L'abbandono
L'abbandono
«Se non diventerete come bambini... »
« Io invece come olivo verdeggiante nella casa di Dio.
Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre ».
(Sal 52,10)
Una frase del profeta Isaia (30,15) pone in evidente contrasto due parole:
« nell'abbandono confidente sta la vostra forza »!
Chi s'abbandona lo vediamo quasi spontaneamente come un rinunciatario, uno che non sa custodire e difendere e salvare la propria personalità. E questo di per sé non è escluso dall'atteggiamento dell'abbandonarsi, a meno che l'abbandono non sia invece un affidarsi, lasciare che si occupi di me un altro, Dio! A questo alludeva certamente Isaia con l'aggettivo "confidente"! Abbandono la mia vita, sapendo con piena fiducia che c'è un Padre che se ne occupa già!
L'uomo, da quando scopre di non essere più bambino, o non vuole più esserlo, vuole conquistare la vita, essere padrone, determinare le proprie giornate e i propri minuti! E quante agitazioni e arrabbiature quando dei casi chiamati fortuiti o semplicemente imprevisti o disguidi vengono a condizionare le lucide scelte, le chiare previsioni... Ogni movimento di stizza o di rabbia o di prepotenza sono segno di una vita che vuol possedersi. E' il tragico riflesso della decisione di Adamo. Adamo, l'uomo, decide la propria vita autonomamente, come se Dio fosse diventato muto o come se Dio fosse sostituibile dalla propria volontà. L'uomo si ritrova subito non nudo di vestiti, ma nudo di gioia e di libertà. Ci sono tante di quelle cose che lo ostacolano, che gli impediscono di realizzare subito le sue decisioni o di realizzarle comunque! Egli si vede allora come un vinto, come un fallito, e reagisce come un lottatore o come un arreso. Diventa prepotente o rassegnato!
L'abbandono di cui ora ci occupiamo è uno dei modi con cui l'uomo esprime il suo rapporto con Dio. E' l'atteggiamento con cui l'uomo dà concretezza alla Presenza del Padre. L'abbandono vissuto così non è passività, anche se così può sembrare all'occhio estraneo e superficiale, ma è grande e profonda attività.
Senza una faticosa e - talvolta - dolorosa vittoria su se stessi e sull'influsso delle aspettative di coloro che mi circondano o dell'opinione corrente, non riesce possibile un vero abbandono. Abbandonarsi a Dio richiede mettere in atto una fede decisa, un amore pronto ad arrischiare la morte, una speranza contro ogni speranza.
Per questo l'abbandonarsi a Dio dona forza, rende talmente forti da affrontare coraggiosamente e serenamente difficoltà e pericoli e situazioni impossibili: chi si abbandona a Dio tiene conto della forza di Dio!
« Nell'abbandono confidente sta la vostra forza ».
don Vigilio Covi
L'ABBANDONO DI GESÙ
« Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito »
Gesù, con il suo modo di rapportarsi al Padre, ci mostra fino a qual punto giunge il vero abbandono. Nel suo esser figlio vive un rapporto di piena fiducia e di amorevole obbedienza verso il Padre.
Egli sa, non solo che il Padre esiste, ma che è veramente papà e che vuole esercitare la sua paternità. Perciò Gesù si affida a Lui totalmente. Lo notiamo durante tutta la sua esistenza terrena, ma ce ne rendiamo conto in modo più forte nei momenti in cui Gesù viene tentato: nel deserto e sul Calvario.
Nel deserto Gesù viene tentato di usare in modo autonomo i poteri che gli vengono dal suo esser figlio di Dio. « Dato che sei figlio di Dio » - sembra suggerirgli la tentazione - « fa quello che un Dio può fare »! Questo pensiero - apparentemente "giusto" secondo un ragionamento logico - è riconosciuto diabolico da Gesù: è un pensiero che lo porterebbe a non esser più figlio, un pensiero che, rendendo il figlio indipendente dal Padre, lo priva della sua stessa identità di figlio. Se il figlio non riceve più vita dal padre, non riceve gli impulsi della vita e gli orientamenti della vita dal Padre, non può più chiamarsi figlio: non lo è più!
Gesù reagisce a questa tentazione semplicemente con l'abbandono al Padre. Sembra di poter cogliere nel suo cuore questo ragionamento: se io sono figlio di Dio, Dio mi è padre: mi occupo perciò solo di ciò di cui egli mi incarica, non faccio se non ciò che Egli mi indica, mi fido di Lui, Egli sa ciò di cui ho bisogno e provvede, proprio perché mi è Padre! Gesù rimane nell'abbandono totale alla paternità fedele di Dio.
