La passione di Gesù non è solo il momento culminante del Suo amore, è anche il momento in cui Egli si manifesta come segno di contraddizione!
La Sua Vita, qui soprattutto, è luce per la vita dell’uomo.
Qualche sprazzo di luce sulle nostre ombre ci lascia intravedere peccati di cui umiliarci e doni di cui godere!
1.
Ma dicevano: «Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo » (Mt 26,5)
Cercavano il bene del popolo. Una decisione è già presa nei loro cuori: Egli deve morire. La si realizzerà nel modo più pulito possibile. Nessuna possibilità di rimetterla in discussione: comporterebbe gravi conseguenze, soprattutto quella di dover modificare il proprio cuore.
Come mai si arriva a tanto? Non si è interrogato Dio, il Padre. Il Padre non è stato interpellato. Non è venuto in mente a nessuno, o è stato volutamente dimenticato. Si sa, il Padre fa gli interessi di tutti, a scapito dei « nostri ». E perciò non lo « scomodiamo ». Sarebbe andar contro noi stessi.
… Mettermi ad ascoltare Dio sarebbe ammettere che ci potrebbe essere, forse, qualche altro atteggiamento, qualche altra soluzione ai problemi; sarebbe ammettere l'ignoranza della propria intelligenza. Io so, o, perlomeno credo di sapere abbastanza dove sta il bene e dov'è il male. Non ha l'uomo mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male? Egli perciò può far senza Dio. So regolarmi da solo! …
Da questa convinzione dell'uomo, da questa mia convinzione, nascono le più grandi... ingiustizie. L'uomo che sa, o crede di conoscere il bene ed il male, va per le sue strade intralciando quelle dei fratelli, ostacolandoli fino a metterli in croce.
E lo fa in modo tale che nessuno s'accorge. Egli sa di fare « il bene ».
Ma non è ubbidienza al Padre. Se non hai interpellato esplicitamente il Padre, non un Dio qualsiasi, ogni bene che tu pensi o fai può essere calcolo, può essere egoismo mascherato, può essere diplomazia.
Ascolterò Te, Padre, origlierò al tuo cuore che ama e vuole salvare. Troverò nuovi atteggiamenti e nuove parole, troverò il vero bene duraturo per tutto il popolo donandoti la mia ubbidienza.
2.
Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura (Mt 26,12)
Gesù sta interpretando bene un fatto interpretato male da tutti gli altri. Una donna aveva spezzato un vaso d'alabastro versando un capitale di olio profumato. Spreco, visto da loro. Atto profetico, visto da Gesù.
Ed io lo vedo con stupore: sento anch'io la forza dell'opinione pubblica e della mentalità corrente che dà al denaro un grande valore in vista di un servizio ai poveri, di contribuire ad eliminare la povertà. Ma vedo anche la bellezza e la pienezza di un gesto che per amore di Gesù non risparmia i milioni.
Concepire il denaro in funzione di sollevare i poveri o di arricchirli può portare con sé il pericolo di ritenere o di dar da intendere che la salvezza dell'uomo stia nel combattere la povertà: ed allora rimarrei ingannato e sarei ingannatore proprio dei poveri.
Anche per essi non c'è altra salvezza che Gesù; anche per essi l'unico nome da cui sono e saranno « salvati » è quello del Figlio di Dio!
Perciò vedo con simpatia le ricchezze « sprecate » per Gesù. Non sono poi sprecate, servono invece a mettere in risalto l'unica Verità e Realtà stabile per l'uomo. Allora esse giungono alla destinazione ultima per cui sono state create: « in vista di Lui » dice S. Giovanni. Allora esse finalmente sono liberate: « La creazione, infatti, nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Il profumo di Maria, comprato da lei perché diventi strumento del suo peccato, per attirare gli uomini in casa, per essere centro d'attenzione, per rivolgere a sé gli sguardi e i passi degli avidi di piacere, trova finalmente libertà da quella schiavitù. Ora, versato tutto sul corpo di Gesù, attirerà gli uomini a Lui.
Il vaso è spezzato, l'olio tutto versato. Maria esprime così una decisione profonda: « Mai più mi metterò al centro dell'attenzione, non attirerò più gli uomini a ricevere piacere da me. Io non dividerò più l'amore del mio cuore con i peccatori. Mi lascerò attirare solo dalla purezza del cuore di Gesù, l'unico a cui tutti devono guardare per avere salvezza. I poveri saranno aiutati di più se saranno aiutati ad avvicinarsi a Gesù che se venissero vestiti bene per due settimane e sfamati per tre giorni. Con Gesù, accorgendosi di Lui, anche il loro cuore potrà aprirsi a godere perdono e amicizia vera. »
E Gesù comprende che il gesto di Maria è una profezia. Gli ricorda quel che Egli stesso aveva detto: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me » (Gv 12,32).
Quel profumo inizia già ad attirare. È giunta l'ora, l'ora della croce.
3.
È alla ricerca. Gesù non gli basta. L'amicizia di Gesù non lo riempie. Egli gli ha dato anche fiducia, gli ha affidato un incarico per tutti gli altri Undici: lo ha fatto amministrare dei beni del gruppo.
Anche gli uomini fanno così. Vedono una persona malcontenta, le danno fiducia, la coprono di incarichi, le cambiano il posto, cercano di accontentarla. Il malcontento non diminuisce. È una malattia del cuore. Un cuore mai contento è un cuore che mostra egoismo. Cerca per sé, ma nulla lo soddisfa, nulla lo riempie. Nulla lo sazierà. Il cuore egoista è senza fondo.
L'unica cosa che sazia l'uomo è il donare se stesso. Chi dona se stesso, tempo e fatiche, costui colmerà il cuore fino a traboccare gioia. Ma la tendenza dell'uomo è spesso quella del cercare per sé. E costui, anche se trova Gesù, gli va dietro per avere, per ricevere. Vuole ricevere consolazione, vuole avere entusiasmi, vuole trovare possibilità di realizzarsi, vuole gioia e comodità e, perché no?, onori. Vuole esser stimato dalla gente, come Gesù è stimato, ma senza passare per il rifiuto di tutti. E se nel suo modo di seguire Gesù non trova queste cose... incolpa Gesù stesso, e gli altri suoi discepoli. Va a riferire, va a parlar male, va a mormorare. Va dall'autorità, va a cercare. Porta ovunque la tristezza del suo volto, la testimonianza del suo egocentrismo. Quasi come Giuda. Egli era preoccupato per sé: «quanto mi volete dare ... ? » (Mt 26,15).
Seguendo Gesù egli non era morto a se stesso, non aveva rinunciato alla propria vita, non si era preparato a perderla, a lasciarla cadere in terra come cade il seme destinato a portar frutto. Non seguiva Gesù per partecipare del suo compito di offrire la vita all'amore del Padre per la salvezza degli uomini. Chi segue Gesù, ma non è contento di Lui, e di Lui solo, sarà un traditore di Gesù.
Se Gesù non ti basta e non lo cerchi che per aiutarlo nel suo compito, porterai la testimonianza solo di un cuore vuoto, e la tua vita sarà sterile nel Regno di Dio, anche se avrai fatto grandi cose da meritare monumenti sulle piazze degli uomini.
4.
Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati (Mt 26,27)
Alleanza, è una parola che richiama impegni di vita.
Hai degli alleati? e i tuoi alleati sono potenti? allora sei fortunato perché i tuoi nemici devono tener conto non solo delle tue forze, ma anche delle loro. Ma anche tu devi tener conto delle debolezze dei tuoi alleati e delle loro necessità. La tua e la loro vita è legata in una comune sorte. Tra te e loro c'è un'unità di vita, come un solo sangue. Quando mio alleato è Dio, le fortune sono tutte mie. Nessun nemico potrà sopraffarmi: ho un alleato potente, ho un alleato pronto e sapiente. Mi posso fidare di Lui sempre.
Le sue preoccupazioni per le sue creature sono grandi. Ed io devo star attento a non imbarcarmi in imprese che a Lui non s'addicono, altrimenti mi ritrovo con le sole mie forze.
Egli è alleato di tutti, perciò non posso mettermi contro nessuno: rimarrei senza il suo appoggio.
Egli ha molti nemici, ma nessuno lo può toccare, perciò si scagliano contro di me, e se mi trovano distante da Lui canteranno vittoria.
Egli sa che non può pretendere nulla da me: che io sia alleato con Lui, a Lui non giova. Perciò per stipulare alleanza non chiede nulla a me. Il sangue usato per firmare l'accordo è quello del Figlio suo.
Io mi ritrovo sempre vittorioso, ma non per merito mio. Addirittura i peccati, miei nemici più intimi che sono arrivati a ferire la volontà e la memoria e gli affetti e l'intelligenza, addirittura questi nemici vengono allontanati e vinti dal mio Alleato, Dio. Egli li vince col sangue di Gesù. A me basta berlo. Farlo entrare in me. Il Suo è il Sangue della Alleanza: diventa vita in me. Quel sangue in me è l'unica cosa che vale, l'unica realtà che dura, l'unica fonte di vita nella mia vita. Quel sangue in me è il motivo che attira lo sguardo vigile di Dio e la porta attraverso cui Egli fa entrare le sue ricchezze nella mia vita: perché Egli non sopporta che i suoi alleati siano vuoti, miseri, straccioni... perciò mi riempie delle sue ricchezze, del suo grande amore, del Suo Spirito, della sua Volontà di salvezza, della sua simpatia per tutti i figli degli uomini e per tutte le creature. « Bevetene tutti ». Ne berrò anch'io, ogni giorno.
5.
Di per sé Gesù non ha nulla contro il sonno, e nemmeno contro il sonno tranquillo mentre sembra che caschi il mondo. Non ha Egli dormito pacificamente sulla barca che stava per naufragare? Ci sono però momenti nella vita in cui il sonno degli altri accentua enormemente la propria solitudine. Starsene solo era desiderio frequente di Gesù: esser solo per godere intimità col Padre. Ma nella notte in cui Egli sente abbattersi su di sé il tradimento, cerca la compagnia: non una compagnia di consolazione o di comprensione, ma un aiuto alla propria preghiera, quasi un sostegno alle braccia, come l'ebbe Mosè sul colle mentre Giosuè combatteva.
I suoi dormono. Gesù è proprio solo a portare il peso di ciò che avviene nella notte. E così la notte penetra l'anima di Gesù e copre della sua oscurità ogni pensiero e ogni affetto.
Solo il suo spirito conserva la luce dell'amore.
Questa solitudine notturna di Gesù è un'eredità che ricevono quelli che gli appartengono e che hanno il dono di partecipare del Suo Compito nel mondo.
Hai trovato amici, persone che ti stanno sempre vicino e ti apprezzano. Ma quando s'abbatte su di te la prova della notte non cercare appoggio dagli uomini, nemmeno dai più fidati e buoni. Essi dormono. Non s'accorgono della tua notte. Per essi la notte è una grazia in cui riposare le ossa. Ci sono momenti nella vita del discepolo di Gesù in cui egli deve far conto solo sulla Luce che non vede, sulla Forza che non sente, sull'Amore che non gode.
Sono momenti nei quali diviene indispensabile l'esperienza del deserto, momenti in cui raccogli il frutto dell'esserti abituato a stare a tu per tu con Dio, ad esserti accontentato della Sua Presenza. Allora, anche se non la senti più, sai che non può esser distante.
I momenti del dolore e del pianto ti maturano in questa solitudine. Impari a non fidarti e non poggiarti sugli amici.
Dovrai lasciarli dormire, mentre tu lotti contro le potenze nemiche, e vinci anche per loro.
6.
È difficile prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Soprattutto le conseguenze a lunga scadenza e quelle spirituali. Generalmente badiamo alle conseguenze immediate e a quelle che influiscono sul corpo
Pietro voleva difendere e difendersi. A nessuno sembra proibito, anzi difendere la propria vita è dovere sacrosanto di ciascuno!
Gesù vede ciò che Pietro non riusciva ancora ad osservare. Gesù vede avvicinarsi a Pietro nemici spirituali così grandi che non si vincono con la spada, anzi, che sono attirati della spada. E ancora Gesù vede le conseguenze di quel gesto proiettate nei secoli e nell’eternità. i discepoli dell’unico Maestro nuovo, che insegna cose che nessun altro maestro si sarebbe sognato di insegnare, avrebbero dovuto imparare ad amare i nemici, ad amarli! Primo segno dell’amore è incontrarli senza armi. Quella spada che torna nel fodero prima d'aver vinto e prima d'aver perso è una lezione pratica che i cristiani non si sono lasciati e non si lasceranno sfuggire.
Difendersi? perché? Se per Gesù è giunta l'ora della più grande prova dell'amore, arriverà anche per loro la stessa ora. Difendermi significa dimenticarmi d'esser membro vivo del Corpo di Cristo. Il suo corpo è schiacciato e sfigurato, perché Egli, Gesù, vuol togliere forza alla catena del male, vuol vincere il male col bene (Rm 12,21). Se lo dimentico, cerco di difendermi: ed è la porta che si apre ad una frotta d'altri nemici, più pericolosi, perché toccano il cuore e gli tolgono la somiglianza con Dio, il Dio dell'Amore.
Col mio difendermi entra in me la sfiducia nel Padre. Fosse nei suoi disegni, mi difenderebbe Egli stesso. Molte legioni d'Angeli sono pronte ad ubbidirgli. Col mio difendermi lascio poco o molto spazio ad uno spirito di giudizio e di condanna, e forse di odio, quando non ancora di rivalsa e di vendetta, contro colui che sembra mio nemico. Col mio difendermi sono portato a ritenere gli uomini nemici, mentre l'unico nemico dell'uomo è Colui che gli separa il cuore dal Cuore del Padre. La spada non ha forza contro questo nemico; l'unica forza ce l'ha l'amore. E la forza più grande dell’amore può sprigionarsi proprio quando vengo ferito, o nel corpo o nell'onore.
Rimetti la spada nel fodero, perché essa chiude la porta del cuore, cosicché non potrai più esser figlio, poiché t'impedisce d'amare. Semmai, dice S. Paolo prendi la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio (Ef 6,17): quella t'illuminerà per rimanere nell'amore anche quando attorno a te si scatena l'odio.
7.
Ho il dono della parola. Cioè so farmi intendere, in molti modi. La lingua si muove, e muovendosi tira fuori dalla vita molti altri movimenti che rendono il parlare vivace e pittoresco, tanto da far rivivere esperienze del passato, timori e speranze del futuro. Con le parole escono, quasi paggetti accompagnatori che attirano su di sé gli occhi e l'attenzione, paure e giudizi, rabbie e stupori, bontà e misericordia, dubbi e ironie, fede e incredulità, odi e simpatie. Ho il dono della parola. Ma non è un dono libero: l'ho legato a molti spiriti, buoni e cattivi, che si muovono nel cuore e attendono di comunicarsi agli altri. Attendono che escano le parole. Non per nulla qualcuno scrisse che uccide più la lingua che la spada, e S. Giacomo ancor oggi ci ricorda che la lingua è un veleno mortale (cf Gc 3,8) e Gesù dice che ogni parola riceve un premio o un castigo (cf Mt 12,36).
Ho il dono della parola. Vorrei che fosse dono libero, un dono che esprime solo libertà e lascia libertà a chi lo riceve. Potrà mai accadere? Nulla è impossibile e Dio!
Gesù sa parlare. Egli è la Parola. È l'unica Parola pronunciata con effetto, Parola detta dal Padre sul mondo e tornata al Padre liberamente. Gesù è la Parola.
Ma Gesù taceva! Le parole pronunciate dalla lingua di Gesù sono solo strumento che tirano fuori dal suo cuore í sentimenti di amore che il Padre vi ha messo, e quelli di misericordia e di perdono, quelli di pazienza e umiltà. Ma se davanti a Lui non c'è il cuore che li riceve, Gesù tace. A che pro le parole? Se il cuore di Caifa è già colmo di sentimenti, e non li vuol mollare, le parole di Gesù non farebbero che sprecare il dono di Dio: sarebbe come versare l'acqua sulla strada, come buttare il seme sui sassi o tra le spine.
Gesù taceva. Ma il suo silenzio non era silenzio di Dio! Egli rimaneva pur sempre parola d'amore, di mitezza e di forza. Forza che vince l'amor proprio, che vince e blocca l'odio, che respinge la vendetta, forza che mantiene nel cuore l'amore del Padre verso gli uomini anche quando tutte le potenze lo vorrebbero strappare dalle viscere.
Ho il dono della parola. Farò silenzio, tacerò: quando Tu mi chiederai di parlare, Gesù, dirò quel che Tu vorrai dire.
Sto in silenzio, affinché Tu riversi in me i tuoi sentimenti con la Tua presenza. E le parole delle mie labbra manifesteranno solo Te.
8.
Era proprio vero. Pietro non conosceva quell'Uomo.
Mentendo, Pietro ha detto una grande verità. Egli non conosceva ancora Gesù. Sì, superficialmente lo conosceva, lo aveva visto, toccato, udito, anche amato. Ma non era ancora entrato nel suo cuore. Pietro era rimasto fuori, a contemplare se stesso e preoccuparsi della propria sorte: e così era bene dire quel che ha detto; gli conveniva. Pietro non conosceva Gesù.
Per conoscere Gesù avrebbe dovuto cambiare occhi, avrebbe dovuto adoperare gli occhi del Padre. Egli usava ancora occhi di carne, quelli che vedono solo ciò che serve a difendersi, a cercar l'onore degli uomini, a star lontano dal dolore. E perciò di Gesù aveva visto ancora troppo poco, anzi, quasi nulla. Non lo aveva ancora visto come figlio del suo Dio. Se l'avesse visto così non avrebbe avuto timore di condividerne la sorte, come non ebbe timore il ladrone appeso alla sua destra. Se Pietro l'avesse conosciuto come Figlio di Dio, avrebbe desiderato calpestare le sue orme, percorrere le tappe del suo cammino, trovarsi partecipe delle stesse esperienze.
