Pace a voi
PACE A VOI
Rileggiamo il vangelo della Risurrezione così come ci è riferito nel cap. 20 da S. Giovanni. Ne leggerò un breve versetto: cercherò quindi di rileggerlo adagio, con la mia esperienza, con semplicità, pensando che possa esser utile anche per te.
Gesù è risorto per essere vivo in mezzo a noi; egli ci tiene uniti col suo Santo Spirito. Lo ringraziamo per questa unità che fa di noi Chiesa vivente.
P.S.: Queste brevi meditazioni sono nate come pensiero del mattino offerto agli ascoltatori della radio della nostra diocesi.
1.
«Nel giorno dopo il sabato Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro».
Viene fatto un riferimento di tempo: «Nel giorno dopo il sabato»: quel sabato era il giorno più importante per i Giudei, ma per i discepoli di Gesù quel sabato è passato come un lampo; essi non l’hanno nemmeno visto. È stato un giorno triste, un giorno silenzioso, un giorno oscuro.
È nel «giorno dopo il sabato» che Maria di Magdala si muove, in un giorno nuovo.
Il giorno dopo il sabato è il primo giorno della settimana e, nella tradizione biblica, ricorda il giorno in cui Dio ha iniziato a creare il mondo creando la luce.
Credo che non sia senza significato questo accenno così preciso dell’Evangelista: nel giorno dopo il sabato, di buon mattino, quando spunta la prima luce.
Questo alzarsi, mettersi in cammino al primo sorgere della luce, è un richiamo al significato della risurrezione di Gesù: Gesù è la luce del mondo; Gesù, risorgendo, porta nel mondo una nuova vita, una nuova dimensione del tempo, dona un nuovo significato a tutto ciò che passa.
«Nel giorno dopo il sabato Maria di Magdala si recò al sepolcro»: è un giorno bello, questo, che ci può dare coraggio e consolazione per ogni volta che anche noi trascorriamo qualche momento di Calvario. Dopo la nostra sofferenza viene ancora un primo giorno: un giorno pieno di luce, pieno di novità e di santità.
Che il giorno di oggi, trascorra così, anche per te. Insieme preghiamo il Signore che ci doni, oggi, la sua pace e la luce del suo volto.
Signore Gesù Cristo, che sei risorto dai morti, abbi pietà di noi, salvaci, e riempi il nostro cuore della tua gioia perché possiamo testimoniarti in tutto questo giorno!
2.
«Nel giorno dopo il sabato Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio».
Chi è Maria di Magdala? Ella è una delle donne ricordate più volte dai vangeli. Gesù l’ha liberata da sette demoni. Ella è dunque una donna che ha alle spalle grandi sofferenze e grandi umiliazioni: portare in sé un demonio, o sette demoni addirittura, è certamente una situazione molto umiliante e triste. Sicuramente ella è molto riconoscente a Gesù d’averla liberata da quella schiavitù così terribile e disperata.
Maria di Magdala ha poi seguito Gesù; anche lei, insieme ad altre donne, lo ha assistito con i suoi beni. Insieme con la Madre di Gesù, con un’altra Maria e con un’altra donna ancora è stata poi ai piedi della croce.
Maria di Magdala: è lei che prende l’iniziativa solitaria di andare al sepolcro di buon mattino. Ha lasciato le altre, si è alzata da sola. Ha preso il coraggio a due mani, non ha badato a quel che fanno gli altri, non ha detto: «Tu cosa fai... tu cosa non fai...». Ha detto: «Io vado!». Maria di Magdala sa impegnarsi in prima persona per Gesù, vuol vedere, vuol rendersi conto di ciò che sta succedendo, vuol essere vicina al corpo del Signore, al luogo dove Egli si trova, o, meglio, dove ella pensa di trovarlo.
Maria di Magdala può essere anche per noi, in questo giorno, un grande esempio e un grande dono di Dio. Ella ci dice: «Non aspettare che gli altri si muovano, muoviti tu; non aspettare che gli altri corrano, corri tu; non aspettare che gli altri amino il Signore, comincia tu! Dietro a te, verranno anche gli altri. Comincia tu, non aspettare gli altri».
Vieni, Spirito Santo, rendici coraggiosi e forti, cosicché non ci lasciamo intimidire da ciò che fanno o dicono gli altri, ma sappiamo tenere il nostro sguardo rivolto continuamente a Gesù amandolo per primi, senza attendere che qualcun altro ci debba spingere.
Grazie, Spirito Santo, che vieni nella nostra vita e nel nostro cuore per operare in noi un grande cambiamento!
3.
«Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio».
«Maria di Magdala si recò al sepolcro». Perché si reca al sepolcro? Maria pensa di trovare là Gesù, pensa di amare Gesù accudendo al suo cadavere e al luogo dove questo è deposto.
Maria di Magdala non è ancora capace di immaginare cose nuove. Ella è ferma al passato: va al sepolcro, al luogo della morte, al luogo che ricorda soltanto momenti tristi, momenti di dolore che ancora le pesano nel cuore. Maria si reca al sepolcro.
Quest’immagine della corsa di Maria, solitaria, al sepolcro, mi fa venire alla mente quei momenti in cui anche noi andiamo a ripensare ai nostri dolori, alle nostre sofferenze. Quando abbiamo avuto un’esperienza triste, una malattia, un avvenimento di quelli che chiamiamo «disgrazie», il nostro cuore rimane per molto tempo fermo lì. La nostra mente rimane per ore, giorni, forse anche settimane e mesi, ferma lì, a quel momento, al momento del nostro dolore, e, in questo ricordo, piangiamo, diventiamo tristi, oppressi o depressi. Siamo rivolti all’indietro, al passato, a ciò che ci ha fatto soffrire, e così rimaniamo, in fondo, ripiegati su noi stessi; in questo rimanere rivolti all’indietro, non sappiamo essere attenti alle nuove chiamate del Signore.
Vogliamo domandare al Signore una grazia nuova: quella di orientare il nostro cuore a lui, a lui vivente.
Nei momenti del nostro dolore, nei momenti di sofferenza, di «disgrazia», di lutto o di malattia, guardiamo avanti, verso il Signore; e diciamo:
Signore, tu certamente hai qualcosa da dirmi in questa situazione; se io adesso sono nel dolore, è perché tu mi vuoi parlare, tu mi vuoi donare qualcosa di nuovo; vuoi rendere la mia vita un segno e un dono per i fratelli.
Grazie, Signore Gesù; aiutami a comprendere, aiutami a vedere; donami la tua luce, quella luce che sta per sorgere.
4.
«Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio».
Notiamo ancora come l’Evangelista specifica questa realtà un po’ strana: «quand’era ancora buio« e «di buon mattino».
«Di buon mattino« significa che sta per venire il giorno nuovo, sta per sorgere la luce, sta per iniziare un tempo di speranza, di vittoria e di salvezza.
«Quand’era ancora buio». A che cosa si riferisce l’evangelista Giovanni con questo piccolo particolare: «era ancora buio»? Dov’era buio, se sta per venire la luce?
Era ancora buio nel cuore di Maria.
Maria, come abbiamo visto già, era orientata alla morte, al passato, al sepolcro. Era ancora buio nel suo cuore, non c’era ancora la speranza in lei, ma soltanto la sofferenza, la disperazione, la cecità. Maria non era riuscita a vedere «opera di Dio« nella morte di Gesù, non era riuscita a vedere «opera di Dio« nel modo in cui Gesù aveva accolto la sofferenza, il rifiuto degli uomini, la morte, perciò il suo cuore è ancora al buio.
Ella corre, ama il Signore, o almeno, in qualche modo, cerca di amarlo, gli è grata; però il suo cuore è ancora nell’oscurità; non riesce a vedere Dio all’opera nei fatti che sono successi; nel momento del dolore, Dio, per lei, è rimasto nascosto: «era ancora buio».
Quante volte si ripete questo buio! Anche se l’opera di Dio è evidente e sta diventando sempre più grande, la sofferenza fisica o morale, la sofferenza per qualcosa che è successo su questa terra ci tiene al buio; non riusciamo forse talvolta non vogliamo vedere Dio all’opera dentro la nostra sofferenza.