Sul Calvario la situazione interiore di Gesù è identica, benché le condizioni esteriori siano molto più drammatiche. La tentazione si ripresenta allo stesso modo: se sei figlio di Dio, scendi!
Se Gesù considerasse l'esser figlio di Dio come un onore, come un'ambizione, come un motivo di vanto e di potenza, certo Egli non tarderebbe ad obbedire a quella voce. Ma Gesù considera come primo dovere, o, meglio, come suo continuo amore al Padre l'esser figlio, e perciò vuole mantenere viva e reale e pura anzitutto questa figliolanza.
«Se sono figlio di Dio, Dio provvede certamente a me! ».
«Se sono figlio di Dio, voglio essergli obbediente! ».
«Se sono figlio di Dio, accetto quanto Egli sa e promette! ».
«Padre, nelle tue mani affido il mio spirito »!
Con l'abbandono al Padre ogni tentazione è vinta! E il Padre interviene con tutta la sua onnipotenza: dà a Gesù il necessario per vivere, gli dà addirittura di moltiplicare i pani e gli dà sul Tabor e in altre occasioni una gloria molto più grande di quella che avrebbe ricevuto buttandosi illeso dal pinnacolo del Tempio! E al posto di un'autorità di dominio che provoca paura a chi la subisce e a chi la esercita, Gesù riceverà dal Padre un'autorevolezza tale che folle intere lo seguiranno e gli obbediranno! Ed il suo Spirito consegnato al Padre dalla croce non è finito nel nulla: continua ad animare dall'interno la Chiesa, suo nuovo corpo vivente ed operante nel mondo.
L'abbandono di Gesù al Padre è stato completo. La paternità di Dio in Lui si è potuta manifestare con pienezza!
IL MIO ABBANDONO
«Se non ritornerete come bambini ... »
L'abbandono di Gesù al Padre è regola per me. Egli, Gesù, è il Maestro ed Egli è il Signore.
So però che io giungerò ad un abbandono come Gesù e con Gesù, gradatamente, con un esercizio costante in piccole occasioni che mi si presentano. Voglio abbandonarmi a Dio semplicemente perché credo che Dio è Padre. Lo affermo spesso: credo in un solo Dio Padre onnipotente! Questo mio "credo" ha conseguenze!
La prima delle conseguenze è un'attenzione a ricevere da Dio gli impulsi della mia vita, a prender da Lui sentimenti e pensieri per il mio cuore. So che se la mia vita non ha la sua sorgente in Dio, se non nasce ora per ora da Lui non posso dirmi figlio, non posso chiamarlo Padre!
La seconda conseguenza è una grande fiducia: ho un Padre che è per davvero papà. Egli si occupa di me ogni giorno. Non è relegato, tanto per dire, alla casa di riposo come un padre che ha smesso il mestiere di papà e lo vado a vedere e salutare di quando in quando, nelle solennità Egli è oggi e sarà anche domani Padre nel pieno senso della parola. Mi posso abbandonare a Lui con fiducia. Il bambino che dà la mano al papà è l'immagine che rappresenta nel modo più vero questo mio atteggiamento interiore. Il bambino non ha paura, perché c'è il papà. il bambino non ha preoccupazioni per il domani, perché c'è il papà. Il bambino non domanda di capire tutto, perché il papà già sa.
Così io lascio la mia vita alla preoccupazione del Padre: Egli sa già il perché di ogni avvenimento, conosce il vero perché di ogni contrattempo. Nei contrattempi posso ringraziare, perché sono quelle le occasioni da me impreviste e imprevedibili attraverso cui il Padre guida e orienta direttamente la mia vita!
Il Padre conosce i miei bisogni, quelli che avrò domani. Non me ne occupo perciò. Il bambino non chiede al proprio papà se ha provveduto al pane del giorno seguente; egli sa infatti che certe cose non occorre dirle al papà.
Nemmeno al Padre occorre dirle certe cose! Mi abbandono. Egli provvede.
Il Padre stesso invece si occupa di dirmi e suggerirmi cose che io non avrei mai pensato né creduto. E talvolta quello che Egli mi dice supera la mia intelligenza: allora mi abbandono alla Sua Parola, faccio ciò che Egli mi dice. Talvolta quello che Egli dice sembra impossibile. Ma se lo dice Lui lo farò: non ha agito così pure Abramo? e Maria?