Conoscere Gesù è un cambiamento del proprio essere, della propria vita. È lasciar entrare il suo cuore nel nostro, è vivere il suo rapporto d'obbedienza al Padre, è rimettere la propria causa «a Colui che giudica con giustizia » (1Pt 2,23), è lasciarsi guidare da Lui, come le pecore dal pastore. Pietro lo ha imparato e lo ha scritto ai cristiani.
Quella notte terribile egli proprio non conosceva Gesù. Non gli apparteneva ancora: si riteneva padrone della propria vita, non l'aveva ancora abbandonata alla custodia e alla sapienza del Padre. Si fidava ancora di se stesso e così non poteva « conoscere » il Figlio. La conoscenza arriva con la partecipazione alla stessa missione, con la condivisione della stessa obbedienza.
Posso iniziare a conoscere il Figlio quando decido d’esser figlio per lo stesso Padre! Fino allora devo dire di non conoscerlo. Non mi basta sapere quel che ha detto e quel che ha fatto, e nemmeno stimarlo e volergli bene solo perché mi ama e mi tiene con sé e mi dà autorità. Comincio a conoscerlo quando soffro la sua solitudine, quando condivido il suo desiderio di salvezza per i peccatori, quando dico al Padre: «non la mia, ma la tua volontà sia fatta » (Mt 26,42), quando bevo qualcosa dal Suo calice amaro. Allora comincio a conoscerlo, e allora non avrò più nemmeno paura di dirlo ad alcuno: anzi, non occorrerà più dirlo, perché tutti lo vedranno come si vede una città edificata sul monte. Non puoi nasconderla, nemmeno alla violenza dell'assalto dei nemici.
9.
Chissà cosa se ne sarebbe fatto Pilato della eventuale risposta di Gesù. Che gli avesse detto di sì o di no non avrebbe mutato nulla delle sorti di Gesù, e nemmeno nel cuore del governatore. Eppure questa domanda può risvegliare nella mente di Gesù molti ricordi.
Un giorno i Giudei lo cercavano, lo volevano proclamare re. Egli non aveva voluto, altrimenti... Un giorno una donna aveva chiesto un posto per i suoi figli, alla sua destra e alla sua sinistra. Un altro giorno qualcuno gli aveva proposto tutti i regni della terra.
La parola « re » era già risuonata altre volte agli orecchi di Gesù, ma portava sempre un connotato di superiorità, dominio sugli altri, adorazione di Satana, uso della violenza, della forza. Non erano atteggiamenti che s'addicevano al Figlio, ad uno che avesse voluto rimanere Figlio del Padre di tutti.
Con quei connotati, quella parola assumeva un tono di paura e di confronto, richiamava l'odore del sangue dei ribelli e della polvere che respirano dalla terra gli adulatori che s'inchinano.
Gesù non ha mai inteso rendere l'uomo schiavo, nemmeno proprio schiavo, ma è venuto per dargli libertà.
Gesù non ha mai cercato d'essere re. Ma non ha d'altronde mai rifiutato che qualcuno accogliesse di vivere secondo la Sua sapienza, non ha mai allontanato qualcuno dall'obbedirgli proprio come ad un re! Egli non si impone come re, ma l'uomo può scegliere di servirlo come un re.
Per questo a Pilato Gesù risponde semplicemente: « tu lo dici ».
La misura della regalità di Gesù per Pilato la dava egli stesso.
La parola che usciva dalla bocca di Pilato, se fosse venuta dal cuore, sarebbe stata vera, ed egli allora - governatore e politico - gli avrebbe obbedito.
Subisce la stessa sorte di questa parola anche qualche altra. Qualche cristiano, anzi, io in persona, proclamo: « Tu sei il mio pastore »! Ma allora perché mi lamento se Egli mi conduce per vie faticose? Dico: « Sei il mio pane ». Ma allora come mai cerco nutrimento anche nelle parole degli uomini? Dico: « Gesù è il Salvatore ». Come mai allora cerco di difendermi? Dico: « Sei la luce ». E come mai non chiedo solo a Lui come vede le cose dal suo lato? Dico: « Sei l'amore ». E come mai talvolta vorrei che usasse violenza con qualcuno che mi fa soffrire? Dico: « Sei la strada ». Ma perché allora rimango ai bordi e guardo ciò che sta attorno quasi con rimpianto?
Dico: « Sei il mio re ». Sono io che lo dico. Egli mi dice solo che è mio servo e mio amico. Sono io che dico: « Sei il mio re ». Premessa: ti voglio ubbidire, voglio cercare i tuoi ordini. Conta su di me per la tua opera.
10.
Quando abbiamo dubbi, facciamo domande! Bene, segno di umiltà. Ma è segno di stoltezza interrogare le persone sbagliate. Esse poi potranno costringerci a fare la loro volontà, e sappiamo che ciò non è sapiente! Quel che è capitato a Pilato succede ancora, e i nuovi protagonisti siamo noi!
Cos'ha fatto Pilato? Sapeva che avevano portato Gesù davanti al suo tribunale per invidia. Si sa che quando l'invidia è padrona del cuore, quel cuore è accecato. Se interrogo quel cuore, chi mi risponde è l'invidia. Pilato ha avuto la stoltezza di interrogare cuori invidiosi, ormai lontani dalla libertà di giudizio e dalla saggezza del buon senso. La risposta dell’invidia poi non lascia libertà: diventerà costrizione e ricatto. Pilato è stato costretto a cedere alla forza che l'invidia ha scatenato quando si è vista così importante da esser interrogata.
La stoltezza di Pilato, purtroppo, ha ancora oggi le sue vittime. Non è lontano il tempo in cui io, prete, davo importanza alle interviste fatte da giornali o riviste più o meno qualificate. Le interviste si rivolgevano all'uomo della strada, senza alcun discernimento, e chiedevano: « Come volete che sia il prete? Cosa volete che faccia? » Alcuni degli intervistati erano in ascolto del Signore, ma la maggioranza era in ascolto solo... del proprio egoismo e delle proprie passioni. Le risposte erano conseguenti. La mia stoltezza nell'interrogare chiunque, mi rendeva schiavo, e attento a risposte che non venivano dal mio Dio. Le conseguenze portavano lontano da Lui. La stoltezza di me prete è stoltezza che si comunica anche a molti cristiani, che per il loro comportamento interrogano l'opinione pubblica, si lasciano orientare dalle ideologie vaganti dei partiti o degli economisti, che prestano ascolto e obbedienza al modo di fare di chi ha in mano riviste e televisione, di chi possiede soldi e idoli vari. Questi cristiani si ritrovano, dopo non molto tempo, così lontani dalla sapienza di Dio, che le loro voci si confondono con quelle che gridano: Barabba!
Gruppi interi di giovani, tramite questa stoltezza, hanno sostituito gli oratori con le discoteche, nei cinema parrocchiali sono entrati i film violenti e sessuali, nelle chiese le messe ultracorte, nella predicazione una languidezza tiepida, nelle case dei cristiani tutti i canali televisivi e ogni tipo di riviste atee, nei rapporti sociali le evasioni, nelle vacanze dei cristiani spese assurde per figli di Dio, nel loro lavoro una avidità insaziabile, nelle loro domeniche gli svaghi che allontanano dal Padre sempre più.
È ora di tornare alla sapienza di interrogare non la folla, ma solo lo Spirito che viene dall'Alto. Allora la nostra voce si distinguerà con chiarezza e avrà la luce di Gesù.
11.
Non vedeva altra uscita. Se voleva salvare la propria pelle, ormai Pilato doveva lasciar fare. Se ne lavò le mani. Era quello che s'aspettavano: poter fare di Gesù quel che volevano, renderlo odioso a tutti, mettendolo tra gli uomini da eliminare.
Si lavò le mani. Come dire, fate voi, io non c'entro con quel che voi fate: solo lasciate stare me. Lui sapeva che Gesù non meritava né la morte né la flagellazione. Sapeva ed era convinto che Gesù meritava ben altro. Lavandosi le mani con l'acqua se le dovette ritrovare sporche di sangue. Certo, egli non era responsabile della cattiveria di quel popolo urlante, ma si è reso responsabile del fatto che quella cattiveria abbia potuto prendere potere su Gesù.
I Pilato di oggi continuano a lavarsi le mani. Ma dopo non sono pulite!
Lo spirito di Pilato è presente a tentare tutti quelli che hanno responsabilità di fronte agli altri. Non solo nel governo delle nazioni, ma anche negli uffici delle varie grosse o piccole burocrazie, negli ambienti di lavoro, nelle sale d'albergo, nelle scuole, negli ospedali, sulle strade: dappertutto c'è gente che si lava le mani. Segno che sono sporche!
Addirittura nelle famiglie si instaura questo metodo: genitori che si lavano le mani della rovina dei propri figli.
Siamo in un mondo pulito perché tutti si lavano le mani? Credo proprio che ci sia bisogno di portare a termine le nostre responsabilità, i nostri compiti. La nostra vita non è un tempo libero. È sempre un tempo occupato dal compito che Dio ha affidato a ciascuno. Se di fronte agli uomini possiamo (?) lavarci le mani, non possiamo di certo farlo di fronte a Dio: Egli non ritira da me il compito di amare con il Suo amore, di ascoltare e obbedire il Suo Figlio, dì vivere con sapienza e di donare luce ai fratelli che inciampano nelle tenebre.
Dei vari compiti che Dio Padre mi ha affidato e mi affiderà renderò conto a Lui solo e da Lui solo riceverò il premio. Non mi lascerò distogliere dai rumori della folla agitata. Voglio salvare Gesù: non lo avvio alla scomparsa dalla mia vita perché molti gridano che non si può vivere di fede, che bisogna avere i piedi per terra, che non si può obbedire al Vangelo così com'è scritto perché esagera... Voglio salvare Gesù. Grideranno contro di me, ma non importa.
La vita vera non può morire.
12.
Intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra (Mt 27,29)
Ormai Gesù è la barzelletta di turno. I soldati erano pagati per eseguire ordini. La noia dell'abitudine va vinta con l'allegria, e l'allegria può essere vissuta a spese di colui che deve morire, di colui che non si vendicherà, di colui cui nessuno ormai verrà in aiuto. Ed ecco la fantasia sbizzarrirsi. Corona e scettro da re, omaggi da sovrano: corona che punge, canna che colpisce, omaggi che strappano l'anima. Ma l'uomo che ha venduto ogni propria responsabilità si diverte.
Nei nostri cuori cresce la compassione per l'Uomo torturato e malmenato, diventato barzelletta dei soldati. Ma Egli è ancora il più sveglio e il più presente. Egli è attento ancora a quei cuori che lo circondano. Agiscono così barbaramente, ma sono da compiangere. In essi non c'è più traccia di umanità. I loro occhi dicono il vuoto interiore. Non hanno venduto solo le proprie energie all'imperatore o a chi per lui, hanno spalancato le porte del cuore ad ogni «spirito dell'aria » (cf Ef 2,2) che opera liberamente in loro. Ora c'è aria di divertimento e scherno? Scherniamo e divertiamoci. Ora c'è aria di ironia? Ironizziamo. Ora c'è aria di barzelletta? Ci stiamo, ridiamo. Ora c'è aria di severità? Siamo severi! Ora c'è aria di licenziosità e morbosità sessuale? Le bandiere si muovono in direzione del vento. Gli spiriti dell'aria dominano l'atmosfera.
L'unico uomo libero e forte, che li vince e non si lascia smuovere da essi, né per seguirli né per resistervi, è Gesù. Guardando a Lui vedo la vera libertà. Il suo cuore rimane rivolto al Padre, libero di amare, tanto che a coloro che piangeranno per Lui, dirà: « Non per me, ma per voi stessi piangete » (Lc 23,28)!
L'uomo, anche se vivo e sano, è un pover'uomo da compiangere come morto, se nel suo cuore dominano tutte le arie che tirano, se nel suo cuore non è viva la Vita. Se l'uomo ha la Vita in sé, non si lascia smuovere da nulla. Può diventare addirittura la barzelletta del popolo, può esser deriso e calunniato, colpito a morte, raggiunto dal disonore delle malelingue: egli sa vedere coloro che si manifestano suoi nemici come persone povere, bisognose di tutto, bisognose di un amore grande, tanto grande per riuscire a svegliarle dall'intorpidimento che le rende irresponsabili, vuote, preda di ogni spirito vagante, schiave di coloro che gridano più forte.
Chi ha la Vita di Gesù in sé non ha più nulla da temere, poiché può tenere in mano la situazione spirituale anche quando è per burla coronato di spine.
13.
…dopo aver fatto flagellare Gesù... (Mt 27,26)
Con una parola detta così, quasi incidentalmente, Matteo riferisce una decisione di Pilato, una fatica di alcuni soldati, un'ora di sofferenze atroci di Gesù. Le sue mani, quelle che avevano accarezzato i bambini, toccato gli occhi del cieco nato, rialzato la figlia di Giairo e distribuito pane alla folla, quelle mani sono legate. Il suo corpo, che aveva portato la presenza e lo potenza del Padre è spogliato: i soldati lo possono vedere e toccare come vogliono, come qualsiasi altro corpo che è passato tra le loro mani. Sanguina sotto i colpi di flagello, come gli altri.
Il cuore di Gesù: noi vogliamo vedere il cuore di Gesù. Ogni colpo di flagello ha una ripercussione nel Suo cuore. Ognuno di quei colpi, che gli strappano la pelle e la carne, arriva dalla forza violenta di alcuni uomini, di alcuni soldati che nulla sapevano di Lui: sapevano solo che era un condannato a morire.
Gesù, con gli occhi chiusi, nei brevissimi istanti tra un flagello e l'altro, poteva solo ricordare le parole profetiche: «castigato, percosso da Dio e umiliato » (Is 53,4). «Le tue mani, Padre, si servono delle mani cariche d'odio e d'incoscienza di questi uomini pagati dall'uomo. Prendo questi colpi da loro, ma li accolgo come da Te. Questi colpi castigano il mio corpo: non ha fatto nulla di male, ma ha toccato il corpo dei peccatori, s'è lasciato toccare da loro; questi flagelli umiliano la mia anima: non s'è mai separata da Te, ma ha avuto compassione dell'adultera e del ladro, ha donato sorriso e comprensione ai samaritani e ai pagani. Questo colpo, e il prossimo, e quest'altro, li voglio accogliere come da Te, Padre: tu sai il perché! Tu sai quale bene ricavarne, Tu sai quale salvezza ne deriva per questi soldati e per altri tuoi figli. Tu sai. Tu sai. Io so che Tu sai già. Mi abbandono a Te. Non c'è delusione per coloro che confidano in Te (Dn 3,40). Confido in Te, mentre accolgo questa Tua Volontà, mentre bevo quest'amarezza ».
Dopo aver fatto flagellare Gesù... Pilato non sapeva cos'era successo. Nessuno sapeva cos'è successo nel cuore di Gesù.
Nessuno sa cosa succede nel cuore di colui che viene umiliato dagli uomini. Chi può sapere cosa succede nel cuore di chi non sa e non vuole difendersi dai flagelli pungenti degli uomini? Quale superiore può immaginare cosa succede nel cuore umiliato e non ascoltato e non compreso dell'inferiore?
Pilato non lo sa. Tu, Padre, lo sai. Nulla sfugge a Te.
14.
Incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui (Mt 26,32)
Portare la propria croce senza lamentarsi è una gran fatica e richiede tutta la fede di cui un cuore dispone. Prender su la croce di un altro, per quanto buono e santo possa essere, è un gesto da cui ci si guarda bene. Per questo, «lo costrinsero». Dev'esser stata dura per lui. Costretto a far la figura di condannato. L'avesse chiesto lui, il condannato..., ma no, i soldati lo costringono, solo perché passa di lì tornando dai campi.
Alcuni giorni dopo Simone sarà contento, e orgoglioso di aver portato la croce del Risorto, di aver aiutato il Figlio di Dio. Ma ora c'è la rabbia e il disprezzo e la voglia di scappar via presto.
È capitato anche a me qualche volta. Capita a tutti talvolta nella vita di esser chiamato controvoglia ad un compito gravoso, odioso, difficile. Non lo sai che sarà glorioso e fonte di gioia, e perciò cerchi di ribellarti un giorno, una settimana, anche più se puoi. Eppure una mano che ti pare mano di tiranno freddo e ingiusto, come la mano armata del soldato, ti obbliga e non puoi scegliere il rifiuto. Dopo, forse molto tempo dopo, saprai che quella mano era guidata da una Sapienza e da un Amore che non potrebbe essere più buono e grande. È proprio come la mano del vignaiolo che avvicina la dura e tagliente forbice al tralcio, e pota. All'epoca dei frutti se ne vedrà il perché, e si potrà lodare l'abilità e la decisione del vignaiolo, che, rischiando d'esser ritenuto crudele, ha esercitato così il suo amore.
Chissà come ha reagito Simone di Cirene, chissà cosa è sorto nel suo cuore alla notizia che quel condannato era risorto! Non lo sappiamo. So che cosa si muove nel mio cuore quando mi trovo in situazioni che gli somigliano. E so pure - ora - che non vorrei più ribellarmi a nulla: perché potrei ribellarmi ad una "costrizione" che mi porta salvezza. Ogni situazione in cui mi sento come obbligato posso viverla nella fiducia e nella serenità: dopo, tre giorni dopo, sarà motivo di gloria. Perciò godo già in anticipo che «ogni cosa torna a vantaggio per coloro che amano Dio» (Rm 8,28), come insegna s. Paolo.