Gli chiediamo di aiutarci.
Signore Gesù, tu che sei risorto, dona luce ai nostri occhi, metti luce nel nostro cuore perché possiamo vederti, perché possiamo scorgee l’opera del Padre nei momenti in cui noi proviamo dolore, sofferenza, abbandono o ingratitudine. Donaci allora di veder Dio all’opera, Dio che è nostro Papà e che in quei momenti ci vuol bene in modo particolare.
5.
«Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro».
Ci fermiamo su quest’ultima parola: «Vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro». Maria sapeva di doversi fermare davanti al sepolcro, sapeva che ci sarebbe stata la pietra che copriva l’ingresso: ma ecco la sorpresa quella pietra non sta più all’ingresso del sepolcro, essa è ribaltata, è tolta via: il sepolcro è aperto, vi si può entrare.
Chissà che stupore ha preso Maria! Ma ella vede solo con gli occhi, solo così con lo sguardo materiale; non vede in profondità, non coglie ancora il significato di quello che sta osservando. Ella vede la pietra ribaltata, ma non s’accorge che questo è un segno di vittoria, un segno della risurrezione; e non canta l’alleluia.
Non pretendiamo che abbia potuto accorgersi di questo, però l’Evangelista ce lo fa notare usando, per questo termine «vedere», un verbo della lingua greca che indica soltanto l’osservare in maniera superficiale, l’accorgersi di una cosa senza comprenderne il significato.
Quante cose noi vedremo durante questa giornata! Quante cose osserveremo! Cose normali, cose nuove, cose che ci stupiscono... E come ci comporteremo noi di fronte ad esse? Possiamo soltanto vederle e passare oltre, senza comprendere che in esse c’è l’amore di Dio, c’è la vittoria di Dio, c’è la sua grazia - qualche volta nascosta, qualche volta visibile, ma reale. E come ci comporteremo noi dunque davanti al nostro «vedere»?
C’impegniamo, quando «vediamo« qualcosa, anche di molto vicino, dentro casa nostra, negli incontri che faremo durante questo giorno, a cercare di «vedere« qualcosa di più; a non fermarci alla superficie dei fatti o degli incontri; cercheremo di «vedere dentro», di vedere con quanto amore Dio li ha preparati, oppure di vedere i fatti, le persone che incontriamo, come delle domande di amore da parte di Dio.
Cercheremo di vedere Dio che vuole portare la sua vittoria anche attraverso di noi dentro i fatti di questa giornata; vuole portare la risurrezione di Gesù attraverso una nostra presenza più consapevole e attiva, una nostra partecipazione più sentita e, soprattutto, spirituale, fedele a lui.
Chiediamo al Signore la grazia della luce per i nostri occhi, per riuscire a «vedere».
Spirito Santo, donaci questa luce perché possiamo anche noi «vedere« l’amore di Dio in quei fatti che, apparentemente, sono soltanto delle cose normali che capitano o delle cose strane che ci toccano: donaci la grazia di «vedere« l’amore del Padre, di «vedere« la vittoria di Gesù, di «vedere« quello che Egli oggi mi chiede.
Grazie, Spirito Santo!
6.
«Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro».
«Maria di Magdala vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro». La pietra non copre più l’ingresso del sepolcro. Maria di Magdala non ha compreso. Ella ha pensato subito, come vedremo, che questa pietra fossestata ribaltata da qualcuno dall’esterno.
Vedendo la pietra ribaltata ha pensato: «Qui qualcuno è intervenuto». E invece s’ingannava: la pietra non era stata ribaltata in quel modo; la pietra del sepolcro era stata spostata dall’interno, non dall’esterno.
Gli uomini non c’entravano. C’entrava solo «Qualcun Altro», c’entrava solo la potenza di Dio: la potenza dell’amore di Dio per il suo Cristo, per il suo Figlio Gesù; la potenza dell’amore di Dio per colui che aveva offerto la propria vita fino alla fine.
Io mi accorgo che spesso, quando vedo qualcosa che va bene o che mi aspetteri diversa, cerco subito di dar la colpa a qualcuno, così come farà Maria di Magdala. Vedo la pietra ribaltata dal sepolcro come rovesciata dall’esterno, come se qualcuno volesse intralciare i piani di Dio, come se qualcuno volesse toccare la storia che Dio vuol fare con me, con noi, con la Chiesa, col mondo.
E invece no! Le cose di cui io mi lamento o per le quali attribuisco colpa agli altri, possono essere semplicemente azioni che Dio permette o vuole per guidare egli stesso la mia vita, la nostra vita, la vita della Chiesa. Egli la guida con una sapienza infinitamente più grande, più luminosa, più bella della nostra.
Perciò oggi, quando vedrò qualcosa che non m’aspetto, qualcosa di diverso da quello che desidererei, non mi lamenterò, non brontolerò: può esserci dietro la mano di Dio, un disegno nuovo del Signore, qualcosa di positivo e grande, che vuol cambiare la mia esistenza e quella di quanti mi stanno attorno secondo l’amore che il Padre ha per noi; saprò godere di ogni cosa.
La pietra ribaltata del sepolcro non necessariamente è ribaltata dall’esterno, dagli uomini: a muoverla può esser stata la mano di Dio.
Preghiamo ancora il Signore perché è suo dono la capacità di vederloall’opera dentro i fatti inaspettati, dentro i contrattempi.
Signore Gesù, donaci di comprendere la tua Risurrezione!
Donaci di comprendere che anche nella nostra vita interviene la mano di Dio per ribaltare dall’interno la pietra del sepolcro, cioè per muovere egli stesso la storia delle nostre giornate, della nostra vita, secondo i suoi disegni imperscrutabili.
7.
«Maria di Magdala corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto»».
«Maria di Magdala corse»: torna indietro, si allontana dal sepolcro; ha visto una cosa, l’ha attribuita agli uomini e va a darne l’annuncio. A chi? «Corse da Simon Pietro e da quell’altro discepolo, quello che Gesù amava».
Perché Maria di Magdala è andata da loro?
Maria è andata decisa proprio da questi due discepoli; noi non sappiamo se assieme a questi due ci fossero anche gli altri; comunque l’Evangelista ci riferisce questo particolare, e io credo che Maria di Magdala sia andata di corsa da Pietro e dal discepolo che Gesù amava, perché sapeva che essi erano stati gli unici a seguire Gesù fino nel cortile di Anna e di Caifa; gli unici due discepoli che avevano osato entrare in quel cortile, nemico per Gesù, ma nemico anche per loro. Uno era rimasto fedele a Gesù, l’altro gli è stato infedele.
Maria di Magdala va da questi due discepoli.
Credo che non troviamo strana questa decisione di Maria di Magdala, perché anche noi ci comportiamo così: quando abbiamo qualcosa da confidare, una notizia che ci sta a cuore, che impegna la nostra vita, che ci fa soffrire, da chi corriamo? A chi andiamo a dirla? Da chi cerchiamo aiuto? Anche noi andiamo volentieri e con decisione da quelle persone che sappiamo esser state capaci di soffrire con il Signore, di esser state fedeli a Gesù nel dolore e nell’insuccesso. Anche noi andiamo da quelle persone che hanno saputo soffrire: solo a quelle siamo capaci di aprire il nostro cuore.
Trascorreremo questo giorno con la gioia nel cuore per la Risurrezione del Signore, ma anche con la gioia di sapere di aver noi pure sofferto, di aver noi pure offerto la nostra vita a Gesù e al Padre. Siamo sicuri che le sofferenze che abbiamo offerto diventano capacità di aiutare qualcuno che si trova nella prova.
Noi siamo posti nella Chiesa per esserci di aiuto gli uni gli altri. Ci chiamiamo fratelli appositamente perché ci possiamo aiutare, ci possiamo dare una mano; ebbene, l’aiuto più grande che possiamo darci gli uni gli altri è questo: ascoltare le sofferenze dei fratelli, ascoltarle per poter donare loro forse non una parola, ma un sorriso, un gesto di partecipazione al dolore o, meglio ancora, un orientamento alla croce di Gesù, perché, guardandola, cominciamo già a godere la speranza della risurrezione. Non ci lamentiamo delle sofferenze che abbiamo vissuto negli anni passati o nei giorni scorsi, perché esse diventano motivo di forza interiore per essere d’aiuto ai nostri fratelli.