Quando so che Dio si è impegnato con me chiedendomi obbedienza sto abbandonato a quell'obbedienza. Ci sono sempre ragioni e ragionamenti contrari all'ubbidire, ma vengono dallo spirito della mia mente e non dallo spirito di fede da cui scaturirebbe l'abbandono a Dio.
Se mi lascio andare ai miei ragionamenti prenderà sopravvento il mio io e Dio servirà solo ad avvallare i miei gusti, a giustificare le mie comodità, a rinforzare le mie idee. Prima esprimo me stesso e poi cerco Dio per far vedere a me stesso e agli altri che Egli è d'accordo con me! Se mi abbandono al Padre invece prima cerco la sua Parola e ad essa sottometterò la mia volontà! E per esser sicuro che quella Parola non è il riflesso del mio io - sempre astuto quando si tratta di farsi accontentare cercherò la Parola di Dio nell'obbedienza.
Allora il mio abbandono è concreto, è vero abbandono a Dio.
FRUTTI DELL'ABBANDONO
«Getta sul Signore il tuo affanno ed Egli ti sosterrà» (Sal 55,23)
Mi preme sottolineare che l'abbandono vero non è rinuncia all'impegno, ma è la fatica dell'impegnare la fede e l'amore al Padre. E' impegno a tenere un cuore di figlio fiducioso proprio quando verrebbe voglia di prendere iniziative al di fuori del volere manifesto di Dio, e al di fuori di uno spirito che rifletta l'amore e la pazienza dello Spirito Santo.
Quando mi manca questo abbandono cresce e prende spazio in me prima l'inquietudine, poi l'impazienza, la fretta, quindi la rabbia, e infine iniziative ricche di queste caratteristiche.
E' quando manca questo atteggiamento di abbandono che prende corpo in me la critica e l'accusa degli altri, al disobbedienza, la divisione del cuore dalle persone con cui Dio stesso mi chiama a vivere in unità.
L'elenco delle situazioni negative potrebbe continuare: ma basta questo a farmi capire invece che il vero atteggiamento di abbandono è fonte di grandi beni.
« Getta sul Signore il tuo affanno, ed Egli ti sosterrà », dice il salmista. Egli l'ha provato. « Affidati a Lui ed Egli ti aiuterà » dice il Siracide (2,6) e ancora: « Confidate in Lui: il vostro salario non verrà meno » (2,8). « Considerate le generazioni passate e riflettete: chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? » (10). Nel libro dei Proverbi troviamo questa affermazione: « Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sulla tua intelligenza » (3,5). L'abbandono è perciò il passaggio dalla fiducia in me stesso, dal fondarmi sulle mie forze, sulla bontà delle mie ragioni e decisioni alla fiducia in Dio, che ha strade insospettate d'intervento, che accorre usando una fantasia senza pari quando l'uomo - come nel caso di Gedeone! - gli fa affidamento.
Abbandonandomi a Lui non resta più addosso a me il peso della mia vita e delle mie pur gravose responsabilità. La vita mi diventa leggera, è sostenuta da Lui. Le mie responsabilità sono compiti che Egli mi ha dato: me ne darà le luci e le forze necessarie - a suo tempo - per portarli a termine: come è nelle sue mani la mia vita, così anche i compiti della mia vita.
La mia vita così non pesa più sui miei pensieri: posso vivere senza tensioni, con l'unico desiderio di essere obbediente a Dio: contento addirittura di far affidamento sulla sua paternità.
La mia vita poi non pesa più sui cuori altrui. Come divento insopportabile quando sono preoccupato! divento inquieto e semino attorno a me inquietudine, divento incapace di condurre i cuori a Dio. Sono come un cieco, non vedo più la meta. Sono senza Spirito Santo, che è Spirito di relazione d'amore al Padre e di accoglienza d'amore del Figlio: preoccupato di cose o di fatti sono ripiegato su di me, e mi ritrovo fuori dello Spirito di Dio! mi ritrovo appesantito e quasi schiacciato psicologicamente e fisicamente!
M'abbandono, ed ecco la leggerezza, ecco tornare il sorriso e la fiducia, ecco tornare la calma e la posatezza, il riposo interiore... e anche quello esteriore.