Le piccole costrizioni più banali, provenienti da contrattempi, le grandi costrizioni che sembrano venire dalla cattiveria dell'uomo, mi aiutano solo ad abbandonarmi con fiducia alla sapienza e all'amore del Padre. Egli, per Simone, aveva previsto la gloria: per questo gli ha concesso di portare la croce di Gesù.
15.
Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra (Mt 27,38)
Stanno al posto di Giacomo e Giovanni, al posto cioè che i due apostoli avrebbero desiderato di occupare. Ma ad essi non è stato concesso. Alla destra e alla sinistra di Gesù stanno invece due ladroni.
Nessuno li chiama fortunati, eppure condividono la sorte del Figlio di Dio. Essi non lo meriterebbero, proprio perché meritano la morte. Sono peccatori per davvero. Sono ladroni. Nessuno piange la loro morte, nessuno li vuol salvare. Hanno ambedue dei grossi pesi sulla coscienza, nulla li distingue. Eppure, quale diversità tra essi! Ambedue cattivi, ambedue con un passato da far tremare, ambedue in punto di morte: eppure qualcosa li differenzia enormemente. Che cosa? Lo sguardo verso il terzo, verso Gesù. Il modo con cui guardano a Gesù li rende così diversi da diventare irriconoscibili.
Uno guarda a Gesù con odio e ironia, con disprezzo: tutto il suo passato di sangue diviene come una piuma in confronto al peso di questo sguardo di disperazione. L'altro guarda a Gesù con ammirazione, con amore. Questo sguardo gli solleva il cuore, gli illumina il volto. Il suo passato di sangue scompare come la neve al sole.
Sono solo due uomini tra i peggiori dell'umanità, ma la rappresentano tutta. Tutti gli uomini hanno il loro carico più o meno pesante, più o meno appariscente, più o meno consapevole di peccato e di male. Nulla li distingue. Essi non hanno nulla di sostanzialmente diverso Ma c'è il loro occhio che li fa essere addirittura di due mondi contrapposti. Chi guarda a Gesù con amore si ritrova unito a tutti gli altri che lo guardano con amore, sente crescere dall'amore per Gesù una fratellanza nuova e una giustificazione interiore che copre e annulla tutto il male e il peccato di cui si era reso complice e colpevole. Chi guarda a Gesù con ironia e odio si ritrova solo e senza speranza, si ritrova straziato interiormente, incapace di vivere e di donare amore agli uomini, si ritrova ad usare la parola amicizia per indicare il possesso comune dello stesso odio per Gesù e per chi gli appartiene.
I mondi sono due. Il mondo che si compiace di Gesù, anche se è in croce: questo è il mondo del Padre. Molti uomini, peccatori come gli altri, lo abitano, soffrendo le stesse pene di tutti, ma il loro sguardo si posa su Gesù con amore e obbedienza.
Il mondo che si ribella al dolore, che rifiuta la propria sofferenza, che respinge il proprio male acquistato col peccato, questo mondo guarda a Gesù con ironia e disprezzo.
Sul Calvario ci sono i due mondi. Sul Calvario si può scegliere a quale dei due mondi appartenere.
16.
Si fece buio su tutta la terra. (Mt 27,45)
È scomparsa la Luce. Mentre sta morendo la vera «Luce del mondo » deve scomparire anche la sua «ombra ». Le realtà create, come appunto la luce, sono ombra dell'unica vera realtà, che è il Cristo, ci insegna s. Paolo (Col 2,17). L'ombra scompare, quando scompare la Realtà. Proprio come se ne va la luce e la gioia dagli occhi dell'uomo che ha deciso di non guardare più verso il Signore.
Si fece buio.
È il momento più importante della storia dell'umanità, della storia dell'amore di Dio, il momento in cui l'amore sulla terra è più forte e intenso. È il momento in cui Dio Amore è più che mai presente e attivo nel cuore d'un uomo odiato e messo a morte.
Ma quando Dio viene sulla terra, quando Dio agisce in essa, l'uomo non può vedere. Perciò «sì fece buio».
Dio agisce nella notte.
Dio non vuole nascondersi. Ma l'uomo non lo può vedere se non dopo che è passato, come fu rivelato ad Elia sul monte.
Quando Dio è all'opera, l'uomo non vede nulla: i suoi occhi sono solo abituati alle cose che passano, alle realtà della carne, a ciò che è superficiale. L'azione e la presenza di Dio acceca gli occhi normali dell'uomo, come il sole.
Perciò Dio agisce nella notte dell'uomo: s'incontra con lui nel sogno, s'incontra a lottare con lui nel buio, viene al mondo nella carne quando gli uomini dormono. Dio agisce quando l'uomo non vede e non sente, quando l'uomo non agisce: la Sua azione non deve lasciar dubbi né confondersi con quella dell'uomo. Perciò Egli agisce nella notte. La notte è abituata ad accompagnare l'azione e la Presenza di Dio, perciò eccola in questo momento in cui l'Amore del Padre e l'ubbidienza del Figlio si fondono.
La notte nasconde all'uomo i segreti di Dio, il realizzarsi delle sue meraviglie. L'uomo le troverà come una sorpresa in cui egli è stato solo assente, se non addirittura impedimento! L'uomo troverà le meraviglie di Dio già compiute, come le donne troveranno la pietra del sepolcro già rotolata via.
E così continua ad accadere. Ogni tanto per l'uomo di Dio si fa buio. Di tanto in tanto gli viene accordata la notte.
Accettare? Lottare? È il momento dell'opera di Dio.
Godere, sarebbe l'atteggiamento suggerito dall'esperienza della fede. Attesa fiduciosa è nel cuore che non vede, ma che sa i modi di fare del Dio dell'Amore: fiducia della fede e dolore della carne si mescolano nella speranza.
17.
Il buio della notte imprevista del pomeriggio non toglie solo i colori alle realtà circostanti, ma penetra l'anima di Gesù. Egli non vede più il Padre. Si era abituato a contemplarlo nelle notti di preghiera, ne vedeva i cenni nelle giornate normali, ne ammirava le opere meravigliose della creazione e guardando gli uccelli semplicemente riusciva a vederne l'amore concreto e fedele per gli uomini. Gli occhi del suo cuore s'erano fatti attenti al Padre, ma ora è notte: non lo vede più. Così comprende il grido del salmista, che esprime il travaglio interiore di molti uomini abituati a vivere con Dio, abituati a considerare la vita come segno della presenza divina, e che d'un tratto s'accorgono che la vita sfugge, che il bene fatto e le fatiche sopportate non danno il frutto sperato. Comprende quel grido, lo prende con sé: Mio Dio, mio Dio, perché? Perché non ci sei più? Perché non adoperi potenza per me, che sono tuo? perché ti lasci vincere dalle forze del male che mi assalgono?
Gesù vive l'orlo della disperazione vissuto da molte persone, per non dire tutte. Sì, in vari momenti della vita anch'io ho usato queste parole: Dio non agiva più per me. Sembrava essersi messo contro di me. Non lo vedevo più.
Gesù però si rivolge a quel Dio che non vede. Grida verso di lui anche se non lo vede e non lo sente. Egli sì, il Padre continua a vedere, ad udire Gesù.
Anzi: potremmo ora ricordare a Gesù quel che Egli stesso aveva poche ore prima affermato: « Io e il Padre siamo una cosa sola » (Gv 10,30)! Gesù, tu non vedi il Padre perché sei uno solo con Lui. Tu gli sei talmente unito, sei talmente immerso in lui, che non lo puoi più vedere. Tu ora sei diventato Amore, Tu ora sei l'Amore del Padre per tutto il mondo. Non lo puoi vedere, non perché si sia allontanato, ma perché Tu stai raggiungendo la pienezza dell'unità di amore con Lui. Ora la tua ubbidienza è giunta al punto da fondere il tuo Spirito col Suo, e non distinguere più due amori, il Tuo e quello del Padre: essi sono un solo amore.
Potessi dirlo a tutti quelli che soffrono « l'abbandono di Dio » dopo aver fatto la Sua Volontà! Quale consolazione sapere che nel momento dell'obbedienza più cruda e priva di consolazione e di luce Dio stesso si fonde in noi, tanto da trasformarci in puro amore, dono senza ricompensa, a sua somiglianza!
Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
18.
Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, ... dicevano: « Davvero costui era Figlio di Dio » (Mt 27,54)
Troppo tardi, pensano gli uomini! ormai troppo tardi! ma non è certamente questo il riflesso della vita del crocifisso, di Gesù. Egli è venuto proprio per questo, perché gli uomini, i peccatori, si accorgano di Dio, del Suo Amore, perché vedendo lui siano illuminati. Prima che Gesù arrivasse a portare a compimento il suo amore di Figlio, gli uomini potevano solo accorgersi in parte di esso. Solo ora possono arrivare alla perfezione della fede, ora che Egli ha dato la vita, ora che l'ha consegnata totalmente al Padre.
Il centurione, preceduto solo dal ladrone, è il primo ad accorgersi di Dio guardando a Gesù morto, ucciso dall'odio per mano propria.
Guardando Gesù, il centurione s'è accorto della Presenza di un unico amore, nascosto dalle grida e dai rumori, dalle tenebre e dall'odio. È l'amore di figlio che presenta se stesso al Padre così com'è, in balia di onde umane, è l'amore di Padre che lascia agli uomini facoltà di distruggere perché s'accorgano che in se stessi non è la vita, perché s'accorgano del vuoto del proprio cuore e vedano dove sta il vero amore cui accostarsi per esserne riempiti. Guardando il cadavere di Gesù, il centurione stupisce, apre la bocca ammirato per dire con una sola parola la propria stoltezza e menzogna e la Verità di Dio.
Il grano è appena morto, e già noi vediamo i primi frutti. Proprio i soldati si ritrovano nel cuore una nuova vita: quella del Figlio. «Chi ha il Figlio ha la vita » (1Gv 5,12). Essi lo riconoscono, ed ecco in loro un distacco dal proprio passato, dall'azione che avevano appena eseguito, dalla propria stoltezza finora ritenuta saggezza, dalla propria incredulità.
Troppo tardi? No: ora è il tempo, ora soltanto è giunto il tempo vero. Solo con la morte di Gesù è arrivato il tempo della luce, della verità, della fede, della salvezza.
Dire che il centurione s'è accorto troppo tardi sarebbe misconoscere il disegno di Dio, ritenere inutile o non necessario il sacrificio di Gesù.
Diremo invece: grazie! Grazie a Gesù per la sua morte: da essa arriva agli uomini la vita, dalla sua morte giunge a noi la grazia!
Dovremmo dire: finalmente Gesù è morto, così il Suo Spirito può riversarsi in noi, il Suo amore di figlio al Padre può cambiare i nostri occhi e dirigere le nostre mani verso l'amore ai fratelli.
Grazie Gesù per la tua morte: ora puoi adoperare il nostro corpo e il nostro cuore per amare, per godere del Padre, per vivere riversando in noi il Tuo Spirito! Davvero sei Tu il Figlio di Dio!
Ora puoi adoperare le mie sconfitte, la mia morte, per permettere ad altri di accorgersi del Padre, trovando vita nuova nell'amicizia con TE!
Nulla osta: Mons. Iginio Rogger, cens. eccl. - Trento, 11 aprile 1984
GESÙ TACEVA
«Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto!»
(Gv 19,37)
La passione di Gesù non è solo il momento culminante del Suo amore, è anche il momento in cui Egli si manifesta come segno di contraddizione!
La Sua Vita, qui soprattutto, è luce per la vita dell’uomo.
Qualche sprazzo di luce sulle nostre ombre ci lascia intravedere peccati di cui umiliarci e doni di cui godere!
don Vigilio Coví
1.
Ma dicevano:
«non durante la festa,
perché non avvengano tumulti fra il popolo » (Mt 26,5)
Cercavano il bene del popolo. Una decisione è già presa nei loro cuori: Egli deve morire. La si realizzerà nel modo più pulito possibile. Nessuna possibilità di rimetterla in discussione: comporterebbe gravi conseguenze, soprattutto quella di dover modificare il proprio cuore.
Come mai si arriva a tanto? Non si è interrogato Dio, il Padre. Il Padre non è stato interpellato. Non è venuto in mente a nessuno, o è stato volutamente dimenticato. Si sa, il Padre fa gli interessi di tutti, a scapito dei « nostri ». E perciò non lo « scomodiamo ». Sarebbe andar contro noi stessi.
… Mettermi ad ascoltare Dio sarebbe ammettere che ci potrebbe essere, forse, qualche altro atteggiamento, qualche altra soluzione ai problemi; sarebbe ammettere l'ignoranza della propria intelligenza. Io so, o, perlomeno credo di sapere abbastanza dove sta il bene e dov'è il male. Non ha l'uomo mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male? Egli perciò può far senza Dio. So regolarmi da solo! …
Da questa convinzione dell'uomo, da questa mia convinzione, nascono le più grandi... ingiustizie. L'uomo che sa, o crede di conoscere il bene ed il male, va per le sue strade intralciando quelle dei fratelli, ostacolandoli fino a metterli in croce.
E lo fa in modo tale che nessuno s'accorge. Egli sa di fare « il bene ».
Ma non è ubbidienza al Padre. Se non hai interpellato esplicitamente il Padre, non un Dio qualsiasi, ogni bene che tu pensi o fai può essere calcolo, può essere egoismo mascherato, può essere diplomazia.
Ascolterò Te, Padre, origlierò al tuo cuore che ama e vuole salvare. Troverò nuovi atteggiamenti e nuove parole, troverò il vero bene duraturo per tutto il popolo donandoti la mia ubbidienza.
2.
Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura (Mt 26,12)
Gesù sta interpretando bene un fatto interpretato male da tutti gli altri. Una donna aveva spezzato un vaso d'alabastro versando un capitale di olio profumato. Spreco, visto da loro. Atto profetico, visto da Gesù.
Ed io lo vedo con stupore: sento anch'io la forza dell'opinione pubblica e della mentalità corrente che dà al denaro un grande valore in vista di un servizio ai poveri, di contribuire ad eliminare la povertà. Ma vedo anche la bellezza e la pienezza di un gesto che per amore di Gesù non risparmia i milioni.
Concepire il denaro in funzione di sollevare i poveri o di arricchirli può portare con sé il pericolo di ritenere o di dar da intendere che la salvezza dell'uomo stia nel combattere la povertà: ed allora rimarrei ingannato e sarei ingannatore proprio dei poveri.
Anche per essi non c'è altra salvezza che Gesù; anche per essi l'unico nome da cui sono e saranno « salvati » è quello del Figlio di Dio!
Perciò vedo con simpatia le ricchezze « sprecate » per Gesù. Non sono poi sprecate, servono invece a mettere in risalto l'unica Verità e Realtà stabile per l'uomo. Allora esse giungono alla destinazione ultima per cui sono state create: « in vista di Lui » dice S. Giovanni. Allora esse finalmente sono liberate: « La creazione, infatti, nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Il profumo di Maria, comprato da lei perché diventi strumento del suo peccato, per attirare gli uomini in casa, per essere centro d'attenzione, per rivolgere a sé gli sguardi e i passi degli avidi di piacere, trova finalmente libertà da quella schiavitù. Ora, versato tutto sul corpo di Gesù, attirerà gli uomini a Lui.
Il vaso è spezzato, l'olio tutto versato. Maria esprime così una decisione profonda: « Mai più mi metterò al centro dell'attenzione, non attirerò più gli uomini a ricevere piacere da me. Io non dividerò più l'amore del mio cuore con i peccatori. Mi lascerò attirare solo dalla purezza del cuore di Gesù, l'unico a cui tutti devono guardare per avere salvezza. I poveri saranno aiutati di più se saranno aiutati ad avvicinarsi a Gesù che se venissero vestiti bene per due settimane e sfamati per tre giorni. Con Gesù, accorgendosi di Lui, anche il loro cuore potrà aprirsi a godere perdono e amicizia vera. »
E Gesù comprende che il gesto di Maria è una profezia. Gli ricorda quel che Egli stesso aveva detto: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me » (Gv 12,32).
Quel profumo inizia già ad attirare. È giunta l'ora, l'ora della croce.
3.
Uno dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti (Mt 26,14)
È alla ricerca. Gesù non gli basta. L'amicizia di Gesù non lo riempie. Egli gli ha dato anche fiducia, gli ha affidato un incarico per tutti gli altri Undici: lo ha fatto amministrare dei beni del gruppo.
Anche gli uomini fanno così. Vedono una persona malcontenta, le danno fiducia, la coprono di incarichi, le cambiano il posto, cercano di accontentarla. Il malcontento non diminuisce. È una malattia del cuore. Un cuore mai contento è un cuore che mostra egoismo. Cerca per sé, ma nulla lo soddisfa, nulla lo riempie. Nulla lo sazierà. Il cuore egoista è senza fondo.
L'unica cosa che sazia l'uomo è il donare se stesso. Chi dona se stesso, tempo e fatiche, costui colmerà il cuore fino a traboccare gioia. Ma la tendenza dell'uomo è spesso quella del cercare per sé. E costui, anche se trova Gesù, gli va dietro per avere, per ricevere. Vuole ricevere consolazione, vuole avere entusiasmi, vuole trovare possibilità di realizzarsi, vuole gioia e comodità e, perché no?, onori. Vuole esser stimato dalla gente, come Gesù è stimato, ma senza passare per il rifiuto di tutti. E se nel suo modo di seguire Gesù non trova queste cose... incolpa Gesù stesso, e gli altri suoi discepoli. Va a riferire, va a parlar male, va a mormorare. Va dall'autorità, va a cercare. Porta ovunque la tristezza del suo volto, la testimonianza del suo egocentrismo. Quasi come Giuda. Egli era preoccupato per sé: «quanto mi volete dare ... ? » (Mt 26,15).