Lodiamo il Signore Gesù che rende la nostra vita un dono di Dio per la Chiesa, per gli uomini.
8.
«Corse allora [è Maria di Magdala] e andò da Simon Pietro e dall’ altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro...».
Ci fermiamo su questa definizione dell’altro discepolo: «l’altro discepolo, quello che Gesù amava».
Questo discepolo, stranamente, non è mai chiamato per nome nel vangelo; egli è nominato sempre e soltanto così: «Il discepolo che Gesù amava». Noi supponiamo, insieme con tutti gli studiosi dei vangeli, che questo sia l’Evangelista stesso, colui che sta scrivendo, Giovanni. Però, ci chiediamo, perché egli non dice mai il proprio nome? Io credo che il motivo ci sia, e sia profondo e bello; un motivo bello perché coinvolge anche noi: il discepolo che Gesù amava è qualunque discepolo. Qualunque vero discepolo di Gesù gode l’amore del suo maestro, del suo Signore.
Il «discepolo che Gesù amava« è il discepolo che si accorge di essere amato dal Signore. Si accorge di non essere il primo ad amare, di non essere capace di meritarsi l’amore, ma si accorge di essere amato e stupisce continuamente dell’amore che il Signore gli rivolge: si accorge infatti ogni giorno che l’amore che il Signore gli dona è un amore gratuito, perché il discepolo, anche quello che Gesù ama, è un discepolo peccatore; è un discepolo, poco o tanto, infedele, incapace di essere all’altezza dell’esempio e degli insegnamenti che riceve dal suo Maestro; e allora si stupisce di essere amato. È come se dicesse: «Io non lo merito! Che cosa faccio per meritare l’amore del Signore? Eppure Egli mi ama tanto, dà la vita per me! Su questa terra egli non pensa mai a se stesso, pensa soltanto ad obbedire al Padre per me»!
Ecco: «il discepolo che Gesù amava« è ogni vero discepolo di Gesù, ogni discepolo che vuole essere attento al Signore, che vuole rispondere all’amore che riceve dal Signore Gesù. Ed allora, il «discepolo che Gesù amava« sono anch’io, sei anche tu. Pensa un po’, sei «il discepolo che Gesù amava».
Ti stupisci se qualcuno ti dice: «Fratello, Gesù ti ama!»? Forse nessuno te l’ha mai detto; ebbene, lascia che te lo dica io quest’oggi: «Gesù ti ama! Ti ama, ti apprezza, ti ascolta, ti guarda, ti osserva, perché vuol vedere come intervenire nella tua vita, vuol pensare cosa donarti in questo giorno. Gesù ti vuol veramente bene, non solo: egli apprezza tanto i tuoi doni, le tue doti e pensa come può chiederti d’impegnarle per lui».
Fratello, sei anche tu il «discepolo che Gesù amava». Gesù ti dona la sua vita, la sua gioia, la sua pace e, siccome ti ama, ti chiede qualcosa. Anche oggi ti chiederà di fare un po’ di fatica per lui. L’amore più grande, infatti, che una persona può avere per me è quello di chiedermi di fare fatica per lei: questo è segno che ha fiducia in me, è segno che mi ama davvero.
Gesù ti ama; oggi ti chiederà d’impegnarti un po’ per lui o, addirittura, d’impegnarti del tutto per lui.
Grazie, Signore Gesù, che ci ami; grazie per il tuo amore che è sempre nuovo, pieno, grande, insospettato!
9.
«Maria di Magdala andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto”».
Ecco il messaggio che Maria di Magdala porta ai due discepoli da lei scelti per confidarsi: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro». Maria, che non era stata capace di vedere nella pietra ribaltata la mano di Dio, ma aveva interpretato quel segno come un vandalismo oppure come una violazione, come un atto sacrilego, si fa portatrice presso i due discepoli di un’accusa, una denuncia, come si direbbe oggi, contro ignoti: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro». Maria fa una denuncia, sta pensando male di un po’ di gente, non sa di chi, non hanno volto le persone che lei pensa colpevoli di quel furto sacrilego; esse non hanno un nome, ma lei pensa male, ha nel cuore l’accusa.
«E non sappiamo dove l’hanno posto»: non soltanto lei non lo sa, ma non lo sanno nemmeno gli altri; è convinta che anche gli altri pensino come lei.
E il bello è che questo atteggiamento accompagna Maria di Magdala in uno dei momenti più grandi, quando succede l’avvenimento più importante: la risurrezione di Gesù, che cambia la storia. Ebbene, proprio in quel momento ella si mette ad accusare qualcuno. Perché?
Ha cominciato Adamo ad accusare Eva e noi continuiamo con questo metodo: quando succede qualcosa che non comprendiamo, puntiamo il dito, accusiamo qualcuno.
Metterò ogni impegno a cercare di vedere il dito di Dio, la mano di Dio, il suo amore per me, «sempre», in modo da riuscire a pensare sempre bene dei miei fratelli, a non accusare mai nessuno. Anche se avessi da soffrire per davvero a causa di qualcuno, non accuso: voglio invece difendere gli uomini dal maligno, dall’accusatore. Cercherò quindi di mettermi nelle mani di Dio e lasciare a lui la mia difesa... Forse egli stesso ha permesso la mia sofferenza, affinché impari, ami di più, e riesca a trasformare la vita in un atto d’amore continuo.
Ti ringrazio, Signore Gesù! Tu non ci accusi, tu ci ami. Anche nel momento della tua più grande sofferenza, tu non hai accusato nessuno; tu hai continuato ad amarci.
Ti ringraziamo e ti chiediamo questo tuo Santo Spirito.
Grazie, Signore Gesù!
10.
«Maria di Magdala corse allora, andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro».
«Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo»: Pietro e l’altro discepolo restano impressionati dalla dichiarazione di Maria di Magdala; le credono e corrono, vanno a vedere, vogliono rendersi conto di persona di quello che è successo. Una cosa strana senza dubbio, e nuova.
Questo tragitto lo fanno correndo e, naturalmente, nella corsa si vede chi è più giovane o più spedito: è l’«altro discepolo». Pietro arriva dopo.
Questa corsa dei due discepoli mi fa pensare a quei momenti della nostra vita in cui anche noi siamo attratti dalle novità, e attratti con curiosità ci muoviamo senza riflettere, senza fermarci a pregare, a chiedere luce al Signore, a chiedere un vero discernimento spirituale su che cosa sia bene fare. Con molta facilità noi ci lasciamo prendere dalla fretta: sentiamo una notizia, corriamo senza fermarci, e così riusciamo a fare molte cose inutili, a far molta fatica senza nessun risultato.
Non dico che la corsa di Pietro e dell’altro discepolo verso il sepolcro sia stata inutile: è stato senz’altro un atto d’amore al Signore, ma è stato un gesto istintivo; ci saremmo meravigliati, forse, se non l’avessero fatto; questo episodio però mi dà occasione di pensare a tutte quelle cose che noi compiamo inutilmente.
Noi corriamo, andiamo di qua, andiamo di là, senza prima consultarci col Signore, e senza prima consultarci tra di noi per vedere se è veramente volontà di Dio quello che facciamo. Non ci aiutiamo a discernere se nelle notizie che sentiamo, nei fatti che succedono, non ci sia già l’opera di Dio, il suo amore per noi e per l’umanità. Allora il nostro andare sarebbe più posato, i nostri interventi veramente più attenti, più preparati.
Vogliamo in questo giorno vivere così, senza fretta, le nostre incombenze, i nostri doveri; li compiamo sì, ma come risposta a chiamate di Dio; li compiamo col suo Spirito, che non è spirito di fretta, ma spirito di saggezza e di amore.
Prima di compiere qualunque gesto, qualunque azione - anche quelli richiesti dal nostro dovere quotidiano - vogliamo metterci un istante davanti al Signore per dirgli:
«Signore, donami luce, dammi amore per compiere questo lavoro in modo che io non soltanto lo compia, ma lo compia col tuo Santo Spirito. Fa’ che questa mia azione porti l’amore che viene da te».
