o per amore di un giorno
cercare divertimenti con letture o immagini immorali
avere rapporti sessuali al di fuori o prima del matrimonio
commettere adulterio, cioè rapporti sessuali con persona diversa dal proprio coniuge o, se tu sei libero, con persona già impegnata nel matrimonio
guardare bambini e ragazzi con sguardo desideroso di piacere sensuale
avere rapporti omosessuali
non dominare i propri pensieri e desideri di tipo sessuale
“Qualsiasi peccato l’uomo commetta è fuori del suo corpo, ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo” (1Cor 6,18).
7.
Tenere nel cuore invidia per quanto posseggono gli altri
Essere avari
non accorgersi del bisogno dei poveri vicini o lontani
invidiare gli altri per quel che hanno
Non impegnarsi nel proprio lavoro retribuito
Non retribuire adeguatamente i propri dipendenti
Ingannare negli acquisti e nelle vendite
Desiderare la ricchezza materiale
Appropriarsi di ciò che appartiene agli altri in qualunque modo, furto, frode, …
Evadere costantemente il fisco
“Non accumulatevi tesori sulla terra” (Mt 6,19).
8.
mentire
mentire per farsi approvare
mentire per danneggiare gli altri
testimoniare il falso in qualsiasi tribunale,
dire il falso o nascondere peccati durante la confessione
giurare per farsi credere
ingannare
“L’uomo non può avere tutto” (Sir 17,25).
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