Seguendo Gesù egli non era morto a se stesso, non aveva rinunciato alla propria vita, non si era preparato a perderla, a lasciarla cadere in terra come cade il seme destinato a portar frutto. Non seguiva Gesù per partecipare del suo compito di offrire la vita all'amore del Padre per la salvezza degli uomini. Chi segue Gesù, ma non è contento di Lui, e di Lui solo, sarà un traditore di Gesù.
Se Gesù non ti basta e non lo cerchi che per aiutarlo nel suo compito, porterai la testimonianza solo di un cuore vuoto, e la tua vita sarà sterile nel Regno di Dio, anche se avrai fatto grandi cose da meritare monumenti sulle piazze degli uomini.
4.
Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati (Mt 26,27)
Alleanza, è una parola che richiama impegni di vita.
Hai degli alleati? e i tuoi alleati sono potenti? allora sei fortunato perché i tuoi nemici devono tener conto non solo delle tue forze, ma anche delle loro. Ma anche tu devi tener conto delle debolezze dei tuoi alleati e delle loro necessità. La tua e la loro vita è legata in una comune sorte. Tra te e loro c'è un'unità di vita, come un solo sangue. Quando mio alleato è Dio, le fortune sono tutte mie. Nessun nemico potrà sopraffarmi: ho un alleato potente, ho un alleato pronto e sapiente. Mi posso fidare di Lui sempre.
Le sue preoccupazioni per le sue creature sono grandi. Ed io devo star attento a non imbarcarmi in imprese che a Lui non s'addicono, altrimenti mi ritrovo con le sole mie forze.
Egli è alleato di tutti, perciò non posso mettermi contro nessuno: rimarrei senza il suo appoggio.
Egli ha molti nemici, ma nessuno lo può toccare, perciò si scagliano contro di me, e se mi trovano distante da Lui canteranno vittoria.
Egli sa che non può pretendere nulla da me: che io sia alleato con Lui, a Lui non giova. Perciò per stipulare alleanza non chiede nulla a me. Il sangue usato per firmare l'accordo è quello del Figlio suo.
Io mi ritrovo sempre vittorioso, ma non per merito mio. Addirittura i peccati, miei nemici più intimi che sono arrivati a ferire la volontà e la memoria e gli affetti e l'intelligenza, addirittura questi nemici vengono allontanati e vinti dal mio Alleato, Dio. Egli li vince col sangue di Gesù. A me basta berlo. Farlo entrare in me. Il Suo è il Sangue della Alleanza: diventa vita in me. Quel sangue in me è l'unica cosa che vale, l'unica realtà che dura, l'unica fonte di vita nella mia vita. Quel sangue in me è il motivo che attira lo sguardo vigile di Dio e la porta attraverso cui Egli fa entrare le sue ricchezze nella mia vita: perché Egli non sopporta che i suoi alleati siano vuoti, miseri, straccioni... perciò mi riempie delle sue ricchezze, del suo grande amore, del Suo Spirito, della sua Volontà di salvezza, della sua simpatia per tutti i figli degli uomini e per tutte le creature. « Bevetene tutti ». Ne berrò anch'io, ogni giorno.
5.
E, tornato di nuovo, trovò i suoi che dormivano (Mt 26,43)
Di per sé Gesù non ha nulla contro il sonno, e nemmeno contro il sonno tranquillo mentre sembra che caschi il mondo. Non ha Egli dormito pacificamente sulla barca che stava per naufragare? Ci sono però momenti nella vita in cui il sonno degli altri accentua enormemente la propria solitudine. Starsene solo era desiderio frequente di Gesù: esser solo per godere intimità col Padre. Ma nella notte in cui Egli sente abbattersi su di sé il tradimento, cerca la compagnia: non una compagnia di consolazione o di comprensione, ma un aiuto alla propria preghiera, quasi un sostegno alle braccia, come l'ebbe Mosè sul colle mentre Giosuè combatteva.
I suoi dormono. Gesù è proprio solo a portare il peso di ciò che avviene nella notte. E così la notte penetra l'anima di Gesù e copre della sua oscurità ogni pensiero e ogni affetto.
Solo il suo spirito conserva la luce dell'amore.
Questa solitudine notturna di Gesù è un'eredità che ricevono quelli che gli appartengono e che hanno il dono di partecipare del Suo Compito nel mondo.
Hai trovato amici, persone che ti stanno sempre vicino e ti apprezzano. Ma quando s'abbatte su di te la prova della notte non cercare appoggio dagli uomini, nemmeno dai più fidati e buoni. Essi dormono. Non s'accorgono della tua notte. Per essi la notte è una grazia in cui riposare le ossa. Ci sono momenti nella vita del discepolo di Gesù in cui egli deve far conto solo sulla Luce che non vede, sulla Forza che non sente, sull'Amore che non gode.
Sono momenti nei quali diviene indispensabile l'esperienza del deserto, momenti in cui raccogli il frutto dell'esserti abituato a stare a tu per tu con Dio, ad esserti accontentato della Sua Presenza. Allora, anche se non la senti più, sai che non può esser distante.
I momenti del dolore e del pianto ti maturano in questa solitudine. Impari a non fidarti e non poggiarti sugli amici.
Dovrai lasciarli dormire, mentre tu lotti contro le potenze nemiche, e vinci anche per loro.
6.
Rimetti la spada nel fodero (Mt 26,52)
È difficile prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Soprattutto le conseguenze a lunga scadenza e quelle spirituali. Generalmente badiamo alle conseguenze immediate e a quelle che influiscono sul corpo
Pietro voleva difendere e difendersi. A nessuno sembra proibito, anzi difendere la propria vita è dovere sacrosanto di ciascuno!
E perché allora l’ordine di rimettere la spada nel fodero?
Gesù vede ciò che Pietro non riusciva ancora ad osservare. Gesù vede avvicinarsi a Pietro nemici spirituali così grandi che non si vincono con la spada, anzi, che sono attirati della spada. E ancora Gesù vede le conseguenze di quel gesto proiettate nei secoli e nell’eternità. i discepoli dell’unico Maestro nuovo, che insegna cose che nessun altro maestro si sarebbe sognato di insegnare, avrebbero dovuto imparare ad amare i nemici, ad amarli! Primo segno dell’amore è incontrarli senza armi. Quella spada che torna nel fodero prima d'aver vinto e prima d'aver perso è una lezione pratica che i cristiani non si sono lasciati e non si lasceranno sfuggire.
Difendersi? perché? Se per Gesù è giunta l'ora della più grande prova dell'amore, arriverà anche per loro la stessa ora. Difendermi significa dimenticarmi d'esser membro vivo del Corpo di Cristo. Il suo corpo è schiacciato e sfigurato, perché Egli, Gesù, vuol togliere forza alla catena del male, vuol vincere il male col bene (Rm 12,21). Se lo dimentico, cerco di difendermi: ed è la porta che si apre ad una frotta d'altri nemici, più pericolosi, perché toccano il cuore e gli tolgono la somiglianza con Dio, il Dio dell'Amore.
Col mio difendermi entra in me la sfiducia nel Padre. Fosse nei suoi disegni, mi difenderebbe Egli stesso. Molte legioni d'Angeli sono pronte ad ubbidirgli. Col mio difendermi lascio poco o molto spazio ad uno spirito di giudizio e di condanna, e forse di odio, quando non ancora di rivalsa e di vendetta, contro colui che sembra mio nemico. Col mio difendermi sono portato a ritenere gli uomini nemici, mentre l'unico nemico dell'uomo è Colui che gli separa il cuore dal Cuore del Padre. La spada non ha forza contro questo nemico; l'unica forza ce l'ha l'amore. E la forza più grande dell’amore può sprigionarsi proprio quando vengo ferito, o nel corpo o nell'onore.
Rimetti la spada nel fodero, perché essa chiude la porta del cuore, cosicché non potrai più esser figlio, poiché t'impedisce d'amare. Semmai, dice S. Paolo prendi la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio (Ef 6,17): quella t'illuminerà per rimanere nell'amore anche quando attorno a te si scatena l'odio.
7.
Ma Gesù taceva (Mt 26,63)
Ho il dono della parola. Cioè so farmi intendere, in molti modi. La lingua si muove, e muovendosi tira fuori dalla vita molti altri movimenti che rendono il parlare vivace e pittoresco, tanto da far rivivere esperienze del passato, timori e speranze del futuro. Con le parole escono, quasi paggetti accompagnatori che attirano su di sé gli occhi e l'attenzione, paure e giudizi, rabbie e stupori, bontà e misericordia, dubbi e ironie, fede e incredulità, odi e simpatie. Ho il dono della parola. Ma non è un dono libero: l'ho legato a molti spiriti, buoni e cattivi, che si muovono nel cuore e attendono di comunicarsi agli altri. Attendono che escano le parole. Non per nulla qualcuno scrisse che uccide più la lingua che la spada, e S. Giacomo ancor oggi ci ricorda che la lingua è un veleno mortale (cf Gc 3,8) e Gesù dice che ogni parola riceve un premio o un castigo (cf Mt 12,36).
Ho il dono della parola. Vorrei che fosse dono libero, un dono che esprime solo libertà e lascia libertà a chi lo riceve. Potrà mai accadere? Nulla è impossibile e Dio!
Gesù sa parlare. Egli è la Parola. È l'unica Parola pronunciata con effetto, Parola detta dal Padre sul mondo e tornata al Padre liberamente. Gesù è la Parola.
Ma Gesù taceva! Le parole pronunciate dalla lingua di Gesù sono solo strumento che tirano fuori dal suo cuore í sentimenti di amore che il Padre vi ha messo, e quelli di misericordia e di perdono, quelli di pazienza e umiltà. Ma se davanti a Lui non c'è il cuore che li riceve, Gesù tace. A che pro le parole? Se il cuore di Caifa è già colmo di sentimenti, e non li vuol mollare, le parole di Gesù non farebbero che sprecare il dono di Dio: sarebbe come versare l'acqua sulla strada, come buttare il seme sui sassi o tra le spine.
Gesù taceva. Ma il suo silenzio non era silenzio di Dio! Egli rimaneva pur sempre parola d'amore, di mitezza e di forza. Forza che vince l'amor proprio, che vince e blocca l'odio, che respinge la vendetta, forza che mantiene nel cuore l'amore del Padre verso gli uomini anche quando tutte le potenze lo vorrebbero strappare dalle viscere.
Ho il dono della parola. Farò silenzio, tacerò: quando Tu mi chiederai di parlare, Gesù, dirò quel che Tu vorrai dire.
Sto in silenzio, affinché Tu riversi in me i tuoi sentimenti con la Tua presenza. E le parole delle mie labbra manifesteranno solo Te.
8.
Non conosco quell'uomo (Mt 26,72)
Era proprio vero. Pietro non conosceva quell'Uomo.
Mentendo, Pietro ha detto una grande verità. Egli non conosceva ancora Gesù. Sì, superficialmente lo conosceva, lo aveva visto, toccato, udito, anche amato. Ma non era ancora entrato nel suo cuore. Pietro era rimasto fuori, a contemplare se stesso e preoccuparsi della propria sorte: e così era bene dire quel che ha detto; gli conveniva. Pietro non conosceva Gesù.
Per conoscere Gesù avrebbe dovuto cambiare occhi, avrebbe dovuto adoperare gli occhi del Padre. Egli usava ancora occhi di carne, quelli che vedono solo ciò che serve a difendersi, a cercar l'onore degli uomini, a star lontano dal dolore. E perciò di Gesù aveva visto ancora troppo poco, anzi, quasi nulla. Non lo aveva ancora visto come figlio del suo Dio. Se l'avesse visto così non avrebbe avuto timore di condividerne la sorte, come non ebbe timore il ladrone appeso alla sua destra. Se Pietro l'avesse conosciuto come Figlio di Dio, avrebbe desiderato calpestare le sue orme, percorrere le tappe del suo cammino, trovarsi partecipe delle stesse esperienze.
Conoscere Gesù è un cambiamento del proprio essere, della propria vita. È lasciar entrare il suo cuore nel nostro, è vivere il suo rapporto d'obbedienza al Padre, è rimettere la propria causa «a Colui che giudica con giustizia » (1Pt 2,23), è lasciarsi guidare da Lui, come le pecore dal pastore. Pietro lo ha imparato e lo ha scritto ai cristiani.
Quella notte terribile egli proprio non conosceva Gesù. Non gli apparteneva ancora: si riteneva padrone della propria vita, non l'aveva ancora abbandonata alla custodia e alla sapienza del Padre. Si fidava ancora di se stesso e così non poteva « conoscere » il Figlio. La conoscenza arriva con la partecipazione alla stessa missione, con la condivisione della stessa obbedienza.
Posso iniziare a conoscere il Figlio quando decido d’esser figlio per lo stesso Padre! Fino allora devo dire di non conoscerlo. Non mi basta sapere quel che ha detto e quel che ha fatto, e nemmeno stimarlo e volergli bene solo perché mi ama e mi tiene con sé e mi dà autorità. Comincio a conoscerlo quando soffro la sua solitudine, quando condivido il suo desiderio di salvezza per i peccatori, quando dico al Padre: «non la mia, ma la tua volontà sia fatta » (Mt 26,42), quando bevo qualcosa dal Suo calice amaro. Allora comincio a conoscerlo, e allora non avrò più nemmeno paura di dirlo ad alcuno: anzi, non occorrerà più dirlo, perché tutti lo vedranno come si vede una città edificata sul monte. Non puoi nasconderla, nemmeno alla violenza dell'assalto dei nemici.
9.
Sei tu il re dei Giudei? (Mt 27,11)
Chissà cosa se ne sarebbe fatto Pilato della eventuale risposta di Gesù. Che gli avesse detto di sì o di no non avrebbe mutato nulla delle sorti di Gesù, e nemmeno nel cuore del governatore. Eppure questa domanda può risvegliare nella mente di Gesù molti ricordi.
Un giorno i Giudei lo cercavano, lo volevano proclamare re. Egli non aveva voluto, altrimenti... Un giorno una donna aveva chiesto un posto per i suoi figli, alla sua destra e alla sua sinistra. Un altro giorno qualcuno gli aveva proposto tutti i regni della terra.
La parola « re » era già risuonata altre volte agli orecchi di Gesù, ma portava sempre un connotato di superiorità, dominio sugli altri, adorazione di Satana, uso della violenza, della forza. Non erano atteggiamenti che s'addicevano al Figlio, ad uno che avesse voluto rimanere Figlio del Padre di tutti.
Con quei connotati, quella parola assumeva un tono di paura e di confronto, richiamava l'odore del sangue dei ribelli e della polvere che respirano dalla terra gli adulatori che s'inchinano.
Gesù non ha mai inteso rendere l'uomo schiavo, nemmeno proprio schiavo, ma è venuto per dargli libertà.
Gesù non ha mai cercato d'essere re. Ma non ha d'altronde mai rifiutato che qualcuno accogliesse di vivere secondo la Sua sapienza, non ha mai allontanato qualcuno dall'obbedirgli proprio come ad un re! Egli non si impone come re, ma l'uomo può scegliere di servirlo come un re.
Per questo a Pilato Gesù risponde semplicemente: « tu lo dici ».
La misura della regalità di Gesù per Pilato la dava egli stesso.
La parola che usciva dalla bocca di Pilato, se fosse venuta dal cuore, sarebbe stata vera, ed egli allora - governatore e politico - gli avrebbe obbedito.
Subisce la stessa sorte di questa parola anche qualche altra. Qualche cristiano, anzi, io in persona, proclamo: « Tu sei il mio pastore »! Ma allora perché mi lamento se Egli mi conduce per vie faticose? Dico: « Sei il mio pane ». Ma allora come mai cerco nutrimento anche nelle parole degli uomini? Dico: « Gesù è il Salvatore ». Come mai allora cerco di difendermi? Dico: « Sei la luce ». E come mai non chiedo solo a Lui come vede le cose dal suo lato? Dico: « Sei l'amore ». E come mai talvolta vorrei che usasse violenza con qualcuno che mi fa soffrire? Dico: « Sei la strada ». Ma perché allora rimango ai bordi e guardo ciò che sta attorno quasi con rimpianto?
Dico: « Sei il mio re ». Sono io che lo dico. Egli mi dice solo che è mio servo e mio amico. Sono io che dico: « Sei il mio re ». Premessa: ti voglio ubbidire, voglio cercare i tuoi ordini. Conta su di me per la tua opera.
Tu sei re: io lo dico!
10.
Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù? (Mt 27,17)
Quando abbiamo dubbi, facciamo domande! Bene, segno di umiltà. Ma è segno di stoltezza interrogare le persone sbagliate. Esse poi potranno costringerci a fare la loro volontà, e sappiamo che ciò non è sapiente! Quel che è capitato a Pilato succede ancora, e i nuovi protagonisti siamo noi!
Cos'ha fatto Pilato? Sapeva che avevano portato Gesù davanti al suo tribunale per invidia. Si sa che quando l'invidia è padrona del cuore, quel cuore è accecato. Se interrogo quel cuore, chi mi risponde è l'invidia. Pilato ha avuto la stoltezza di interrogare cuori invidiosi, ormai lontani dalla libertà di giudizio e dalla saggezza del buon senso. La risposta dell’invidia poi non lascia libertà: diventerà costrizione e ricatto. Pilato è stato costretto a cedere alla forza che l'invidia ha scatenato quando si è vista così importante da esser interrogata.