11.
«Uscì allora Simon Pietro assieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano tutti e due insieme, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò».
Ci fermiamo qui. Chinatosi, l’altro discepolo, quello più veloce, vide le bende per terra, ma non entrò. Che significato hanno queste parole e che significato possono avere per noi, oggi?
«Vide le bende per terra»: l’altro discepolo, quello che aveva fatto la corsa insieme a Pietro, vede qualcosa. Ora, questo vedere le bende, e veder soltanto le bende, senza il corpo, fa sorgere certamente un punto di domanda nella sua mente, nel suo cuore. Qualcosa è successo. Questo discepolo non si scompone, non si scoraggia; può darsi che già intuisca qualche cosa, che cominci a pensare nella direzione delle promesse di Gesù, quando diceva: »... e il terzo giorno risusciterò».
Questo discepolo, poi, non entra nel sepolcro; è arrivato per primo, guarda dentro, ma non entra. Cede il passo a Pietro. Questo è un gesto di grande fortezza e umiltà. Il discepolo che arriva per primo non vuol essere il primo. Il discepolo che corre più veloce vuol lasciare il passo al discepolo che ha ricevuto un incarico da Gesù: l’incarico di essere il primo lo aveva avuto Pietro. L’incarico di guidare e di sostenere gli altri apostoli lo aveva avuto Simon Pietro. E quest’altro discepolo che corre con lui gli lascia perciò il primo posto, gli cede il passo.
È bella questa, chiamiamola così, «ubbidienza« del discepolo che Gesù amava. Egli non si vanta di essere il primo, non prende il posto che spetta all’altro discepolo. È umile ed è forte con se stesso, perché certamente anch’egli può aver avuto la tentazione di dire: «Ah, io sono il primo e quindi entro per primo!». No, egli è umile e sa tenere il suo posto. Benché le sue gambe siano più forti di quelle di Pietro, egli sa rimanere «secondo».
L’immagine di questi due discepoli che corrono insieme - e uno arriva per primo, ma cede il posto all’altro - è un’immagine molto bella. Essa ci lascia guardare nei nostri rapporti reciproci di cristiani. A quante tentazioni di vanagloria, di crederci primi, noi siamo soggetti!
L’insegnamento di Gesù, invece, è: «Chi vuol essere il primo, si faccia il servo di tutti, l’ultimo di tutti». «L’ultimo di tutti»: questo è l’insegnamento di Gesù, e il discepolo che sa di essere amato da lui ubbidisce agli insegnamenti del suo maestro; è per questo che lo vediamo cedere il passo ed è per questo che anche noi, oggi, cercheremo di vivere in questo modo, non mettendoci mai davanti a nessuno.
Anche se talvolta siamo capaci di avere un discernimento più pronto di altri, se siamo capaci di credere prima di qualcun altro, sappiamo cedere il passo, sappiamo star dietro, lasciare che sia il nostro fratello ad arrivare prima di noi. Certo, non è facile, perché le tentazioni sono molto grandi nel nostro cuore, però è possibile; la grazia dello Spirito Santo ci rende capaci di stare al secondo posto, di stare indietro.
E la grazia dello Spirito Santo farà sì che questo secondo posto che noi scegliamo sia ricompensato, e largamente: ci ritroveremo ad essere strumento di armonia, di unione, di carità.
Com’è importante questo atteggiamento nelle nostre famiglie, tra marito e moglie, tra fratelli, tra genitori e figli! Com’è importante e com’è bello! È un atteggiamento divino, è un atteggiamento che viene dalla grazia del Signore; lo chiediamo a lui:
«Spirito Santo, entra con potenza nel mio cuore perché possa cedere il passo a mio fratello, perché abbia il coraggio di essere secondo, di mettermi dietro agli altri. Grazie, o Spirito Santo, che ascolti questa preghiera, perché quello che ti chiediamo ci rende simili al Signore Gesù risorto per noi».
12.
«Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette».
I due discepoli, dopo la corsa affannosa verso il sepolcro di Gesù, entrano, finalmente, e che cosa fanno? Semplicemente vedono. Pietro vede, l’altro discepolo «vide». Vedono le bende, vedono il sudario, il lenzuolo; osservano come sono disposti. Ma questa osservazione fa sì che nel loro cuore cominci una nuova vita. «Credette« dice l’Evangelista. Questa parola, dal testo greco, si potrebbe tradurre: «Cominciò a credere», cominciò cioé a fidarsi di Dio. Cominciò a ritenere possibile e vera la parola pronunciata da Dio, la parola che Gesù aveva detto loro, che dopo il terzo giorno sarebbe risorto. «Allora vide e credette»: questa fede nasce dopo il vedere. Ma cos’è questo «vedere»? Non hanno visto un miracolo, non hanno visto accadere qualcosa: hanno semplicemente visto le bende; hanno visto, potremmo dire noi, niente di particolare; ma questo vedere rivela che nel loro cuore e nella loro mente c’era già una disponibilità ad osservare l’agire di Dio, a lasciare che fosse Dio stesso il protagonista degli avvenimenti della loro vita.
Noi «vediamo« tante cose durante le nostre giornate. Vediamo come vanno le situazioni, vediamo segni piccoli, umili, semplicissimi, ma chiari, della presenza di Dio. Ma li «vediamo« quando il nostro cuore è disposto a vederli, quando accettiamo che Dio intervenga nella storia; quando accettiamo che Dio non sia il Dio lontano, ma il Dio «amico« dell’uomo, Dio papà: allora riusciamo a ’vedere’. È una grande grazia poter vedere, perché dal nostro vedere cresce la fede, cresce il credere. Questi discepoli videro e cominciarono a credere.
Noi oggi vedremo tante cose, vedremo tanti fatti. Il nostro esercizio sarà guardare al di là di quel che si vede per cogliere la mano di Dio dentro e dietro i fatti che incontreremo. E allora ci accorgeremo che la nostra fede aumenterà; diventerà più forte, più stabile.
«Signore Gesù, rendi puro il nostro sguardo, perché non ci fermiamo alle cose che vediamo, ma attraverso di esse giungiamo a vedere la tua opera, a vedere te. Ti ringraziamo perché in tanti modi semplici e poveri, tu fai crescere la nostra fede, la fai diventare forte affinché essa possa sostenere anche quella dei nostri fratelli.
Grazie, Signore Gesù, grazie che sei risorto per noi!».
13.
«Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli, intanto, se ne tornarono di nuovo a casa».
Questi due discepoli, Pietro e quello che Gesù amava, dopo aver cominciato a credere, cioè a fidarsi di Dio, se ne tornano a casa. E io immagino che questo loro tornare a casa sia avvenuto in un profondo silenzio, un silenzio interiore ed esteriore. M’immagino così che essi non abbiano nessuna voglia e nessun pensiero di andare a denunciare l’accaduto, perché si rendono conto, o hanno cominciato a rendersi conto, che è avvenuto qualcosa di grande, dove Dio è all’opera; e cominciano a meditare.
Meditano i fatti che hanno visto alla luce delle Scritture. L’evangelista annota esplicitamente: «Non avevano ancora compreso la Scrittura». C’era ancora una incapacità nel loro cuore e nella loro mente a leggere le Scritture. Forse le leggevano come qualcosa che doveva avvenire in un tempo lontano o in luoghi distanti da loro o in modo da non coinvolgere la loro vita. Adesso invece cominciano ad accorgersi che la Scrittura, quanto è detto e scritto in essa, appartiene alla loro esistenza, tocca proprio la loro vita, tocca i loro giorni, e proprio questi giorni. Ed allora nasce un silenzio che prepara la comprensione, il vero ascolto della Scrittura.
Noi conosciamo le Scritture, o almeno crediamo di conoscerle, perché ne abbiamo ascoltato e ne ascoltiamo ogni domenica qualche brano, anzi tu probabilmente tutti i giorni ti fermi a leggerne una pagina.
Ma ci sono modi diversi di leggere la Scrittura; ci sono modi che fanno crescere la nostra fede e il nostro amore, e ci sono modi che fanno crescere soltanto la nostra vanagloria, o l’orgoglio di sapere, o addirittura di poter dire: «Io sì che leggo la Scrittura!».