L'atteggiamento di abbandono al Padre è grande guadagno. E' un atto di fede che mi dà pure salute! « Salute sarà per il tuo corpo e un refrigerio per le tue ossa »! (Prov 3,8).
Ma il mio atteggiamento di abbandono è soprattutto un grande dono al Padre: Egli è così nella possibilità di mostrare a me e a tutti che la sua attenzione paterna è concreta, che la sua mano interviene, che Egli è veramente Padre!
ESORTAZIONI
« non angustiatevi per nulla» (Fil 4,6)
Dicono: « come può saperlo Dio?
C'è forse conoscenza nell'Altissimo? ».
Ecco, questi sono gli empi!
Se avessi detto: « parlerò come loro »,
avrei tradito la generazione dei tuoi figli.
Riflettevo per comprendere:
ma fu arduo agli occhi miei,
finché non entrai nel santuario di Dio.
Quando si agitava il mio cuore
e nell'intimo mi tormentavo
io ero stolto e non capivo,
davanti a te stavo come una bestia.
Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella tua gloria.
La roccia del mio cuore è Dio!
Non è l'unico salmo che mi aiuta a pregare così, cioè a stabilire con Dio un rapporto di figliolanza piena, di abbandono fiducioso. Quando dubito, non dell'esistenza di Dio, ma della Sua concretezza accanto a me, sono un empio che tradisco coloro che credono. La mia intelligenza si rifiuta di comprendere: ho bisogno di vedere, di sperimentare, di provare per entrare nel “ santuario" della verità di Dio.
Quando faccio piccoli atti di abbandono in piccole cose, allora mi accorgo che Dio non è assente! Ma devo dargli fiducia, (Sal 73,11ss) benché in piccole cose, perché Egli possa darmi la prova della sua capacità di intervento. Quali le occasioni?
Ne riferisco alcune banali, perché possibili ogni giorno a tutti: sono in ritardo: invece di inquietarmi, mi affido a Dio. Manca il denaro: invece di agitarmi, mi abbandono alla Provvidenza. C'è un contrattempo: al posto di arrabbiarmi, mi rimetto al Padre. Ecc. ecc...
Ogni ora porta i suoi pesi, ogni ora possiamo esercitarci in questo atteggiamento.
Gesù stesso lo esigeva dai suoi, dandone naturalmente l'esempio. La barca su cui dormiva si riempiva d'acqua. I suoi non erano ancora allenati all'abbandono concreto al Padre: preoccupati, oltre che svegliarlo, lo accusano di indifferenza di fronte al loro comune pericolo di morte. Ed egli: « perché siete così paurosi? non avete ancora fede? ».
E in un'altra occasione fa un lungo discorso per esortare all'indifferenza di fronte alle cose, e ai bisogni. Non è un'indifferenza irresponsabile, ma è una santa indifferenza: un atteggiamento cioè di libertà da ogni preoccupazione materiale, perché già c'è Colui che si è dichiarato responsabile della nostra vita. Una indifferenza santa, come è santo l'abbandono, perché in questo atteggiamento risplende la presenza e l'amore del Padre santo! « Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete... Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno ». Sono i pagani che si preoccupano, perché essi non sanno d'avere un Padre. Essi non conoscono Dio se non parzialmente, ma ne ignorano totalmente la paternità.
Gli apostoli fanno eco a Gesù nelle loro lettere: Pietro (1Pt 5,7) riprendendo il salmo 55 dice: « gettate in Lui ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di voi ». E Paolo ai Filippesi (4, 6 ss): « non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste... E la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù ».
Questa è l'unica occupazione seria del cristiano: custodire cuore e mente in Gesù: affinché ciò possa avvenire, Dio è disposto a intervenire oltre le capacità dell'intelligenza.
COME ABBANDONARSI?
« Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre» (Sal 52,10b)
"Aiutati, che Dio t'aiuta", suona un noto proverbio nostrano. Ma questo proverbio, che è certamente nato dalla vita cristiana, viene interpretato talvolta alla maniera pagana.
L'abbandono a Dio certamente non deve favorire la pigrizia, né il quietismo e la comodità. L'abbandono a Dio non è la concessione dell'ozio e del mangiare a ufo. Parole terribili sono riservate nella Scrittura all'ozioso e al pigro.
L'abbandono non ha origini nella nostra umanità, che tende sempre all'egoismo e, quindi, a non far fatica.