La stoltezza di Pilato, purtroppo, ha ancora oggi le sue vittime. Non è lontano il tempo in cui io, prete, davo importanza alle interviste fatte da giornali o riviste più o meno qualificate. Le interviste si rivolgevano all'uomo della strada, senza alcun discernimento, e chiedevano: « Come volete che sia il prete? Cosa volete che faccia? » Alcuni degli intervistati erano in ascolto del Signore, ma la maggioranza era in ascolto solo... del proprio egoismo e delle proprie passioni. Le risposte erano conseguenti. La mia stoltezza nell'interrogare chiunque, mi rendeva schiavo, e attento a risposte che non venivano dal mio Dio. Le conseguenze portavano lontano da Lui. La stoltezza di me prete è stoltezza che si comunica anche a molti cristiani, che per il loro comportamento interrogano l'opinione pubblica, si lasciano orientare dalle ideologie vaganti dei partiti o degli economisti, che prestano ascolto e obbedienza al modo di fare di chi ha in mano riviste e televisione, di chi possiede soldi e idoli vari. Questi cristiani si ritrovano, dopo non molto tempo, così lontani dalla sapienza di Dio, che le loro voci si confondono con quelle che gridano: Barabba!
Gruppi interi di giovani, tramite questa stoltezza, hanno sostituito gli oratori con le discoteche, nei cinema parrocchiali sono entrati i film violenti e sessuali, nelle chiese le messe ultracorte, nella predicazione una languidezza tiepida, nelle case dei cristiani tutti i canali televisivi e ogni tipo di riviste atee, nei rapporti sociali le evasioni, nelle vacanze dei cristiani spese assurde per figli di Dio, nel loro lavoro una avidità insaziabile, nelle loro domeniche gli svaghi che allontanano dal Padre sempre più.
È ora di tornare alla sapienza di interrogare non la folla, ma solo lo Spirito che viene dall'Alto. Allora la nostra voce si distinguerà con chiarezza e avrà la luce di Gesù.
11.
Si lavò le mani (Mt 27,24)
Non vedeva altra uscita. Se voleva salvare la propria pelle, ormai Pilato doveva lasciar fare. Se ne lavò le mani. Era quello che s'aspettavano: poter fare di Gesù quel che volevano, renderlo odioso a tutti, mettendolo tra gli uomini da eliminare.
Si lavò le mani. Come dire, fate voi, io non c'entro con quel che voi fate: solo lasciate stare me. Lui sapeva che Gesù non meritava né la morte né la flagellazione. Sapeva ed era convinto che Gesù meritava ben altro. Lavandosi le mani con l'acqua se le dovette ritrovare sporche di sangue. Certo, egli non era responsabile della cattiveria di quel popolo urlante, ma si è reso responsabile del fatto che quella cattiveria abbia potuto prendere potere su Gesù.
I Pilato di oggi continuano a lavarsi le mani. Ma dopo non sono pulite!
Lo spirito di Pilato è presente a tentare tutti quelli che hanno responsabilità di fronte agli altri. Non solo nel governo delle nazioni, ma anche negli uffici delle varie grosse o piccole burocrazie, negli ambienti di lavoro, nelle sale d'albergo, nelle scuole, negli ospedali, sulle strade: dappertutto c'è gente che si lava le mani. Segno che sono sporche!
Addirittura nelle famiglie si instaura questo metodo: genitori che si lavano le mani della rovina dei propri figli.
Siamo in un mondo pulito perché tutti si lavano le mani? Credo proprio che ci sia bisogno di portare a termine le nostre responsabilità, i nostri compiti. La nostra vita non è un tempo libero. È sempre un tempo occupato dal compito che Dio ha affidato a ciascuno. Se di fronte agli uomini possiamo (?) lavarci le mani, non possiamo di certo farlo di fronte a Dio: Egli non ritira da me il compito di amare con il Suo amore, di ascoltare e obbedire il Suo Figlio, dì vivere con sapienza e di donare luce ai fratelli che inciampano nelle tenebre.
Dei vari compiti che Dio Padre mi ha affidato e mi affiderà renderò conto a Lui solo e da Lui solo riceverò il premio. Non mi lascerò distogliere dai rumori della folla agitata. Voglio salvare Gesù: non lo avvio alla scomparsa dalla mia vita perché molti gridano che non si può vivere di fede, che bisogna avere i piedi per terra, che non si può obbedire al Vangelo così com'è scritto perché esagera... Voglio salvare Gesù. Grideranno contro di me, ma non importa.
La vita vera non può morire.
12.
Intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra (Mt 27,29)
Ormai Gesù è la barzelletta di turno. I soldati erano pagati per eseguire ordini. La noia dell'abitudine va vinta con l'allegria, e l'allegria può essere vissuta a spese di colui che deve morire, di colui che non si vendicherà, di colui cui nessuno ormai verrà in aiuto. Ed ecco la fantasia sbizzarrirsi. Corona e scettro da re, omaggi da sovrano: corona che punge, canna che colpisce, omaggi che strappano l'anima. Ma l'uomo che ha venduto ogni propria responsabilità si diverte.
Nei nostri cuori cresce la compassione per l'Uomo torturato e malmenato, diventato barzelletta dei soldati. Ma Egli è ancora il più sveglio e il più presente. Egli è attento ancora a quei cuori che lo circondano. Agiscono così barbaramente, ma sono da compiangere. In essi non c'è più traccia di umanità. I loro occhi dicono il vuoto interiore. Non hanno venduto solo le proprie energie all'imperatore o a chi per lui, hanno spalancato le porte del cuore ad ogni «spirito dell'aria » (cf Ef 2,2) che opera liberamente in loro. Ora c'è aria di divertimento e scherno? Scherniamo e divertiamoci. Ora c'è aria di ironia? Ironizziamo. Ora c'è aria di barzelletta? Ci stiamo, ridiamo. Ora c'è aria di severità? Siamo severi! Ora c'è aria di licenziosità e morbosità sessuale? Le bandiere si muovono in direzione del vento. Gli spiriti dell'aria dominano l'atmosfera.
L'unico uomo libero e forte, che li vince e non si lascia smuovere da essi, né per seguirli né per resistervi, è Gesù. Guardando a Lui vedo la vera libertà. Il suo cuore rimane rivolto al Padre, libero di amare, tanto che a coloro che piangeranno per Lui, dirà: « Non per me, ma per voi stessi piangete » (Lc 23,28)!
L'uomo, anche se vivo e sano, è un pover'uomo da compiangere come morto, se nel suo cuore dominano tutte le arie che tirano, se nel suo cuore non è viva la Vita. Se l'uomo ha la Vita in sé, non si lascia smuovere da nulla. Può diventare addirittura la barzelletta del popolo, può esser deriso e calunniato, colpito a morte, raggiunto dal disonore delle malelingue: egli sa vedere coloro che si manifestano suoi nemici come persone povere, bisognose di tutto, bisognose di un amore grande, tanto grande per riuscire a svegliarle dall'intorpidimento che le rende irresponsabili, vuote, preda di ogni spirito vagante, schiave di coloro che gridano più forte.
Chi ha la Vita di Gesù in sé non ha più nulla da temere, poiché può tenere in mano la situazione spirituale anche quando è per burla coronato di spine.
13.
…dopo aver fatto flagellare Gesù... (Mt 27,26)
Con una parola detta così, quasi incidentalmente, Matteo riferisce una decisione di Pilato, una fatica di alcuni soldati, un'ora di sofferenze atroci di Gesù. Le sue mani, quelle che avevano accarezzato i bambini, toccato gli occhi del cieco nato, rialzato la figlia di Giairo e distribuito pane alla folla, quelle mani sono legate. Il suo corpo, che aveva portato la presenza e lo potenza del Padre è spogliato: i soldati lo possono vedere e toccare come vogliono, come qualsiasi altro corpo che è passato tra le loro mani. Sanguina sotto i colpi di flagello, come gli altri.
Il cuore di Gesù: noi vogliamo vedere il cuore di Gesù. Ogni colpo di flagello ha una ripercussione nel Suo cuore. Ognuno di quei colpi, che gli strappano la pelle e la carne, arriva dalla forza violenta di alcuni uomini, di alcuni soldati che nulla sapevano di Lui: sapevano solo che era un condannato a morire.
Gesù, con gli occhi chiusi, nei brevissimi istanti tra un flagello e l'altro, poteva solo ricordare le parole profetiche: «castigato, percosso da Dio e umiliato » (Is 53,4). «Le tue mani, Padre, si servono delle mani cariche d'odio e d'incoscienza di questi uomini pagati dall'uomo. Prendo questi colpi da loro, ma li accolgo come da Te. Questi colpi castigano il mio corpo: non ha fatto nulla di male, ma ha toccato il corpo dei peccatori, s'è lasciato toccare da loro; questi flagelli umiliano la mia anima: non s'è mai separata da Te, ma ha avuto compassione dell'adultera e del ladro, ha donato sorriso e comprensione ai samaritani e ai pagani. Questo colpo, e il prossimo, e quest'altro, li voglio accogliere come da Te, Padre: tu sai il perché! Tu sai quale bene ricavarne, Tu sai quale salvezza ne deriva per questi soldati e per altri tuoi figli. Tu sai. Tu sai. Io so che Tu sai già. Mi abbandono a Te. Non c'è delusione per coloro che confidano in Te (Dn 3,40). Confido in Te, mentre accolgo questa Tua Volontà, mentre bevo quest'amarezza ».
Dopo aver fatto flagellare Gesù... Pilato non sapeva cos'era successo. Nessuno sapeva cos'è successo nel cuore di Gesù.
Nessuno sa cosa succede nel cuore di colui che viene umiliato dagli uomini. Chi può sapere cosa succede nel cuore di chi non sa e non vuole difendersi dai flagelli pungenti degli uomini? Quale superiore può immaginare cosa succede nel cuore umiliato e non ascoltato e non compreso dell'inferiore?
Pilato non lo sa. Tu, Padre, lo sai. Nulla sfugge a Te.
14.
Incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui (Mt 26,32)
Portare la propria croce senza lamentarsi è una gran fatica e richiede tutta la fede di cui un cuore dispone. Prender su la croce di un altro, per quanto buono e santo possa essere, è un gesto da cui ci si guarda bene. Per questo, «lo costrinsero». Dev'esser stata dura per lui. Costretto a far la figura di condannato. L'avesse chiesto lui, il condannato..., ma no, i soldati lo costringono, solo perché passa di lì tornando dai campi.
Alcuni giorni dopo Simone sarà contento, e orgoglioso di aver portato la croce del Risorto, di aver aiutato il Figlio di Dio. Ma ora c'è la rabbia e il disprezzo e la voglia di scappar via presto.
È capitato anche a me qualche volta. Capita a tutti talvolta nella vita di esser chiamato controvoglia ad un compito gravoso, odioso, difficile. Non lo sai che sarà glorioso e fonte di gioia, e perciò cerchi di ribellarti un giorno, una settimana, anche più se puoi. Eppure una mano che ti pare mano di tiranno freddo e ingiusto, come la mano armata del soldato, ti obbliga e non puoi scegliere il rifiuto. Dopo, forse molto tempo dopo, saprai che quella mano era guidata da una Sapienza e da un Amore che non potrebbe essere più buono e grande. È proprio come la mano del vignaiolo che avvicina la dura e tagliente forbice al tralcio, e pota. All'epoca dei frutti se ne vedrà il perché, e si potrà lodare l'abilità e la decisione del vignaiolo, che, rischiando d'esser ritenuto crudele, ha esercitato così il suo amore.
Chissà come ha reagito Simone di Cirene, chissà cosa è sorto nel suo cuore alla notizia che quel condannato era risorto! Non lo sappiamo. So che cosa si muove nel mio cuore quando mi trovo in situazioni che gli somigliano. E so pure - ora - che non vorrei più ribellarmi a nulla: perché potrei ribellarmi ad una "costrizione" che mi porta salvezza. Ogni situazione in cui mi sento come obbligato posso viverla nella fiducia e nella serenità: dopo, tre giorni dopo, sarà motivo di gloria. Perciò godo già in anticipo che «ogni cosa torna a vantaggio per coloro che amano Dio» (Rm 8,28), come insegna s. Paolo.
Le piccole costrizioni più banali, provenienti da contrattempi, le grandi costrizioni che sembrano venire dalla cattiveria dell'uomo, mi aiutano solo ad abbandonarmi con fiducia alla sapienza e all'amore del Padre. Egli, per Simone, aveva previsto la gloria: per questo gli ha concesso di portare la croce di Gesù.
15.
Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra (Mt 27,38)
Stanno al posto di Giacomo e Giovanni, al posto cioè che i due apostoli avrebbero desiderato di occupare. Ma ad essi non è stato concesso. Alla destra e alla sinistra di Gesù stanno invece due ladroni.
Nessuno li chiama fortunati, eppure condividono la sorte del Figlio di Dio. Essi non lo meriterebbero, proprio perché meritano la morte. Sono peccatori per davvero. Sono ladroni. Nessuno piange la loro morte, nessuno li vuol salvare. Hanno ambedue dei grossi pesi sulla coscienza, nulla li distingue. Eppure, quale diversità tra essi! Ambedue cattivi, ambedue con un passato da far tremare, ambedue in punto di morte: eppure qualcosa li differenzia enormemente. Che cosa? Lo sguardo verso il terzo, verso Gesù. Il modo con cui guardano a Gesù li rende così diversi da diventare irriconoscibili.
Uno guarda a Gesù con odio e ironia, con disprezzo: tutto il suo passato di sangue diviene come una piuma in confronto al peso di questo sguardo di disperazione. L'altro guarda a Gesù con ammirazione, con amore. Questo sguardo gli solleva il cuore, gli illumina il volto. Il suo passato di sangue scompare come la neve al sole.
Sono solo due uomini tra i peggiori dell'umanità, ma la rappresentano tutta. Tutti gli uomini hanno il loro carico più o meno pesante, più o meno appariscente, più o meno consapevole di peccato e di male. Nulla li distingue. Essi non hanno nulla di sostanzialmente diverso Ma c'è il loro occhio che li fa essere addirittura di due mondi contrapposti. Chi guarda a Gesù con amore si ritrova unito a tutti gli altri che lo guardano con amore, sente crescere dall'amore per Gesù una fratellanza nuova e una giustificazione interiore che copre e annulla tutto il male e il peccato di cui si era reso complice e colpevole. Chi guarda a Gesù con ironia e odio si ritrova solo e senza speranza, si ritrova straziato interiormente, incapace di vivere e di donare amore agli uomini, si ritrova ad usare la parola amicizia per indicare il possesso comune dello stesso odio per Gesù e per chi gli appartiene.
I mondi sono due. Il mondo che si compiace di Gesù, anche se è in croce: questo è il mondo del Padre. Molti uomini, peccatori come gli altri, lo abitano, soffrendo le stesse pene di tutti, ma il loro sguardo si posa su Gesù con amore e obbedienza.
Il mondo che si ribella al dolore, che rifiuta la propria sofferenza, che respinge il proprio male acquistato col peccato, questo mondo guarda a Gesù con ironia e disprezzo.
Sul Calvario ci sono i due mondi. Sul Calvario si può scegliere a quale dei due mondi appartenere.
16.
Si fece buio su tutta la terra. (Mt 27,45)
È scomparsa la Luce. Mentre sta morendo la vera «Luce del mondo » deve scomparire anche la sua «ombra ». Le realtà create, come appunto la luce, sono ombra dell'unica vera realtà, che è il Cristo, ci insegna s. Paolo (Col 2,17). L'ombra scompare, quando scompare la Realtà. Proprio come se ne va la luce e la gioia dagli occhi dell'uomo che ha deciso di non guardare più verso il Signore.
Si fece buio.
È il momento più importante della storia dell'umanità, della storia dell'amore di Dio, il momento in cui l'amore sulla terra è più forte e intenso. È il momento in cui Dio Amore è più che mai presente e attivo nel cuore d'un uomo odiato e messo a morte.
Ma quando Dio viene sulla terra, quando Dio agisce in essa, l'uomo non può vedere. Perciò «sì fece buio».
Dio agisce nella notte.
Dio non vuole nascondersi. Ma l'uomo non lo può vedere se non dopo che è passato, come fu rivelato ad Elia sul monte.
Quando Dio è all'opera, l'uomo non vede nulla: i suoi occhi sono solo abituati alle cose che passano, alle realtà della carne, a ciò che è superficiale. L'azione e la presenza di Dio acceca gli occhi normali dell'uomo, come il sole.
Perciò Dio agisce nella notte dell'uomo: s'incontra con lui nel sogno, s'incontra a lottare con lui nel buio, viene al mondo nella carne quando gli uomini dormono. Dio agisce quando l'uomo non vede e non sente, quando l'uomo non agisce: la Sua azione non deve lasciar dubbi né confondersi con quella dell'uomo. Perciò Egli agisce nella notte. La notte è abituata ad accompagnare l'azione e la Presenza di Dio, perciò eccola in questo momento in cui l'Amore del Padre e l'ubbidienza del Figlio si fondono.
La notte nasconde all'uomo i segreti di Dio, il realizzarsi delle sue meraviglie. L'uomo le troverà come una sorpresa in cui egli è stato solo assente, se non addirittura impedimento! L'uomo troverà le meraviglie di Dio già compiute, come le donne troveranno la pietra del sepolcro già rotolata via.
E così continua ad accadere. Ogni tanto per l'uomo di Dio si fa buio. Di tanto in tanto gli viene accordata la notte.
Accettare? Lottare? È il momento dell'opera di Dio.
Godere, sarebbe l'atteggiamento suggerito dall'esperienza della fede. Attesa fiduciosa è nel cuore che non vede, ma che sa i modi di fare del Dio dell'Amore: fiducia della fede e dolore della carne si mescolano nella speranza.