Come va letta la Scrittura? Va letta rapportandola ai fatti che ci capitano in quel giorno, che sono successi nella nostra vita, perché possa dare luce. E che luce dà la Scrittura sui fatti della nostra vita? Dà semplicemente questa luce: nei fatti della nostra vita Dio stesso è all’opera. Il Padre ha in mano la nostra esistenza, e nei fatti della nostra vita noi cominciamo a leggere perciò l’amore di quel Dio che ha risuscitato Gesù dai morti. Allora anche i fatti più difficili, che ci hanno fatto maggiormente soffrire, diventano luminosi; anche in essi, alla luce della Scrittura, riusciremo a leggere quell’amore di Dio che altrimenti rimarrebbe nascosto fino alla fine.
Prendi pure in mano la Scrittura, continua a leggere, ma non preoccuparti di sapere, non preoccuparti di istruirti con le Parole di Dio; preoccupati che quella Parola diventi la luce per quel giorno che stai vivendo; preoccupati che quella Parola di Dio diventi un sostegno del tuo amore per lui e della conoscenza del suo amore.
Ed allora cosa succederà? Che ti troverai nel cuore una grande forza di amare, così come Dio stesso la possiede.
14.
«Maria, invece, stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù».
Torniamo ad osservare Maria che se ne sta vicino al sepolcro, all’esterno, in lacrime. Maria continua il suo pianto; è sofferente; il corpo di Gesù, che lei cercava e che voleva profumare, non è più là, ella non può più fare quello che desiderava per il suo Signore. Amava ardentemente curare il suo cadavere e non può farlo. Chissà dov’è ora quel corpo!
Maria piange. Questo suo pianto noi lo interpretiamo come un pianto di amore, segno dell’affetto che lei portava a Gesù. Però, se lo osserviamo meglio, questo pianto appare un segno della sua incredulità.Ella non ha capito le Scritture, né ha fatto attenzione alle parole di Gesù. Egli aveva detto: «Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre».
Così aveva detto Gesù, invece Maria piange. Non si rallegra del fatto che Gesù è andato al Padre: ciò significa che non lo ama; non è pronta ancora a donargli la propria vita, non è pronta a fare quello che egli ha fatto, perché non lo ama. Il suo pianto è, in fondo in fondo, un segno - possiamo dire così - di egocentrismo, per cui ella si ritiene al centro di ogni attenzione. Gesù dovrebbe esser lì per lei, cioè basterebbe che il corpo di Gesù fosse lì per lei, per poter fare ciò che ella ha pensato e ciò che ella ha deciso. Il pianto di Maria è un pianto significativo per noi; ed è una grazia che l’evangelista ce lo racconti, proprio perché alla luce di questo pianto inutile, possiamo leggere, anche i nostri pianti.
Anche se viviamo nella gioia del Signore risorto, quanti pianti continuano a sussistere nel cuore di molti cristiani. Un pianto, il nostro, che dice: «Non credo che Gesù è risorto. Non credo che Dio può essere Papà per me. Non credo...». Un pianto che indica non fede, un pianto che indica spesso che non siamo capaci di leggere la Scrittura, di credere alla Parola di Gesù, di essere attenti all’azione di Dio. I nostri pianti spesso sono segno di amor proprio, di un egoismo che regna in noi senza che noi ce ne accorgiamo .
Oh, certo, non è proibito piangere, anzi, può essere un dono; però sempre, quando ci sono le lacrime sui nostri occhi, dovremmo diventare capaci di guardare e di ricordare le parole che il Signore ha detto, di ricordare quello che lui ha promesso, di ricordare che è lui, e lui soltanto, la gioia del mondo intero. Se guardiamo a lui con questa certezza, le nostre lacrime cominceranno ad asciugarsi e diventeremo capaci di asciugare anche quelle dei nostri fratelli, con la parola della fede, con la parola dell’amore del Signore.
Ti chiedo oggi di guardare un po’ i tuoi motivi di pianto e di metterli nelle mani di Dio, tutti. Certamente hai motivi per piangere, però oggi guarda al motivo della gioia: Gesù è risorto e con la sua risurrezione fa sì che tutta la nostra vita assuma una nuova dimensione, quella dell’amore. Anche le cose che ci fanno soffrire le possiamo presentare al Padre, con umiltà, e offrirle a lui, come un gesto di amore perfetto. Ed allora, invece di piangere, cominceremo a rasserenarci e a rallegrarci perché Gesù è andato al Padre.
Ringraziamo il Signore Gesù, perché con la sua morte e la sua risurrezione ha dato alla nostra vita un significato nuovo, ha dato alle nostre sofferenze una nuova dimensione. Le nostre sofferenze non sono più segno di morte, ma sono inizio e garanzia di una vita nuova, da risorti.
15.
«Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”».
Maria si volta verso il sepolcro con le lacrime agli occhi, e ha una visione; ella però nemmeno s’accorge che questa è una visione. Che cosa vede? Due angeli in bianche vesti, seduti l’uno di qua, l’altro di là dove era stato posto il corpo di Gesù.
Questa visione contiene molti segni.
Anzitutto le vesti bianche. Sono un simbolo chiaro per la cultura ebraica, quindi anche per Maria: la veste bianca è segno di vittoria. Questi angeli vestiti di bianco sono dunque un annuncio, messaggio di una vittoria completa e chiara.
Poi, essi sono seduti. Non stanno in piedi come lei, non sono in ginocchio, non sono prostrati; sono seduti. Anche questa posizione ha un significato. L’essere seduto indica il riposo, indica che un’opera è stata portata a compimento. Gli angeli seduti danno questo messaggio a Maria: l’opera della vittoria è completa, è terminata; ora c’è il riposo.
E poi dove sono seduti questi angeli? Sono seduti proprio nel luogo che Maria sta osservando: il luogo dove era stato posto il corpo di Gesù; Maria lo sta osservando piangendo perché il corpo non c’è più. E questi angeli sono proprio lì. Il messaggio della vittoria e del riposo viene proprio da quel luogo. È un messaggio pieno di gioia e di perfezione.
Maria riceve questo messaggio, vede questi angeli, vede il bianco dei loro vestiti, vede il posto dove essi sono, vede che essi stanno a sedere. Maria vede, ma ancora non comprende.
I messaggi di Dio, che arrivano a noi, possono essere molto chiari, molto limpidi, molto completi, e noi possiamo ancora non vedere, non capire, non ricevere, non entrare in comunione con Colui che ci dà il messaggio, con Colui che ci vuol parlare.
Che cosa impedisce a Maria di accogliere questo messaggio? Da quanto racconta il vangelo, credo che l’impedimento siano le sue lacrime, l’esser ripiegata su di sé, l’aver fisse alcune idee, quello che ella aveva deciso ma non può più fare. Tutto ciò non le permette di accogliere un messaggio nuovo.Ciò non capita solo a Maria; capita anche a noi, spesso, perché quando siamo ripiegati su noi stessi, quando vogliamo a tutti i costi quello che vogliamo, quando non siamo pronti al cambiamento, neppure noi riusciamo a comprendere nemmeno le cose più belle che Dio vorrebbe dirci, farci comprendere, donarci. Il nostro ripiegamento su noi stessi blocca realmente la Parola di Dio, fa sì che essa resti inascoltata, inattesa, incompresa.
In questo giorno vogliamo cercare di mettere da parte i nostri programmi, le nostre idee, quello che abbiamo deciso, per dire: «Signore, Padre della mia vita, se tu vuoi far qualcosa di diverso con me, ecco, fallo pure. Padre, se tu vuoi che io faccia qualcosa che non ho previsto, eccomi, dammi i tuoi segni!».
Se ci terremo in questo atteggiamento, riusciremo certamente a cogliere quei segni di Dio che Egli ci presenta in tanti modi e che per lo più rimangono senza risposta perché il nostro cuore non è puro, non è libero; i nostri programmi, l’amor proprio che teniamo stretto in noi c’impediscono, infatti, di scorgere i segni di Dio e di persino vedere il suo volto.