L'abbandono - il santo abbandono - ha origini nella presenza di Dio, nel tener conto della sua vicinanza e della sua promessa. Perciò anzitutto obbedienza e non esime dalla obbedienza costosa a Dio.
Se Egli mi dà un compito, ce la metto tutta. Il suo compito può essere materiale, come il guadagnare il pane, o intellettuale o spirituale. Non mi esimo dallo svolgere il compito che Dio mi dona.
Ma entro questo compito rimango sereno; rimango abbandonato Dio non mi dà il compito di fidarmi solo delle mie forze, né mi affida il compito di arrabbiarmi e nemmeno quello di affannarmi.
Obbedisco, agisco, faccio quanto mi è ordinato affidandomi a lui, confidando in Lui.
Che significa allora quell' « aiutati che Dio t'aiuta »? Io lo sento, caso mai, come un invito a compiere il mio dovere senza riservarmi spazi di pigrizia. Ma il mio dovere non me lo invento io, io non mi metto al posto di Colui « che opera tutto tutti ». Io sono e voglio restare « povero servo »: perciò dall' «aiutati» non posso disgiungere una buona dose di ascolto di Dio, di contemplazione, di disponibilità a Lui. Mi aiuto sì, ma dopo che ho compreso in quale direzione e con quali mezzi Dio vuole che io mi impegni. Altrimenti quella parola mi suona pagana, se non addirittura atea. Se cercassi di « aiutarmi » secondo i miei criteri, lascerei vivere e operare nel mio cuore certamente sentimenti d'egoismo e di egocentrismo, di vanità e soprattutto di materialismo. Chi usa questo proverbio in modo superficiale non si mette forse anche a lavorar di domenica, a intraprendere doppio lavoro, a vivere un ritmo asfissiante, se non addirittura a sfruttare il prossimo? Gli serve di più la prima parte della frase che la seconda. Viene portato a non dare molta fiducia a Dio. Non può pretendere l'aiuto da Lui chi gli disubbidisce nella pigrizia, né chi disubbidisce nell'avidità o nell'attivismo.
Il primo aiuto che Dio vuol dare all'uno e all'altro è che egli venga riconosciuto come Padre: Padre che dà responsabilità e affida compiti e nello stesso tempo Padre che provvede di persona alle necessità di chi gli si fa figlio.
Quando sto eseguendo i compiti che Dio mi ha affidato posso vivere nella pace e nella fiducia. Egli è fedele. Non mi mancherà nulla di ciò che serve perché la mia vita col mio lavoro diventi fruttuosa per il regno di Dio. E per il regno di Dio - in famiglia o in comunità più ampia - serve molto di più la pazienza e la serenità e la pace che diffondo quando m'imbatto in contrattempi, più che non un lavoro materialmente eseguito nei tempi e modi prestabiliti.
Per il Regno di Dio diventa fruttuosa la gioia e la fiducia con cui sopporto la malattia che m'impedisce opere importanti, più delle opere stesse. Per il Regno di Dio nel cuore dei bambini è certamente più fruttuoso del programma finito l'amore e la pazienza con cui li tratto mentre non mi lasciano terminare il programma!
Il "frutto" della nostra vita non lo possiamo calcolare materialmente, perché Dio lo calcola - semmai - spiritualmente!
Non è mai proclamato beato colui che s'affanna a terminare il lavoro, ma colui che diffonde spirito di povertà e spirito di mitezza e di pace!
CONSEGUENZE
« quando penso a te
esulto di gioia all'ombra delle tue ali »
(Sal 63,7-8)
Il numero sette è sempre piaciuto agli uomini: ha un suo fascino, una risonanza divina. Elencherò anch'io sette conseguenze di un vero atteggiamento di abbandono al Padre.
La prima è vantaggiosa per Dio. Egli, nella giornata e nella storia di chi s'abbandona fiducioso a Lui può intervenire e rivelare concretamente la propria presenza, la propria paternità, la propria capacità di operare piccoli e grandi miracoli. Miracoli non sono solo eventi strepitosi, sono tutti gli interventi di Dio. Quando mi abbandono a Lui Egli gode di poter far risplendere il suo amore attento, delicato e premuroso, anche nelle circostanze più... profane del vivere. Chi ha provato sa cosa intendo dire. E ognuno può provare!