17.
Eli, Eli, lemà sabactàni? (Mt 27,46)
Il buio della notte imprevista del pomeriggio non toglie solo i colori alle realtà circostanti, ma penetra l'anima di Gesù. Egli non vede più il Padre. Si era abituato a contemplarlo nelle notti di preghiera, ne vedeva i cenni nelle giornate normali, ne ammirava le opere meravigliose della creazione e guardando gli uccelli semplicemente riusciva a vederne l'amore concreto e fedele per gli uomini. Gli occhi del suo cuore s'erano fatti attenti al Padre, ma ora è notte: non lo vede più. Così comprende il grido del salmista, che esprime il travaglio interiore di molti uomini abituati a vivere con Dio, abituati a considerare la vita come segno della presenza divina, e che d'un tratto s'accorgono che la vita sfugge, che il bene fatto e le fatiche sopportate non danno il frutto sperato. Comprende quel grido, lo prende con sé: Mio Dio, mio Dio, perché? Perché non ci sei più? Perché non adoperi potenza per me, che sono tuo? perché ti lasci vincere dalle forze del male che mi assalgono?
Gesù vive l'orlo della disperazione vissuto da molte persone, per non dire tutte. Sì, in vari momenti della vita anch'io ho usato queste parole: Dio non agiva più per me. Sembrava essersi messo contro di me. Non lo vedevo più.
Gesù però si rivolge a quel Dio che non vede. Grida verso di lui anche se non lo vede e non lo sente. Egli sì, il Padre continua a vedere, ad udire Gesù.
Anzi: potremmo ora ricordare a Gesù quel che Egli stesso aveva poche ore prima affermato: « Io e il Padre siamo una cosa sola » (Gv 10,30)! Gesù, tu non vedi il Padre perché sei uno solo con Lui. Tu gli sei talmente unito, sei talmente immerso in lui, che non lo puoi più vedere. Tu ora sei diventato Amore, Tu ora sei l'Amore del Padre per tutto il mondo. Non lo puoi vedere, non perché si sia allontanato, ma perché Tu stai raggiungendo la pienezza dell'unità di amore con Lui. Ora la tua ubbidienza è giunta al punto da fondere il tuo Spirito col Suo, e non distinguere più due amori, il Tuo e quello del Padre: essi sono un solo amore.
Potessi dirlo a tutti quelli che soffrono « l'abbandono di Dio » dopo aver fatto la Sua Volontà! Quale consolazione sapere che nel momento dell'obbedienza più cruda e priva di consolazione e di luce Dio stesso si fonde in noi, tanto da trasformarci in puro amore, dono senza ricompensa, a sua somiglianza!
Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
18.
Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, ... dicevano: « Davvero costui era Figlio di Dio » (Mt 27,54)
Troppo tardi, pensano gli uomini! ormai troppo tardi! ma non è certamente questo il riflesso della vita del crocifisso, di Gesù. Egli è venuto proprio per questo, perché gli uomini, i peccatori, si accorgano di Dio, del Suo Amore, perché vedendo lui siano illuminati. Prima che Gesù arrivasse a portare a compimento il suo amore di Figlio, gli uomini potevano solo accorgersi in parte di esso. Solo ora possono arrivare alla perfezione della fede, ora che Egli ha dato la vita, ora che l'ha consegnata totalmente al Padre.
Il centurione, preceduto solo dal ladrone, è il primo ad accorgersi di Dio guardando a Gesù morto, ucciso dall'odio per mano propria.
Guardando Gesù, il centurione s'è accorto della Presenza di un unico amore, nascosto dalle grida e dai rumori, dalle tenebre e dall'odio. È l'amore di figlio che presenta se stesso al Padre così com'è, in balia di onde umane, è l'amore di Padre che lascia agli uomini facoltà di distruggere perché s'accorgano che in se stessi non è la vita, perché s'accorgano del vuoto del proprio cuore e vedano dove sta il vero amore cui accostarsi per esserne riempiti. Guardando il cadavere di Gesù, il centurione stupisce, apre la bocca ammirato per dire con una sola parola la propria stoltezza e menzogna e la Verità di Dio.
Il grano è appena morto, e già noi vediamo i primi frutti. Proprio i soldati si ritrovano nel cuore una nuova vita: quella del Figlio. «Chi ha il Figlio ha la vita » (1Gv 5,12). Essi lo riconoscono, ed ecco in loro un distacco dal proprio passato, dall'azione che avevano appena eseguito, dalla propria stoltezza finora ritenuta saggezza, dalla propria incredulità.
Troppo tardi? No: ora è il tempo, ora soltanto è giunto il tempo vero. Solo con la morte di Gesù è arrivato il tempo della luce, della verità, della fede, della salvezza.
Dire che il centurione s'è accorto troppo tardi sarebbe misconoscere il disegno di Dio, ritenere inutile o non necessario il sacrificio di Gesù.
Diremo invece: grazie! Grazie a Gesù per la sua morte: da essa arriva agli uomini la vita, dalla sua morte giunge a noi la grazia!
Dovremmo dire: finalmente Gesù è morto, così il Suo Spirito può riversarsi in noi, il Suo amore di figlio al Padre può cambiare i nostri occhi e dirigere le nostre mani
GESÙ TACEVA
«Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto!»
(Gv 19,37)
La passione di Gesù non è solo il momento culminante del Suo amore, è anche il momento in cui Egli si manifesta come segno di contraddizione!
La Sua Vita, qui soprattutto, è luce per la vita dell’uomo.
Qualche sprazzo di luce sulle nostre ombre ci lascia intravedere peccati di cui umiliarci e doni di cui godere!
don Vigilio Coví
1.
Ma dicevano:
«non durante la festa,
perché non avvengano tumulti fra il popolo » (Mt 26,5)
Cercavano il bene del popolo. Una decisione è già presa nei loro cuori: Egli deve morire. La si realizzerà nel modo più pulito possibile. Nessuna possibilità di rimetterla in discussione: comporterebbe gravi conseguenze, soprattutto quella di dover modificare il proprio cuore.
Come mai si arriva a tanto? Non si è interrogato Dio, il Padre. Il Padre non è stato interpellato. Non è venuto in mente a nessuno, o è stato volutamente dimenticato. Si sa, il Padre fa gli interessi di tutti, a scapito dei « nostri ». E perciò non lo « scomodiamo ». Sarebbe andar contro noi stessi.
… Mettermi ad ascoltare Dio sarebbe ammettere che ci potrebbe essere, forse, qualche altro atteggiamento, qualche altra soluzione ai problemi; sarebbe ammettere l'ignoranza della propria intelligenza. Io so, o, perlomeno credo di sapere abbastanza dove sta il bene e dov'è il male. Non ha l'uomo mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male? Egli perciò può far senza Dio. So regolarmi da solo! …
Da questa convinzione dell'uomo, da questa mia convinzione, nascono le più grandi... ingiustizie. L'uomo che sa, o crede di conoscere il bene ed il male, va per le sue strade intralciando quelle dei fratelli, ostacolandoli fino a metterli in croce.
E lo fa in modo tale che nessuno s'accorge. Egli sa di fare « il bene ».
Ma non è ubbidienza al Padre. Se non hai interpellato esplicitamente il Padre, non un Dio qualsiasi, ogni bene che tu pensi o fai può essere calcolo, può essere egoismo mascherato, può essere diplomazia.
Ascolterò Te, Padre, origlierò al tuo cuore che ama e vuole salvare. Troverò nuovi atteggiamenti e nuove parole, troverò il vero bene duraturo per tutto il popolo donandoti la mia ubbidienza.
2.
Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura (Mt 26,12)
Gesù sta interpretando bene un fatto interpretato male da tutti gli altri. Una donna aveva spezzato un vaso d'alabastro versando un capitale di olio profumato. Spreco, visto da loro. Atto profetico, visto da Gesù.
Ed io lo vedo con stupore: sento anch'io la forza dell'opinione pubblica e della mentalità corrente che dà al denaro un grande valore in vista di un servizio ai poveri, di contribuire ad eliminare la povertà. Ma vedo anche la bellezza e la pienezza di un gesto che per amore di Gesù non risparmia i milioni.
Concepire il denaro in funzione di sollevare i poveri o di arricchirli può portare con sé il pericolo di ritenere o di dar da intendere che la salvezza dell'uomo stia nel combattere la povertà: ed allora rimarrei ingannato e sarei ingannatore proprio dei poveri.
Anche per essi non c'è altra salvezza che Gesù; anche per essi l'unico nome da cui sono e saranno « salvati » è quello del Figlio di Dio!
Perciò vedo con simpatia le ricchezze « sprecate » per Gesù. Non sono poi sprecate, servono invece a mettere in risalto l'unica Verità e Realtà stabile per l'uomo. Allora esse giungono alla destinazione ultima per cui sono state create: « in vista di Lui » dice S. Giovanni. Allora esse finalmente sono liberate: « La creazione, infatti, nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Il profumo di Maria, comprato da lei perché diventi strumento del suo peccato, per attirare gli uomini in casa, per essere centro d'attenzione, per rivolgere a sé gli sguardi e i passi degli avidi di piacere, trova finalmente libertà da quella schiavitù. Ora, versato tutto sul corpo di Gesù, attirerà gli uomini a Lui.
Il vaso è spezzato, l'olio tutto versato. Maria esprime così una decisione profonda: « Mai più mi metterò al centro dell'attenzione, non attirerò più gli uomini a ricevere piacere da me. Io non dividerò più l'amore del mio cuore con i peccatori. Mi lascerò attirare solo dalla purezza del cuore di Gesù, l'unico a cui tutti devono guardare per avere salvezza. I poveri saranno aiutati di più se saranno aiutati ad avvicinarsi a Gesù che se venissero vestiti bene per due settimane e sfamati per tre giorni. Con Gesù, accorgendosi di Lui, anche il loro cuore potrà aprirsi a godere perdono e amicizia vera. »
E Gesù comprende che il gesto di Maria è una profezia. Gli ricorda quel che Egli stesso aveva detto: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me » (Gv 12,32).
Quel profumo inizia già ad attirare. È giunta l'ora, l'ora della croce.
3.
Uno dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti (Mt 26,14)
È alla ricerca. Gesù non gli basta. L'amicizia di Gesù non lo riempie. Egli gli ha dato anche fiducia, gli ha affidato un incarico per tutti gli altri Undici: lo ha fatto amministrare dei beni del gruppo.
Anche gli uomini fanno così. Vedono una persona malcontenta, le danno fiducia, la coprono di incarichi, le cambiano il posto, cercano di accontentarla. Il malcontento non diminuisce. È una malattia del cuore. Un cuore mai contento è un cuore che mostra egoismo. Cerca per sé, ma nulla lo soddisfa, nulla lo riempie. Nulla lo sazierà. Il cuore egoista è senza fondo.
L'unica cosa che sazia l'uomo è il donare se stesso. Chi dona se stesso, tempo e fatiche, costui colmerà il cuore fino a traboccare gioia. Ma la tendenza dell'uomo è spesso quella del cercare per sé. E costui, anche se trova Gesù, gli va dietro per avere, per ricevere. Vuole ricevere consolazione, vuole avere entusiasmi, vuole trovare possibilità di realizzarsi, vuole gioia e comodità e, perché no?, onori. Vuole esser stimato dalla gente, come Gesù è stimato, ma senza passare per il rifiuto di tutti. E se nel suo modo di seguire Gesù non trova queste cose... incolpa Gesù stesso, e gli altri suoi discepoli. Va a riferire, va a parlar male, va a mormorare. Va dall'autorità, va a cercare. Porta ovunque la tristezza del suo volto, la testimonianza del suo egocentrismo. Quasi come Giuda. Egli era preoccupato per sé: «quanto mi volete dare ... ? » (Mt 26,15).
Seguendo Gesù egli non era morto a se stesso, non aveva rinunciato alla propria vita, non si era preparato a perderla, a lasciarla cadere in terra come cade il seme destinato a portar frutto. Non seguiva Gesù per partecipare del suo compito di offrire la vita all'amore del Padre per la salvezza degli uomini. Chi segue Gesù, ma non è contento di Lui, e di Lui solo, sarà un traditore di Gesù.
Se Gesù non ti basta e non lo cerchi che per aiutarlo nel suo compito, porterai la testimonianza solo di un cuore vuoto, e la tua vita sarà sterile nel Regno di Dio, anche se avrai fatto grandi cose da meritare monumenti sulle piazze degli uomini.
4.
Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati (Mt 26,27)
Alleanza, è una parola che richiama impegni di vita.
Hai degli alleati? e i tuoi alleati sono potenti? allora sei fortunato perché i tuoi nemici devono tener conto non solo delle tue forze, ma anche delle loro. Ma anche tu devi tener conto delle debolezze dei tuoi alleati e delle loro necessità. La tua e la loro vita è legata in una comune sorte. Tra te e loro c'è un'unità di vita, come un solo sangue. Quando mio alleato è Dio, le fortune sono tutte mie. Nessun nemico potrà sopraffarmi: ho un alleato potente, ho un alleato pronto e sapiente. Mi posso fidare di Lui sempre.
Le sue preoccupazioni per le sue creature sono grandi. Ed io devo star attento a non imbarcarmi in imprese che a Lui non s'addicono, altrimenti mi ritrovo con le sole mie forze.
Egli è alleato di tutti, perciò non posso mettermi contro nessuno: rimarrei senza il suo appoggio.
Egli ha molti nemici, ma nessuno lo può toccare, perciò si scagliano contro di me, e se mi trovano distante da Lui canteranno vittoria.
Egli sa che non può pretendere nulla da me: che io sia alleato con Lui, a Lui non giova. Perciò per stipulare alleanza non chiede nulla a me. Il sangue usato per firmare l'accordo è quello del Figlio suo.
Io mi ritrovo sempre vittorioso, ma non per merito mio. Addirittura i peccati, miei nemici più intimi che sono arrivati a ferire la volontà e la memoria e gli affetti e l'intelligenza, addirittura questi nemici vengono allontanati e vinti dal mio Alleato, Dio. Egli li vince col sangue di Gesù. A me basta berlo. Farlo entrare in me. Il Suo è il Sangue della Alleanza: diventa vita in me. Quel sangue in me è l'unica cosa che vale, l'unica realtà che dura, l'unica fonte di vita nella mia vita. Quel sangue in me è il motivo che attira lo sguardo vigile di Dio e la porta attraverso cui Egli fa entrare le sue ricchezze nella mia vita: perché Egli non sopporta che i suoi alleati siano vuoti, miseri, straccioni... perciò mi riempie delle sue ricchezze, del suo grande amore, del Suo Spirito, della sua Volontà di salvezza, della sua simpatia per tutti i figli degli uomini e per tutte le creature. « Bevetene tutti ». Ne berrò anch'io, ogni giorno.
5.
E, tornato di nuovo, trovò i suoi che dormivano (Mt 26,43)
Di per sé Gesù non ha nulla contro il sonno, e nemmeno contro il sonno tranquillo mentre sembra che caschi il mondo. Non ha Egli dormito pacificamente sulla barca che stava per naufragare? Ci sono però momenti nella vita in cui il sonno degli altri accentua enormemente la propria solitudine. Starsene solo era desiderio frequente di Gesù: esser solo per godere intimità col Padre. Ma nella notte in cui Egli sente abbattersi su di sé il tradimento, cerca la compagnia: non una compagnia di consolazione o di comprensione, ma un aiuto alla propria preghiera, quasi un sostegno alle braccia, come l'ebbe Mosè sul colle mentre Giosuè combatteva.
I suoi dormono. Gesù è proprio solo a portare il peso di ciò che avviene nella notte. E così la notte penetra l'anima di Gesù e copre della sua oscurità ogni pensiero e ogni affetto.
Solo il suo spirito conserva la luce dell'amore.
Questa solitudine notturna di Gesù è un'eredità che ricevono quelli che gli appartengono e che hanno il dono di partecipare del Suo Compito nel mondo.
Hai trovato amici, persone che ti stanno sempre vicino e ti apprezzano. Ma quando s'abbatte su di te la prova della notte non cercare appoggio dagli uomini, nemmeno dai più fidati e buoni. Essi dormono. Non s'accorgono della tua notte. Per essi la notte è una grazia in cui riposare le ossa. Ci sono momenti nella vita del discepolo di Gesù in cui egli deve far conto solo sulla Luce che non vede, sulla Forza che non sente, sull'Amore che non gode.
Sono momenti nei quali diviene indispensabile l'esperienza del deserto, momenti in cui raccogli il frutto dell'esserti abituato a stare a tu per tu con Dio, ad esserti accontentato della Sua Presenza. Allora, anche se non la senti più, sai che non può esser distante.
I momenti del dolore e del pianto ti maturano in questa solitudine. Impari a non fidarti e non poggiarti sugli amici.
Dovrai lasciarli dormire, mentre tu lotti contro le potenze nemiche, e vinci anche per loro.
6.
Rimetti la spada nel fodero (Mt 26,52)
È difficile prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Soprattutto le conseguenze a lunga scadenza e quelle spirituali. Generalmente badiamo alle conseguenze immediate e a quelle che influiscono sul corpo
Pietro voleva difendere e difendersi. A nessuno sembra proibito, anzi difendere la propria vita è dovere sacrosanto di ciascuno!
E perché allora l’ordine di rimettere la spada nel fodero?