Gesù aveva detto: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». Che significa «i puri di cuore»? Quelli che nel loro cuore non hanno propri programmi, propri giudizi, proprie decisioni già belle fatte. Dobbiamo, come diceva S. Giacomo, tenerci disposti a dire: «Se il Signore vorrà, faremo questo»; «Se il Signore vorrà, faremo quello». Faremo quello che il Signore ci mostrerà; siamo attenti, distaccati da qualunque volontà nostra. Allora certamente potremo «vedere Dio».
Grazie, Signore Gesù, che ci mandi i tuoi angeli, che ci doni i tuoi segni: segni di gioia, di luce, segni della volontà del Padre per la nostra vita.
Chiediamo a te la capacità di rimanere liberi da noi stessi per poterli cogliere.
16.
«Maria piangeva; si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”».
Ci fermiamo a considerare queste ultime parole degli angeli rivolte a Maria di Magdala. Essi non la chiamano per nome, la chiamano «donna». Abbiamo già osservato che, quando l’evangelista non chiama per nome una persona , intende rivolgere la sua parola a una cerchia più ampia. Probabilmente egli aveva davanti a sé, in quel momento, tutta la Chiesa: la Chiesa del suo tempo, la Chiesa perseguitata,sofferente. Le comunità cristiane sparse sia nel mondo ebraico che in quello pagano non solo subivano persecuzioni, ma soffrivano anche per varie divisioni al loro interno stesso della comunità, o per delle risuonanti come tentazione agli orecchi dei credenti. Giovanni quindi, intende questa domanda dell’angelo come rivolta a tutta la Chiesa: «Chiesa, perché piangi? Che motivi hai per esser triste?».
Qui la donna, Maria di Magdala, credeva d’avere un motivo per essere triste, ma quel motivo non esisteva: Maria di Magdala pensava di non trovare più il suo Gesù, di non trovarlo più cadavere, morto; ed era vero: non avrebbe più trovato il cadavere di Gesù perché Egli era vivo. Il motivo del pianto non aveva consistenza.
Così è per la Chiesa: essa non ha motivo per piangere perché, ogni volta che soffre persecuzione, nascono nuovi cristiani; ogni volta che la Chiesa soffre può offrire a Dio il sacrificio puro del Corpo di Cristo. Essa, Chiesa, è il Corpo di Cristo, e quindi, con le sue sofferenze, può offrire al Padre veramente qualcosa di molto prezioso per la salvezza di tutto il mondo. Quando la Chiesa soffre, quand’è perseguitata, non deve dunque piangere, non deve temere: può già pensare alla vittoria grande e gloriosa che sta raggiungendo. Gesù, quando è morto, aveva la certezza della sua Risurrezione e della gloria immensa ed eterna gliene sarebbe derivata.
Vogliamo in questo giorno rivedere i motivi del nostro pianto e rileggerli alla luce della Risurrezione di Gesù.
Certamente hai qualche situazione difficile da vivere o qualche croce da portare. Ebbene, pensa: Gesù ha risolto la difficoltà della morte, non risolverà anche le mie difficoltà?
Gesù non saprà usare anche la mia sofferenza per la salvezza di qualcuno o di molti?
Ti ringraziamo, Signore, per la tua santità e la tua bontà. Ti ringraziamo perché Tu sei sempre per noi, motivo di gioia di salvezza e di serenità.
17.
«Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”».
È la seconda volta che Maria usa quest’espressione: «Hanno portato via».
Maria sta diventando sempre più sicura in questa sua convinzione: qualcuno s’è fatto strumento del maligno per un’azione sacrilega, per portare via il cadavere di Gesù dal sepolcro e nasconderlo. Ella continua nel suo atteggiamento di accusa verso qualcuno che neppure conosce.
Questo atteggiamento interiore le impedisce di essere attenta alla domanda degli angeli e di rispondervi. Essi le hanno chiesto: «Perché piangi?».
Maria non è attenta a questo interrogativo, non risponde, accusa invece delle persone ignote d’aver portato via il Signore dal sepolcro. Quest’atteggiamento di accusa impedisce la riflessione, impedisce l’ascolto; non permette un discernimento sereno.
Lo sperimentiamo anche noi: quando abbiamo qualche risentimento, qualche accusa o condanna verso qualcuno, non siamo più capaci di ascoltare le cose di Dio: Dio in quei momenti non ci dice più niente . Troviamo vuota la nostra vita e ancor più la nostra fede. Gesù aveva detto infatti: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». Vedere Dio, intuire cioè le sue proposte, le sue risposte, accorgerci dei suoi suggerimenti, è possibile soltanto a un cuore puro, libero da ogni malizia e da ogni spirito di condanna e accusa dei fratelli.
Maria di Magdala non ha questa purezza. Molte volte neppure noi l’abbiamo: dobbiamo lasciar perdere le nostre accuse, le nostre critiche, se vogliamo che il Signore possa mettere dentro di noi la luce del suo Spirito, se vogliamo accogliere discernimento divino nelle scelte che dobbiamo operare ogni giorno.
Oggi in particolare vogliamo fare questo esercizio: non giudicare, non criticare, non accusare nessuno, non pensare male di nessuno. In ogni situazione, anche in quella che mi fa soffrire, posso vedere la mano di Dio, il suo aiuto, la sua grazia per me, per noi.
«Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro e non so dove lo hanno posto». Maria avrebbe potuto dire: «Non so dov’è il mio Signore, non so cos’è successo», allora sarebbe stata anche disponibile ad accogliere l’annuncio della Risurrezione.
Prima di accusare qualcuno o di pensare male di qualsiasi persona ci metteremo davanti al Signore con grande umiltà; lo interrogheremo: «Forse sei tu all’opera, Signore, in questa situazione?».
Grazie, Signore Gesù, perché tu ci concedi di vivere con cuore puro e semplice! Grazie che tu sei all’opera nella nostra vita! Quando noi cerchiamo te, tu ci concedi di vedere anche nelle nostre sofferenze le grandi opere dell’amore del Padre!
18.
«Detto questo si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi, ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”».
È ancora Maria di Magdala, si trova nel giardino dove c’è il sepolcro. Ella si volta indietro e vede Gesù; ecco, la novità: Gesù si trova là dove noi non pensiamo. Gesù non era nel sepolcro come s’attendeva Maria di Magdala; si trova proprio dall’altra parte («si voltò indietro»): Gesù è fuori, in un posto impensato, dove ella nemmeno sospettava. Maria lo vede, ma «non sapeva che era Gesù». Anche questo è interessante: gli occhi di Maria, come i nostri, non bastano per riconoscere Gesù. Molti di noi dicono talora, o se lo sentono dire ogni tanto: «Se vedessi Dio, allora crederei, ma non lo vedo mai!».
Maria di Magdala, proprio mentre vede Gesù, è sicura di non vederlo! Così chissà quante volte noi «vediamo il Signore», ma non sappiamo che è Lui! Siamo sicuri di non vederlo. I nostri occhi hanno davvero bisogno di una luce nuova!
In questo giorno cercheremo di essere umili sapendo che il Signore vuole incontrarci con noi, e s’incontra con noi molte volte... e noi non lo sappiamo.
Ci terremo pronti, attenti a riconoscerlo; ci terremo pronti ad amarlo, anzi, incominciamo subito ad amarlo: ancora prima di vederlo incominciamo a offrire a lui le varie attività di questa giornata, i vari momenti, gli incontri con le persone. Se staremo in questo atteggiamento di amore per Gesù, di attenzione a lui, di offerta, potremo veramente amarlo anche senza accorgercene.
Gesù stesso ha detto a quelli che stavano alla sua destra: «Venite, benedetti dal Padre mio, perché avevo fame e m’avete dato da mangiare« ed essi non sapevano di averlo fatto...
Gesù non lo riconosciamo tanto facilmente: egli desidera trovare nel nostro cuore un amore gratuito e pieno verso di lui, anche quando non lo vediamo; attraverso quest’amore puro, anche i nostri occhi si apriranno...
Spirito Santo, donaci luce e umiltà per essere disponibili e pronti a offrirci continuamente al Padre e poter così accogliere la luce che tu ci vuoi donare per vedere il Signore, dove egli è presente.
19.
«Donna, perché piangi? Chi cerchi?».