La seconda conseguenza, come tutte le seguenti, è vantaggiosa per l'uomo. Quando assumo un atteggiamento filiale mi accorgo che nasce e cresce in me fiducia e fede. Scompare l'ansia, si scioglie l'eventuale angoscia e trepidazione. Vedo il futuro con ottimismo: e non è un ottimismo vuoto e illusorio, ma basato sulla certezza di Dio. Abbandonandomi a Lui, i miei piedi entrano su un terreno sicuro.
La gioia del cuore è la terza conseguenza. Impossibile esser contento fintanto che mi sento e mi voglio padrone della mia vita. Solo quando consegno la vita al Padre fa capolino in me il sorriso libero, la gioia serena di chi sa d'essere al sicuro ovunque, anche nella morte!
« Lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto, perché confida nel Signore » (Sal 21,7). Anche gli Apostoli di Gesù sperimenteranno la gioia duratura e vera quando sapranno che il loro nome è scritto in cielo, quando cioè daranno piena fiducia all'amore del Padre!
L'altro effetto proveniente da un cuore affidato a Dio è la capacità d'essere generoso, d'essere disponibile alle necessità dei fratelli. Finché mi occupo io stesso delle mie ore e delle mie cose ho più la tendenza all'avarizia, o, per lo meno, alla chiusura del tempo e delle mani.
Come m'abbandono al Padre, i miei occhi vedono molto di più, diventano cannocchiali e microscopi. Riesco ad accorgermi di necessità piccole e di bisogni grandi dei fratelli, e riesco a dedicare loro maggiori energie e a comunicare loro fiduciosa serenità.
La quinta conseguenza è la lucidità con cui posso riconoscere sempre e ovunque la presenza del Padre. Egli è Colui « nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo », eppure com'è diffusa la mentalità e profonda convinzione che ci sono cose sacre e cose profane, che Dio non va mescolato con gli affari, che di Lui non occorre tener conto nelle piccole azioni e situazioni di ogni giorno! In pratica, l'ateismo convive con la fede, cerca compromessi con lei, si riserva spazi lunghi e quotidiani. Il mio abbandono a Dio elimina questo vuoto che assorbe coscienza e volontà. L'abbandonarmi fiducioso mi rende attento alla Presenza operante di Dio in ogni circostanza.
Non vorrei dire troppo in fretta la sesta conseguenza: vorrei attendere ancora cinquant'anni, ma m'immagino che tu la vorrai conoscere subito. Ebbene, chi s'abbandona fiducioso al Padre mette i presupposti per una vita lunga! La pace e la serenità che pervade lo spirito dell'uomo che si lascia cadere nelle mani del Padre si diffonde nel suo corpo e in tutte le espressioni e dimensioni del suo essere.
Certo, anche il malato può abbandonarsi con decisione al volere di Dio e il sano può cadere malato o morire in gioventù! Ma è altrettanto sicuro che l'abbandono al Padre è predisposizione alla salute!
Non ultima conseguenza, ma ultima che vedo io ora, è il superamento dei bisogni, l'allontanamento della schiavitù del denaro e della fretta e frenesia del mondo. Quando t'abbandoni al Padre ti par quasi di « sedere nei cieli », di entrare in un nuovo ritmo di vita che ti permette di respirare, di esser libero, di non aver più necessità di nulla. Se ti vien a mancare qualcosa riesci a... far finta di non averla mai avuta, o di assimilarti al ritmo di chi cento o mille anni fa non lo sognava nemmeno! Quando mi abbandono al Padre l'unico mio programma diventa il vivere da figlio docile, semplice, il portare in cuore il suo amore in qualunque situazione mi venga a trovare. Una grande, immensa libertà, quale nemmeno si potrebbe immaginare!
Mi abbandono a Te, Padre! Tu sei fedele!
Lascio cadere la mia vita nelle tue mani! Tu sei sapiente!
Consegno a te i miei pensieri! Tu sei misericordioso!
Presento a te il mio cuore incostante! Tu sei santo!
Affido a Te il desiderio di una mia santità! Tu sei buono!
Mi rallegro di Te! Tu sei generoso!
Ti guardo col desiderio di imitarti: Tu sei Padre!
M'abbandono sempre alla Tua guida!
Padre, eccomi,
prendimi,
lascio a te la responsabilità del mio vivere e del mio morire: Io sono tuo, figlio per Te!
Come un bimbo sto in pace e attendo i tuoi cenni per obbedirti in tutto!
Fa di me
ciò che tu hai pensato!
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