Gesù vede ciò che Pietro non riusciva ancora ad osservare. Gesù vede avvicinarsi a Pietro nemici spirituali così grandi che non si vincono con la spada, anzi, che sono attirati della spada. E ancora Gesù vede le conseguenze di quel gesto proiettate nei secoli e nell’eternità. i discepoli dell’unico Maestro nuovo, che insegna cose che nessun altro maestro si sarebbe sognato di insegnare, avrebbero dovuto imparare ad amare i nemici, ad amarli! Primo segno dell’amore è incontrarli senza armi. Quella spada che torna nel fodero prima d'aver vinto e prima d'aver perso è una lezione pratica che i cristiani non si sono lasciati e non si lasceranno sfuggire.
Difendersi? perché? Se per Gesù è giunta l'ora della più grande prova dell'amore, arriverà anche per loro la stessa ora. Difendermi significa dimenticarmi d'esser membro vivo del Corpo di Cristo. Il suo corpo è schiacciato e sfigurato, perché Egli, Gesù, vuol togliere forza alla catena del male, vuol vincere il male col bene (Rm 12,21). Se lo dimentico, cerco di difendermi: ed è la porta che si apre ad una frotta d'altri nemici, più pericolosi, perché toccano il cuore e gli tolgono la somiglianza con Dio, il Dio dell'Amore.
Col mio difendermi entra in me la sfiducia nel Padre. Fosse nei suoi disegni, mi difenderebbe Egli stesso. Molte legioni d'Angeli sono pronte ad ubbidirgli. Col mio difendermi lascio poco o molto spazio ad uno spirito di giudizio e di condanna, e forse di odio, quando non ancora di rivalsa e di vendetta, contro colui che sembra mio nemico. Col mio difendermi sono portato a ritenere gli uomini nemici, mentre l'unico nemico dell'uomo è Colui che gli separa il cuore dal Cuore del Padre. La spada non ha forza contro questo nemico; l'unica forza ce l'ha l'amore. E la forza più grande dell’amore può sprigionarsi proprio quando vengo ferito, o nel corpo o nell'onore.
Rimetti la spada nel fodero, perché essa chiude la porta del cuore, cosicché non potrai più esser figlio, poiché t'impedisce d'amare. Semmai, dice S. Paolo prendi la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio (Ef 6,17): quella t'illuminerà per rimanere nell'amore anche quando attorno a te si scatena l'odio.
7.
Ma Gesù taceva (Mt 26,63)
Ho il dono della parola. Cioè so farmi intendere, in molti modi. La lingua si muove, e muovendosi tira fuori dalla vita molti altri movimenti che rendono il parlare vivace e pittoresco, tanto da far rivivere esperienze del passato, timori e speranze del futuro. Con le parole escono, quasi paggetti accompagnatori che attirano su di sé gli occhi e l'attenzione, paure e giudizi, rabbie e stupori, bontà e misericordia, dubbi e ironie, fede e incredulità, odi e simpatie. Ho il dono della parola. Ma non è un dono libero: l'ho legato a molti spiriti, buoni e cattivi, che si muovono nel cuore e attendono di comunicarsi agli altri. Attendono che escano le parole. Non per nulla qualcuno scrisse che uccide più la lingua che la spada, e S. Giacomo ancor oggi ci ricorda che la lingua è un veleno mortale (cf Gc 3,8) e Gesù dice che ogni parola riceve un premio o un castigo (cf Mt 12,36).
Ho il dono della parola. Vorrei che fosse dono libero, un dono che esprime solo libertà e lascia libertà a chi lo riceve. Potrà mai accadere? Nulla è impossibile e Dio!
Gesù sa parlare. Egli è la Parola. È l'unica Parola pronunciata con effetto, Parola detta dal Padre sul mondo e tornata al Padre liberamente. Gesù è la Parola.
Ma Gesù taceva! Le parole pronunciate dalla lingua di Gesù sono solo strumento che tirano fuori dal suo cuore í sentimenti di amore che il Padre vi ha messo, e quelli di misericordia e di perdono, quelli di pazienza e umiltà. Ma se davanti a Lui non c'è il cuore che li riceve, Gesù tace. A che pro le parole? Se il cuore di Caifa è già colmo di sentimenti, e non li vuol mollare, le parole di Gesù non farebbero che sprecare il dono di Dio: sarebbe come versare l'acqua sulla strada, come buttare il seme sui sassi o tra le spine.
Gesù taceva. Ma il suo silenzio non era silenzio di Dio! Egli rimaneva pur sempre parola d'amore, di mitezza e di forza. Forza che vince l'amor proprio, che vince e blocca l'odio, che respinge la vendetta, forza che mantiene nel cuore l'amore del Padre verso gli uomini anche quando tutte le potenze lo vorrebbero strappare dalle viscere.
Ho il dono della parola. Farò silenzio, tacerò: quando Tu mi chiederai di parlare, Gesù, dirò quel che Tu vorrai dire.
Sto in silenzio, affinché Tu riversi in me i tuoi sentimenti con la Tua presenza. E le parole delle mie labbra manifesteranno solo Te.
8.
Non conosco quell'uomo (Mt 26,72)
Era proprio vero. Pietro non conosceva quell'Uomo.
Mentendo, Pietro ha detto una grande verità. Egli non conosceva ancora Gesù. Sì, superficialmente lo conosceva, lo aveva visto, toccato, udito, anche amato. Ma non era ancora entrato nel suo cuore. Pietro era rimasto fuori, a contemplare se stesso e preoccuparsi della propria sorte: e così era bene dire quel che ha detto; gli conveniva. Pietro non conosceva Gesù.
Per conoscere Gesù avrebbe dovuto cambiare occhi, avrebbe dovuto adoperare gli occhi del Padre. Egli usava ancora occhi di carne, quelli che vedono solo ciò che serve a difendersi, a cercar l'onore degli uomini, a star lontano dal dolore. E perciò di Gesù aveva visto ancora troppo poco, anzi, quasi nulla. Non lo aveva ancora visto come figlio del suo Dio. Se l'avesse visto così non avrebbe avuto timore di condividerne la sorte, come non ebbe timore il ladrone appeso alla sua destra. Se Pietro l'avesse conosciuto come Figlio di Dio, avrebbe desiderato calpestare le sue orme, percorrere le tappe del suo cammino, trovarsi partecipe delle stesse esperienze.
Conoscere Gesù è un cambiamento del proprio essere, della propria vita. È lasciar entrare il suo cuore nel nostro, è vivere il suo rapporto d'obbedienza al Padre, è rimettere la propria causa «a Colui che giudica con giustizia » (1Pt 2,23), è lasciarsi guidare da Lui, come le pecore dal pastore. Pietro lo ha imparato e lo ha scritto ai cristiani.
Quella notte terribile egli proprio non conosceva Gesù. Non gli apparteneva ancora: si riteneva padrone della propria vita, non l'aveva ancora abbandonata alla custodia e alla sapienza del Padre. Si fidava ancora di se stesso e così non poteva « conoscere » il Figlio. La conoscenza arriva con la partecipazione alla stessa missione, con la condivisione della stessa obbedienza.
Posso iniziare a conoscere il Figlio quando decido d’esser figlio per lo stesso Padre! Fino allora devo dire di non conoscerlo. Non mi basta sapere quel che ha detto e quel che ha fatto, e nemmeno stimarlo e volergli bene solo perché mi ama e mi tiene con sé e mi dà autorità. Comincio a conoscerlo quando soffro la sua solitudine, quando condivido il suo desiderio di salvezza per i peccatori, quando dico al Padre: «non la mia, ma la tua volontà sia fatta » (Mt 26,42), quando bevo qualcosa dal Suo calice amaro. Allora comincio a conoscerlo, e allora non avrò più nemmeno paura di dirlo ad alcuno: anzi, non occorrerà più dirlo, perché tutti lo vedranno come si vede una città edificata sul monte. Non puoi nasconderla, nemmeno alla violenza dell'assalto dei nemici.
9.
Sei tu il re dei Giudei? (Mt 27,11)
Chissà cosa se ne sarebbe fatto Pilato della eventuale risposta di Gesù. Che gli avesse detto di sì o di no non avrebbe mutato nulla delle sorti di Gesù, e nemmeno nel cuore del governatore. Eppure questa domanda può risvegliare nella mente di Gesù molti ricordi.
Un giorno i Giudei lo cercavano, lo volevano proclamare re. Egli non aveva voluto, altrimenti... Un giorno una donna aveva chiesto un posto per i suoi figli, alla sua destra e alla sua sinistra. Un altro giorno qualcuno gli aveva proposto tutti i regni della terra.
La parola « re » era già risuonata altre volte agli orecchi di Gesù, ma portava sempre un connotato di superiorità, dominio sugli altri, adorazione di Satana, uso della violenza, della forza. Non erano atteggiamenti che s'addicevano al Figlio, ad uno che avesse voluto rimanere Figlio del Padre di tutti.
Con quei connotati, quella parola assumeva un tono di paura e di confronto, richiamava l'odore del sangue dei ribelli e della polvere che respirano dalla terra gli adulatori che s'inchinano.
Gesù non ha mai inteso rendere l'uomo schiavo, nemmeno proprio schiavo, ma è venuto per dargli libertà.
Gesù non ha mai cercato d'essere re. Ma non ha d'altronde mai rifiutato che qualcuno accogliesse di vivere secondo la Sua sapienza, non ha mai allontanato qualcuno dall'obbedirgli proprio come ad un re! Egli non si impone come re, ma l'uomo può scegliere di servirlo come un re.
Per questo a Pilato Gesù risponde semplicemente: « tu lo dici ».
La misura della regalità di Gesù per Pilato la dava egli stesso.
La parola che usciva dalla bocca di Pilato, se fosse venuta dal cuore, sarebbe stata vera, ed egli allora - governatore e politico - gli avrebbe obbedito.
Subisce la stessa sorte di questa parola anche qualche altra. Qualche cristiano, anzi, io in persona, proclamo: « Tu sei il mio pastore »! Ma allora perché mi lamento se Egli mi conduce per vie faticose? Dico: « Sei il mio pane ». Ma allora come mai cerco nutrimento anche nelle parole degli uomini? Dico: « Gesù è il Salvatore ». Come mai allora cerco di difendermi? Dico: « Sei la luce ». E come mai non chiedo solo a Lui come vede le cose dal suo lato? Dico: « Sei l'amore ». E come mai talvolta vorrei che usasse violenza con qualcuno che mi fa soffrire? Dico: « Sei la strada ». Ma perché allora rimango ai bordi e guardo ciò che sta attorno quasi con rimpianto?
Dico: « Sei il mio re ». Sono io che lo dico. Egli mi dice solo che è mio servo e mio amico. Sono io che dico: « Sei il mio re ». Premessa: ti voglio ubbidire, voglio cercare i tuoi ordini. Conta su di me per la tua opera.
Tu sei re: io lo dico!
10.
Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù? (Mt 27,17)
Quando abbiamo dubbi, facciamo domande! Bene, segno di umiltà. Ma è segno di stoltezza interrogare le persone sbagliate. Esse poi potranno costringerci a fare la loro volontà, e sappiamo che ciò non è sapiente! Quel che è capitato a Pilato succede ancora, e i nuovi protagonisti siamo noi!
Cos'ha fatto Pilato? Sapeva che avevano portato Gesù davanti al suo tribunale per invidia. Si sa che quando l'invidia è padrona del cuore, quel cuore è accecato. Se interrogo quel cuore, chi mi risponde è l'invidia. Pilato ha avuto la stoltezza di interrogare cuori invidiosi, ormai lontani dalla libertà di giudizio e dalla saggezza del buon senso. La risposta dell’invidia poi non lascia libertà: diventerà costrizione e ricatto. Pilato è stato costretto a cedere alla forza che l'invidia ha scatenato quando si è vista così importante da esser interrogata.
La stoltezza di Pilato, purtroppo, ha ancora oggi le sue vittime. Non è lontano il tempo in cui io, prete, davo importanza alle interviste fatte da giornali o riviste più o meno qualificate. Le interviste si rivolgevano all'uomo della strada, senza alcun discernimento, e chiedevano: « Come volete che sia il prete? Cosa volete che faccia? » Alcuni degli intervistati erano in ascolto del Signore, ma la maggioranza era in ascolto solo... del proprio egoismo e delle proprie passioni. Le risposte erano conseguenti. La mia stoltezza nell'interrogare chiunque, mi rendeva schiavo, e attento a risposte che non venivano dal mio Dio. Le conseguenze portavano lontano da Lui. La stoltezza di me prete è stoltezza che si comunica anche a molti cristiani, che per il loro comportamento interrogano l'opinione pubblica, si lasciano orientare dalle ideologie vaganti dei partiti o degli economisti, che prestano ascolto e obbedienza al modo di fare di chi ha in mano riviste e televisione, di chi possiede soldi e idoli vari. Questi cristiani si ritrovano, dopo non molto tempo, così lontani dalla sapienza di Dio, che le loro voci si confondono con quelle che gridano: Barabba!
Gruppi interi di giovani, tramite questa stoltezza, hanno sostituito gli oratori con le discoteche, nei cinema parrocchiali sono entrati i film violenti e sessuali, nelle chiese le messe ultracorte, nella predicazione una languidezza tiepida, nelle case dei cristiani tutti i canali televisivi e ogni tipo di riviste atee, nei rapporti sociali le evasioni, nelle vacanze dei cristiani spese assurde per figli di Dio, nel loro lavoro una avidità insaziabile, nelle loro domeniche gli svaghi che allontanano dal Padre sempre più.
È ora di tornare alla sapienza di interrogare non la folla, ma solo lo Spirito che viene dall'Alto. Allora la nostra voce si distinguerà con chiarezza e avrà la luce di Gesù.
11.
Si lavò le mani (Mt 27,24)
Non vedeva altra uscita. Se voleva salvare la propria pelle, ormai Pilato doveva lasciar fare. Se ne lavò le mani. Era quello che s'aspettavano: poter fare di Gesù quel che volevano, renderlo odioso a tutti, mettendolo tra gli uomini da eliminare.
Si lavò le mani. Come dire, fate voi, io non c'entro con quel che voi fate: solo lasciate stare me. Lui sapeva che Gesù non meritava né la morte né la flagellazione. Sapeva ed era convinto che Gesù meritava ben altro. Lavandosi le mani con l'acqua se le dovette ritrovare sporche di sangue. Certo, egli non era responsabile della cattiveria di quel popolo urlante, ma si è reso responsabile del fatto che quella cattiveria abbia potuto prendere potere su Gesù.
I Pilato di oggi continuano a lavarsi le mani. Ma dopo non sono pulite!
Lo spirito di Pilato è presente a tentare tutti quelli che hanno responsabilità di fronte agli altri. Non solo nel governo delle nazioni, ma anche negli uffici delle varie grosse o piccole burocrazie, negli ambienti di lavoro, nelle sale d'albergo, nelle scuole, negli ospedali, sulle strade: dappertutto c'è gente che si lava le mani. Segno che sono sporche!
Addirittura nelle famiglie si instaura questo metodo: genitori che si lavano le mani della rovina dei propri figli.
Siamo in un mondo pulito perché tutti si lavano le mani? Credo proprio che ci sia bisogno di portare a termine le nostre responsabilità, i nostri compiti. La nostra vita non è un tempo libero. È sempre un tempo occupato dal compito che Dio ha affidato a ciascuno. Se di fronte agli uomini possiamo (?) lavarci le mani, non possiamo di certo farlo di fronte a Dio: Egli non ritira da me il compito di amare con il Suo amore, di ascoltare e obbedire il Suo Figlio, dì vivere con sapienza e di donare luce ai fratelli che inciampano nelle tenebre.
Dei vari compiti che Dio Padre mi ha affidato e mi affiderà renderò conto a Lui solo e da Lui solo riceverò il premio. Non mi lascerò distogliere dai rumori della folla agitata. Voglio salvare Gesù: non lo avvio alla scomparsa dalla mia vita perché molti gridano che non si può vivere di fede, che bisogna avere i piedi per terra, che non si può obbedire al Vangelo così com'è scritto perché esagera... Voglio salvare Gesù. Grideranno contro di me, ma non importa.
La vita vera non può morire.
12.
Intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra (Mt 27,29)
Ormai Gesù è la barzelletta di turno. I soldati erano pagati per eseguire ordini. La noia dell'abitudine va vinta con l'allegria, e l'allegria può essere vissuta a spese di colui che deve morire, di colui che non si vendicherà, di colui cui nessuno ormai verrà in aiuto. Ed ecco la fantasia sbizzarrirsi. Corona e scettro da re, omaggi da sovrano: corona che punge, canna che colpisce, omaggi che strappano l'anima. Ma l'uomo che ha venduto ogni propria responsabilità si diverte.
Nei nostri cuori cresce la compassione per l'Uomo torturato e malmenato, diventato barzelletta dei soldati. Ma Egli è ancora il più sveglio e il più presente. Egli è attento ancora a quei cuori che lo circondano. Agiscono così barbaramente, ma sono da compiangere. In essi non c'è più traccia di umanità. I loro occhi dicono il vuoto interiore. Non hanno venduto solo le proprie energie all'imperatore o a chi per lui, hanno spalancato le porte del cuore ad ogni «spirito dell'aria » (cf Ef 2,2) che opera liberamente in loro. Ora c'è aria di divertimento e scherno? Scherniamo e divertiamoci. Ora c'è aria di ironia? Ironizziamo. Ora c'è aria di barzelletta? Ci stiamo, ridiamo. Ora c'è aria di severità? Siamo severi! Ora c'è aria di licenziosità e morbosità sessuale? Le bandiere si muovono in direzione del vento. Gli spiriti dell'aria dominano l'atmosfera.
L'unico uomo libero e forte, che li vince e non si lascia smuovere da essi, né per seguirli né per resistervi, è Gesù. Guardando a Lui vedo la vera libertà. Il suo cuore rimane rivolto al Padre, libero di amare, tanto che a coloro che piangeranno per Lui, dirà: « Non per me, ma per voi stessi piangete » (Lc 23,28)!