Già gli angeli avevano rivolto a Maria questa domanda: «Donna, perché piangi?». Gesù aggiunge: «Chi cerchi?». Proviamo a ritradurre questa parola in una maniera un po’ più ampia: «Donna, perché piangi? Che motivo hai d’essere triste? Se io, tuo Signore, ho offerto la vita al Padre e l’ho offerta fino alla fine, tu dovresti rallegrartene! Se io, persino nella morte, nei tormenti più crudeli, non ho ceduto neppure un istante a sentimenti di odio, di vendetta, di violenza, di critica, di lamentela, come dovresti essere contenta! E tu, invece, piangi? Io sono tornato al Padre e ora godo la sua gloria: se tu mi amassi, ti rallegreresti della mia gioia. Perché piangi? Chi cerchi?
Tu stai cercando un cadavere, ma io sono vivo! Chi cerchi? Non ti accorgi di voler qualche cosa per te? Tu non vuoi donare la tua vita; non vuoi farne un atto d’amore continuo come ho fatto io!
Se lo volessi, non ti sarebbe necessario trovare quello che stai cercando... se tu volessi veramente essere un dono d’amore di Dio per gli uomini, potresti esserlo: potresti esserlo anche in questo momento!
Quante persone devono ancora conoscere l’amore di Dio! E tu potresti donarlo loro!
«Chi cerchi?». La domanda che Gesù rivolge a Maria vale anche per noi, oggi. I motivi di pianto non possono dominare la nostra vita, non possono impedirci di diventare amore.
Quando cerchiamo qualche cosa per noi, siamo egoisti; è in questi momenti che piangiamo. Cerchiamo, invece, di essere amore: le situazioni ce le dona Dio stesso, giorno per giorno, ora per ora.
Le diverse situazioni, gli stessi contrattempi che incontreremo durante le nostre giornate sono occasioni nelle quali possiamo vivere, possiamo «tradurre« l’amore di Dio: forse in modo diverso da come avremmo pensato noi, ma, proprio per questo, con maggiore pienezza e verità.
Signore Gesù, concedici di non desiderare per noi stessi la tua presenza; donaci invece di desiderare d’esser tuo strumento d’amore per i fratelli.
20.
«Essa - Maria di Magdala - pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”».
Maria di Magdala non ha risposto alla domanda che Gesù stesso le aveva rivolto: «Perché piangi? Chi cerchi?». Ella non risponde, è tutta presa dalla propria sofferenza e dalle proprie considerazioni. Ne è presa così fortemente che per la terza volta esprime il suo giudizio e la sua accusa; questa volta - strano, stranissimo - l’accusa la rivolge personalmente nientemeno che a Gesù. Ella non sa che la persona che ha davanti è Gesù, non lo sa... È per questo che proprio a lui rivolge l’accusa: «Se l’hai portato via tu, dimmi...».
Questo fatto ci fa veramente pensare e tremare: Maria, continuando a rimuginare la sua condanna verso persone ignote, finisce per accusare nientemeno che Gesù.
Ed è proprio così: quando noi accusiamo e condanniamo qualcuno, stiamo offendendo il Signore; lo stiamo offendendo in una maniera palese, grave. Ogni volta che noi accusiamo un fratello o teniamo nel cuore sentimenti di condanna verso qualche persona, anche sconosciuta, stiamo rovinando il Regno di Dio, stiamo distruggendo la sua opera che è opera di comunione, di fraternità; stiamo offendendo il Signore in persona. Lo offendiamo in noi stessi, perché, mentre teniamo questi atteggiamenti d’accusa, di condanna e di lamentela escludiamo dal nostro cuore lo Spirito Santo, lo rattristiamo, lo allontaniamo. Davanti a noi, poi, può esserci qualche persona che è proprio mossa dal Signore cosicché la nostra accusa ricade su di lui: rifiutiamo il Signore stesso!
La Risurrezione di Gesù ci aiuti a operare un vero cambiamento nella nostra vita, un cambiamento interiore per il quale eviteremo di condannare, di accusare, di pensare male di chiunque. Non per nulla l’Apostolo ci dice: «Non pensare male di nessuno»! È vero: se penso male di qualcuno, offendo il mio Signore, lo escludo dalla mia vita; perciò non vedrò più gli altri con la luce di Dio, e i miei pensieri saranno errati. Succede proprio quello che diceva Gesù: guardando la pagliuzza nell’ occhio del fratello, non vediamo l atrave che sta nel nostro occhio... Siamo noi nell’errore, sempre, quando accusiamo e giudichiamo.
Oggi pregherò il Signore perché non ti succeda di pensare male, di giudicare qualcuno, e tu prega per me, perché questa disgrazia non capiti neppure a me. Grazie!
Signore Gesù, rendici attenti e disponibili a vedere il tuo volto sul volto di ogni persona che oggi incontreremo. Rendici pronti ad amare te ogni volta che ci farai incontrare qualcuno.
21.
«Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!” che significa: Maestro».
Leggiamo con commozione queste parole: Gesù, che si sente giudicato, certamente involontariamente, da Maria, la chiama per nome: Maria! Ed è solo in questo momento che ella s’accorge che la persona che le sta davanti è Gesù.
Non se n’era accorta nel vederlo, non se n’era accorta nel sentirlo parlare; se ne accorge solo ora, quando si sente riconosciuta da lui, quando egli pronuncia il suo nome, quando ella s’accorge che colui che le sta davanti vuol parlare proprio a lei, in prima persona, e la conosce: Maria! È in questo momento che ella s’accorge che quell’uomo è Gesù: proprio il suo Signore, che ella pensava morto; egli è invece là, vivo, che le rivolge la parola e la ama...
Questo succede spesso anche nella mia, nella tua vita. Noi viviamo in maniera superficiale; i nostri incontri spesso sono freddi e senza luce, senza la luce di Dio.
Quando ci accorgiamo che Gesù stesso è presente, che si accorge di noi e ascolta la nostra parola, anche se imperfetta, anche se impropria, allora è come ci svegliassimo da un sonno o da un sogno. Quando ci sentiamo conosciuti e amati, allora ci accorgiamo di Gesù e incominciamo a vivere con lui. Che questo possa succederti oggi!
Se io ti conoscessi, ti chiamerei per nome in questo momento; la mia voce che ti chiama per nome potrebbe sembrarti la voce di Gesù e tu potresti rispondere con un’espressione d’amore come Maria: Rabbunì! che significa: Maestro! Cioè: «Voglio imparare; sono grande ignorante nel lavoro del vivere; voglio imparare da te a vivere, voglio imparare da te a morire, voglio imparare da te ad essere presente al Padre in ogni momento della giornata»!
Viviamo così, oggi, desiderando d’essere presenti al Padre: egli ha una parola di amore chiaro e profondo per ciascuno di noi. Egli ci chiama per nome: è lui che ti chiama per nome; quando siamo chiamati per nome ci sentiamo vivere, ci sentiamo di metterci a disposizione con coraggio e decisione sempre rinnovati.
Ti ringrazio, Padre, perché mi conosci per nome; grazie, Signore Gesù, perché pronunci anche il mio nome con chiarezza, perché anche a me vuoi affidare una missione.
Grazie; eccomi: sono a tua disposizione per tutto questo giorno! Alleluia!
22.
«Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre, ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Magdala ha cercato di bloccare Gesù. Un altro evangelista dice che «gli ha abbracciato i piedi».
Ella è così contenta di riconoscere il suo Signore e di ritrovarlo vivo, che ne vuol godere la presenza in maniera sensibile e continua. Gesù però glielo impedisce: «Non mi trattenere». È come se Egli dicesse: «Non sono qui per te, non sono qui per darti soddisfazioni sensibili, perché tu goda di me». «Non mi trattenere perché non sono ancora salito al Padre»: la mia presenza, finché è fisicamente riscontrabile, non è ancora piena. Finché tu mi vedi al di fuori di te, è segno che non sono dentro di te. Finché tu mi vedi all’esterno, è segno che non sono ancora nel tuo cuore: questa mia presenza, perciò, non è ancora la più piena e vera. «Non sono ancora salito al Padre»: la mia presenza in te non è ancora spirituale. Tu godi la mia presenza fisica, e questo è troppo poco... Non mi trattenere, non voler godere di me, in maniera sensibile, ma va’ dai miei fratelli, ubbidiscimi. Se mi ubbidisci è segno che mi ami».