L'uomo, anche se vivo e sano, è un pover'uomo da compiangere come morto, se nel suo cuore dominano tutte le arie che tirano, se nel suo cuore non è viva la Vita. Se l'uomo ha la Vita in sé, non si lascia smuovere da nulla. Può diventare addirittura la barzelletta del popolo, può esser deriso e calunniato, colpito a morte, raggiunto dal disonore delle malelingue: egli sa vedere coloro che si manifestano suoi nemici come persone povere, bisognose di tutto, bisognose di un amore grande, tanto grande per riuscire a svegliarle dall'intorpidimento che le rende irresponsabili, vuote, preda di ogni spirito vagante, schiave di coloro che gridano più forte.
Chi ha la Vita di Gesù in sé non ha più nulla da temere, poiché può tenere in mano la situazione spirituale anche quando è per burla coronato di spine.
13.
…dopo aver fatto flagellare Gesù... (Mt 27,26)
Con una parola detta così, quasi incidentalmente, Matteo riferisce una decisione di Pilato, una fatica di alcuni soldati, un'ora di sofferenze atroci di Gesù. Le sue mani, quelle che avevano accarezzato i bambini, toccato gli occhi del cieco nato, rialzato la figlia di Giairo e distribuito pane alla folla, quelle mani sono legate. Il suo corpo, che aveva portato la presenza e lo potenza del Padre è spogliato: i soldati lo possono vedere e toccare come vogliono, come qualsiasi altro corpo che è passato tra le loro mani. Sanguina sotto i colpi di flagello, come gli altri.
Il cuore di Gesù: noi vogliamo vedere il cuore di Gesù. Ogni colpo di flagello ha una ripercussione nel Suo cuore. Ognuno di quei colpi, che gli strappano la pelle e la carne, arriva dalla forza violenta di alcuni uomini, di alcuni soldati che nulla sapevano di Lui: sapevano solo che era un condannato a morire.
Gesù, con gli occhi chiusi, nei brevissimi istanti tra un flagello e l'altro, poteva solo ricordare le parole profetiche: «castigato, percosso da Dio e umiliato » (Is 53,4). «Le tue mani, Padre, si servono delle mani cariche d'odio e d'incoscienza di questi uomini pagati dall'uomo. Prendo questi colpi da loro, ma li accolgo come da Te. Questi colpi castigano il mio corpo: non ha fatto nulla di male, ma ha toccato il corpo dei peccatori, s'è lasciato toccare da loro; questi flagelli umiliano la mia anima: non s'è mai separata da Te, ma ha avuto compassione dell'adultera e del ladro, ha donato sorriso e comprensione ai samaritani e ai pagani. Questo colpo, e il prossimo, e quest'altro, li voglio accogliere come da Te, Padre: tu sai il perché! Tu sai quale bene ricavarne, Tu sai quale salvezza ne deriva per questi soldati e per altri tuoi figli. Tu sai. Tu sai. Io so che Tu sai già. Mi abbandono a Te. Non c'è delusione per coloro che confidano in Te (Dn 3,40). Confido in Te, mentre accolgo questa Tua Volontà, mentre bevo quest'amarezza ».
Dopo aver fatto flagellare Gesù... Pilato non sapeva cos'era successo. Nessuno sapeva cos'è successo nel cuore di Gesù.
Nessuno sa cosa succede nel cuore di colui che viene umiliato dagli uomini. Chi può sapere cosa succede nel cuore di chi non sa e non vuole difendersi dai flagelli pungenti degli uomini? Quale superiore può immaginare cosa succede nel cuore umiliato e non ascoltato e non compreso dell'inferiore?
Pilato non lo sa. Tu, Padre, lo sai. Nulla sfugge a Te.
14.
Incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui (Mt 26,32)
Portare la propria croce senza lamentarsi è una gran fatica e richiede tutta la fede di cui un cuore dispone. Prender su la croce di un altro, per quanto buono e santo possa essere, è un gesto da cui ci si guarda bene. Per questo, «lo costrinsero». Dev'esser stata dura per lui. Costretto a far la figura di condannato. L'avesse chiesto lui, il condannato..., ma no, i soldati lo costringono, solo perché passa di lì tornando dai campi.
Alcuni giorni dopo Simone sarà contento, e orgoglioso di aver portato la croce del Risorto, di aver aiutato il Figlio di Dio. Ma ora c'è la rabbia e il disprezzo e la voglia di scappar via presto.
È capitato anche a me qualche volta. Capita a tutti talvolta nella vita di esser chiamato controvoglia ad un compito gravoso, odioso, difficile. Non lo sai che sarà glorioso e fonte di gioia, e perciò cerchi di ribellarti un giorno, una settimana, anche più se puoi. Eppure una mano che ti pare mano di tiranno freddo e ingiusto, come la mano armata del soldato, ti obbliga e non puoi scegliere il rifiuto. Dopo, forse molto tempo dopo, saprai che quella mano era guidata da una Sapienza e da un Amore che non potrebbe essere più buono e grande. È proprio come la mano del vignaiolo che avvicina la dura e tagliente forbice al tralcio, e pota. All'epoca dei frutti se ne vedrà il perché, e si potrà lodare l'abilità e la decisione del vignaiolo, che, rischiando d'esser ritenuto crudele, ha esercitato così il suo amore.
Chissà come ha reagito Simone di Cirene, chissà cosa è sorto nel suo cuore alla notizia che quel condannato era risorto! Non lo sappiamo. So che cosa si muove nel mio cuore quando mi trovo in situazioni che gli somigliano. E so pure - ora - che non vorrei più ribellarmi a nulla: perché potrei ribellarmi ad una "costrizione" che mi porta salvezza. Ogni situazione in cui mi sento come obbligato posso viverla nella fiducia e nella serenità: dopo, tre giorni dopo, sarà motivo di gloria. Perciò godo già in anticipo che «ogni cosa torna a vantaggio per coloro che amano Dio» (Rm 8,28), come insegna s. Paolo.
Le piccole costrizioni più banali, provenienti da contrattempi, le grandi costrizioni che sembrano venire dalla cattiveria dell'uomo, mi aiutano solo ad abbandonarmi con fiducia alla sapienza e all'amore del Padre. Egli, per Simone, aveva previsto la gloria: per questo gli ha concesso di portare la croce di Gesù.
15.
Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra (Mt 27,38)
Stanno al posto di Giacomo e Giovanni, al posto cioè che i due apostoli avrebbero desiderato di occupare. Ma ad essi non è stato concesso. Alla destra e alla sinistra di Gesù stanno invece due ladroni.
Nessuno li chiama fortunati, eppure condividono la sorte del Figlio di Dio. Essi non lo meriterebbero, proprio perché meritano la morte. Sono peccatori per davvero. Sono ladroni. Nessuno piange la loro morte, nessuno li vuol salvare. Hanno ambedue dei grossi pesi sulla coscienza, nulla li distingue. Eppure, quale diversità tra essi! Ambedue cattivi, ambedue con un passato da far tremare, ambedue in punto di morte: eppure qualcosa li differenzia enormemente. Che cosa? Lo sguardo verso il terzo, verso Gesù. Il modo con cui guardano a Gesù li rende così diversi da diventare irriconoscibili.
Uno guarda a Gesù con odio e ironia, con disprezzo: tutto il suo passato di sangue diviene come una piuma in confronto al peso di questo sguardo di disperazione. L'altro guarda a Gesù con ammirazione, con amore. Questo sguardo gli solleva il cuore, gli illumina il volto. Il suo passato di sangue scompare come la neve al sole.
Sono solo due uomini tra i peggiori dell'umanità, ma la rappresentano tutta. Tutti gli uomini hanno il loro carico più o meno pesante, più o meno appariscente, più o meno consapevole di peccato e di male. Nulla li distingue. Essi non hanno nulla di sostanzialmente diverso Ma c'è il loro occhio che li fa essere addirittura di due mondi contrapposti. Chi guarda a Gesù con amore si ritrova unito a tutti gli altri che lo guardano con amore, sente crescere dall'amore per Gesù una fratellanza nuova e una giustificazione interiore che copre e annulla tutto il male e il peccato di cui si era reso complice e colpevole. Chi guarda a Gesù con ironia e odio si ritrova solo e senza speranza, si ritrova straziato interiormente, incapace di vivere e di donare amore agli uomini, si ritrova ad usare la parola amicizia per indicare il possesso comune dello stesso odio per Gesù e per chi gli appartiene.
I mondi sono due. Il mondo che si compiace di Gesù, anche se è in croce: questo è il mondo del Padre. Molti uomini, peccatori come gli altri, lo abitano, soffrendo le stesse pene di tutti, ma il loro sguardo si posa su Gesù con amore e obbedienza.
Il mondo che si ribella al dolore, che rifiuta la propria sofferenza, che respinge il proprio male acquistato col peccato, questo mondo guarda a Gesù con ironia e disprezzo.
Sul Calvario ci sono i due mondi. Sul Calvario si può scegliere a quale dei due mondi appartenere.
16.
Si fece buio su tutta la terra. (Mt 27,45)
È scomparsa la Luce. Mentre sta morendo la vera «Luce del mondo » deve scomparire anche la sua «ombra ». Le realtà create, come appunto la luce, sono ombra dell'unica vera realtà, che è il Cristo, ci insegna s. Paolo (Col 2,17). L'ombra scompare, quando scompare la Realtà. Proprio come se ne va la luce e la gioia dagli occhi dell'uomo che ha deciso di non guardare più verso il Signore.
Si fece buio.
È il momento più importante della storia dell'umanità, della storia dell'amore di Dio, il momento in cui l'amore sulla terra è più forte e intenso. È il momento in cui Dio Amore è più che mai presente e attivo nel cuore d'un uomo odiato e messo a morte.
Ma quando Dio viene sulla terra, quando Dio agisce in essa, l'uomo non può vedere. Perciò «sì fece buio».
Dio agisce nella notte.
Dio non vuole nascondersi. Ma l'uomo non lo può vedere se non dopo che è passato, come fu rivelato ad Elia sul monte.
Quando Dio è all'opera, l'uomo non vede nulla: i suoi occhi sono solo abituati alle cose che passano, alle realtà della carne, a ciò che è superficiale. L'azione e la presenza di Dio acceca gli occhi normali dell'uomo, come il sole.
Perciò Dio agisce nella notte dell'uomo: s'incontra con lui nel sogno, s'incontra a lottare con lui nel buio, viene al mondo nella carne quando gli uomini dormono. Dio agisce quando l'uomo non vede e non sente, quando l'uomo non agisce: la Sua azione non deve lasciar dubbi né confondersi con quella dell'uomo. Perciò Egli agisce nella notte. La notte è abituata ad accompagnare l'azione e la Presenza di Dio, perciò eccola in questo momento in cui l'Amore del Padre e l'ubbidienza del Figlio si fondono.
La notte nasconde all'uomo i segreti di Dio, il realizzarsi delle sue meraviglie. L'uomo le troverà come una sorpresa in cui egli è stato solo assente, se non addirittura impedimento! L'uomo troverà le meraviglie di Dio già compiute, come le donne troveranno la pietra del sepolcro già rotolata via.
E così continua ad accadere. Ogni tanto per l'uomo di Dio si fa buio. Di tanto in tanto gli viene accordata la notte.
Accettare? Lottare? È il momento dell'opera di Dio.
Godere, sarebbe l'atteggiamento suggerito dall'esperienza della fede. Attesa fiduciosa è nel cuore che non vede, ma che sa i modi di fare del Dio dell'Amore: fiducia della fede e dolore della carne si mescolano nella speranza.
17.
Eli, Eli, lemà sabactàni? (Mt 27,46)
Il buio della notte imprevista del pomeriggio non toglie solo i colori alle realtà circostanti, ma penetra l'anima di Gesù. Egli non vede più il Padre. Si era abituato a contemplarlo nelle notti di preghiera, ne vedeva i cenni nelle giornate normali, ne ammirava le opere meravigliose della creazione e guardando gli uccelli semplicemente riusciva a vederne l'amore concreto e fedele per gli uomini. Gli occhi del suo cuore s'erano fatti attenti al Padre, ma ora è notte: non lo vede più. Così comprende il grido del salmista, che esprime il travaglio interiore di molti uomini abituati a vivere con Dio, abituati a considerare la vita come segno della presenza divina, e che d'un tratto s'accorgono che la vita sfugge, che il bene fatto e le fatiche sopportate non danno il frutto sperato. Comprende quel grido, lo prende con sé: Mio Dio, mio Dio, perché? Perché non ci sei più? Perché non adoperi potenza per me, che sono tuo? perché ti lasci vincere dalle forze del male che mi assalgono?
Gesù vive l'orlo della disperazione vissuto da molte persone, per non dire tutte. Sì, in vari momenti della vita anch'io ho usato queste parole: Dio non agiva più per me. Sembrava essersi messo contro di me. Non lo vedevo più.
Gesù però si rivolge a quel Dio che non vede. Grida verso di lui anche se non lo vede e non lo sente. Egli sì, il Padre continua a vedere, ad udire Gesù.
Anzi: potremmo ora ricordare a Gesù quel che Egli stesso aveva poche ore prima affermato: « Io e il Padre siamo una cosa sola » (Gv 10,30)! Gesù, tu non vedi il Padre perché sei uno solo con Lui. Tu gli sei talmente unito, sei talmente immerso in lui, che non lo puoi più vedere. Tu ora sei diventato Amore, Tu ora sei l'Amore del Padre per tutto il mondo. Non lo puoi vedere, non perché si sia allontanato, ma perché Tu stai raggiungendo la pienezza dell'unità di amore con Lui. Ora la tua ubbidienza è giunta al punto da fondere il tuo Spirito col Suo, e non distinguere più due amori, il Tuo e quello del Padre: essi sono un solo amore.
Potessi dirlo a tutti quelli che soffrono « l'abbandono di Dio » dopo aver fatto la Sua Volontà! Quale consolazione sapere che nel momento dell'obbedienza più cruda e priva di consolazione e di luce Dio stesso si fonde in noi, tanto da trasformarci in puro amore, dono senza ricompensa, a sua somiglianza!
Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
18.
Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, ... dicevano: « Davvero costui era Figlio di Dio » (Mt 27,54)
Troppo tardi, pensano gli uomini! ormai troppo tardi! ma non è certamente questo il riflesso della vita del crocifisso, di Gesù. Egli è venuto proprio per questo, perché gli uomini, i peccatori, si accorgano di Dio, del Suo Amore, perché vedendo lui siano illuminati. Prima che Gesù arrivasse a portare a compimento il suo amore di Figlio, gli uomini potevano solo accorgersi in parte di esso. Solo ora possono arrivare alla perfezione della fede, ora che Egli ha dato la vita, ora che l'ha consegnata totalmente al Padre.
Il centurione, preceduto solo dal ladrone, è il primo ad accorgersi di Dio guardando a Gesù morto, ucciso dall'odio per mano propria.
Guardando Gesù, il centurione s'è accorto della Presenza di un unico amore, nascosto dalle grida e dai rumori, dalle tenebre e dall'odio. È l'amore di figlio che presenta se stesso al Padre così com'è, in balia di onde umane, è l'amore di Padre che lascia agli uomini facoltà di distruggere perché s'accorgano che in se stessi non è la vita, perché s'accorgano del vuoto del proprio cuore e vedano dove sta il vero amore cui accostarsi per esserne riempiti. Guardando il cadavere di Gesù, il centurione stupisce, apre la bocca ammirato per dire con una sola parola la propria stoltezza e menzogna e la Verità di Dio.
Il grano è appena morto, e già noi vediamo i primi frutti. Proprio i soldati si ritrovano nel cuore una nuova vita: quella del Figlio. «Chi ha il Figlio ha la vita » (1Gv 5,12). Essi lo riconoscono, ed ecco in loro un distacco dal proprio passato, dall'azione che avevano appena eseguito, dalla propria stoltezza finora ritenuta saggezza, dalla propria incredulità.
Troppo tardi? No: ora è il tempo, ora soltanto è giunto il tempo vero. Solo con la morte di Gesù è arrivato il tempo della luce, della verità, della fede, della salvezza.
Dire che il centurione s'è accorto troppo tardi sarebbe misconoscere il disegno di Dio, ritenere inutile o non necessario il sacrificio di Gesù.
Diremo invece: grazie! Grazie a Gesù per la sua morte: da essa arriva agli uomini la vita, dalla sua morte giunge a noi la grazia!
Dovremmo dire: finalmente Gesù è morto, così il Suo Spirito può riversarsi in noi, il Suo amore di figlio al Padre può cambiare i nostri occhi e dirigere le nostre mani verso l'amore ai fratelli.
Grazie Gesù per la tua morte: ora puoi adoperare il nostro corpo e il nostro cuore per amare, per godere del Padre, per vivere riversando in noi il Tuo Spirito! Davvero sei Tu il Figlio di Dio!
Ora puoi adoperare le mie sconfitte, la mia morte, per permettere ad altri di accorgersi del Padre, trovando vita nuova nell'amicizia con TE!
Nulla osta: Mons. Iginio Rogger, cens. eccl. - Trento, 11 aprile 1984
verso l'amore ai fratelli.
Grazie Gesù per la tua morte: ora puoi adoperare il nostro corpo e il nostro cuore per amare, per godere del Padre, per vivere riversando in noi il Tuo Spirito! Davvero sei Tu il Figlio di Dio!
Ora puoi adoperare le mie sconfitte, la mia morte, per permettere ad altri di accorgersi del Padre, trovando vita nuova nell'amicizia con TE!
Nulla osta: Mons. Iginio Rogger, cens. eccl. - Trento, 11 aprile 1984