«Chi mi ama osserva la mia parola« aveva detto Gesù. L’amore per lui non lo si misura con i sentimenti che si provano. Quando vogliamo sentire, provare, godere, sentire devozione, sentir fervore, sentire qualcosa dentro di noi, non stiamo amando Gesù; quello è amor proprio, amore di noi stessi. Vogliamo sentire noi soddisfazione. Questo è un ‘amore’ che ci ferma, ci fa pensare a noi stessi, non ci rende disponibili ai fratelli...
L’amore vero per Gesù è quell’amore che ubbidisce: «Chi mi ama, osserva la mia parola». «Chi osserva i miei comandamenti, questi mi ama»; questo aveva detto Gesù; ed ora egli dice a Maria: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro...». Le affida una missione, un compito per gli altri. La manda nella comunità dei suoi fratelli.
Ecco come Maria deve amare Gesù: deve smettere di godere la sua presenza sensibile, deve lasciarlo e andar via, andare ad annunciare la sua parola, il suo messaggio, agli altri discepoli. Ecco il modo concreto di amare Gesù, un modo che non ci permette né di illuderci né di... rimanere ripiegati su noi stessi; è un modo che non lascia posto a scoraggiamenti se non sentiamo nulla e se non proviamo sensazioni nel nostro cuore. Amare Gesù, infatti, non vuol dire questo; amare Gesù è ubbidirgli, fare quanto egli chiede anche se non si prova niente, anche se non si sentono devozioni particolari. L’amore per Gesù è l’obbedienza alla sua parola concreta, parola che troviamo tutti i giorni nella Chiesa santa di Dio.
23.
«Maria di Magdala andò subito ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e anche ciò che le aveva detto».
Ecco, finalmente vediamo che Maria di Magdala ama Gesù; finora, mentre piangeva, mentre tratteneva Gesù davanti al sepolcro, non mostrava amore per lui, ma soltanto per se stessa: desiderava Gesù per poter godere, per poter essere nella gioia.
Ora, dalla sua ubbidienza pronta, vediamo che, invece, lo ama davvero e lo ama nella maniera giusta. «Maria di Magdala andò subito». Ella ubbidisce a Gesù che la manda dai suoi fratelli.
«Andò subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore!”».
Prima di tutto, Maria si fa testimone, annuncia quanto ha visto, e poi annuncia pure le parole che Gesù le ha ordinato di dire. Prima comunica la propria esperienza, ed è questo che la rende credibile.
La comunicazione della propria esperienza, può anche farla soffrire; difatti sappiamo da altri evangelisti che a questo annuncio Maria è stata ritenuta pazza, una che vaneggia... e lei si è lasciata trattare così per amore di Gesù. Ha obbedito a lui.
Chi ama Gesù, non ha paura di compromettersi con lui e per lui. Egli stesso ha detto: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole, anch’io mi vergognerò di lui, ma chi non si vergognerà di me e delle mie parole...».
Ecco, Maria di Magdala non si vergogna né di Gesù né delle sue parole, ma annuncia con chiarezza decisione e gioia la propria esperienza e le parole che il Signore le ha affidato. Ella annuncia quella parola senza cambiarla.
«Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». La Parola di Gesù è una parola di gioia e di comunione; di comunione col Padre, ma anche con i discepoli. Egli guarda allo stesso Padre e allo stesso Dio che hanno i discepoli.
D’ora in avanti, se i discepoli vorranno pensare a Gesù, dovranno pensarlo insieme al Padre e, se vorranno pensare al Padre, dovranno pensarlo attraverso Gesù, attraverso l’esperienza che essi hanno avuto con lui.
«Nessuno conosce il Padre se non il Figlio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre», «Io e il Padre siamo uno« aveva detto Gesù. E ancora: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Gesù è e dev’esser conosciuto così dai discepoli, come l’unica via che conduce al Padre; tutti coloro che vogliono conoscere Dio lo conosceranno soltanto guardando a Gesù, attraverso di lui.
L’annuncio di Maria di Magdala è un annuncio veramente missionario, grande. Vogliamo accoglierlo anche noi: guardare al Padre attraverso Gesù e cercare Gesù solamente e sempre accanto al Padre.
Potremo anche noi oggi, annunciare a qualcuno, che Gesù è vivo, e che la sua presenza è fonte di speranza e di gioia!
Signore Gesù, tu che hai mandato Maria, ora mandi la tua Chiesa a dire a tutti che sei accanto a noi, che vai dal Padre per intercedere a nostra salvezza: accogli il nostro grazie e la nostra lode! E rivestici del tuo spirito di coraggio e di amore perché anche noi possiamo dare a tutti coloro che incontreremo un messaggio divino! Alleluia!
24.
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù».
Lo stesso giorno della Risurrezione, dopo essere apparso alle donne, Gesù appare anche ai suoi discepoli. Prima però si fa annunciare loro dalle donne; prima desidera che essi facciano un atto di umiltà e di fede.
Gesù chiede ai suoi discepoli di credere all’annuncio delle donne: essi stessi devono fare l’esperienza che sarà poi di tutti i cristiani, i quali crederanno dopo aver sentito l’annuncio dai discepoli. I discepoli stessi, prima di correre ad annunciare, devono far l’esperienza dell’incredulità e della fede. Essi non credono a quanto dicono le donne: lo vediamo dal fatto che tengono le porte chiuse per timore dei Giudei. I discepoli non hanno dato importanza alle parole di Maria di Magdala e delle altre donne che avevano visto Gesù. I discepoli non credono; e conseguenza del non credere è la paura, il timore degli uomini, dei Giudei. È la paura di essere scoperti come discepoli del Crocifisso, di Colui che è stato rifiutato, hanno paura di essere rifiutati, di essere perseguitati, accusati… hanno paura. Perché? Da dove viene la loro paura? Viene dal fatto che essi tengono alla propria vita su questa terra molto di più che all’opera di Dio; credono di più alle proprie forze che non agli interventi di Dio. Si chiudono dentro; non hanno fiducia nel Padre, si fidano solo dei propri accorgimenti.
Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, chiuse per timore dei Giudei. I discepoli vivono nella paura degli altri, perché gli altri possono dir male, accusare, perseguitare, uccidere. L’uomo che ama se stesso teme gli altri uomini. I discepoli fanno l’esperienza dell’incredulità e della paura, ma è bello vedere che Gesù non si lascia vincere da queste debolezze dei suoi e appare loro nonostante tutto. Gesù si fa presente là dove essi sono radunati, mentre essi hanno ancora paura, mentre ancora non credono né sono capaci di offrirsi. Notiamo da ciò la gratuità della presenza di Gesù. Nessuno può «meritare« di vederlo, nessuno può meritare la sua presenza: questa è soltanto dono. Ringraziamo anche noi in questo giorno il Signore Gesù perché si fa presente a noi e c’incontra nonostante le nostre paure, nonostante che amiamo noi stessi più di lui, e che non siamo ancora capaci di offrire la vita, di lasciarci deridere, perseguitare, accusare per amor suo.
La nostra vita è ancora debole, la nostra fede è ancora incerta; eppure egli si fa presente a noi ugualmente. Questo è fonte di grande gioia, una gioia che che può occupare il nostro cuore e aprirci a una fede e a un amore più forte.
Signore Gesù, che non ti sei lasciato fermare dall’incredulità e dalla paura dei tuoi discepoli né dal loro amor proprio, vieni anche nella nostra vita. La tua presenza, i tuoi gesti di amore gratuito possano cambiare il nostro cuore, possano aprirlo perché impariamo ad offrirci e a non vergognarci di te.
25.
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”».
«Gesù si fermò in mezzo a loro»: la presenza di Gesù è una presenza nuova. Mentre egli camminava su questa terra prima della sua morte, stava sempre «davanti a loro« ed essi i discepoli, «lo seguivano». Lo seguivano per imparre dal Maestro, a vivere, ad amare, a offrirsi. Ora Gesù non è “davanti”, ma «in mezzo a loro»: questo è il nuovo modo di essere presente di Gesù risorto. Egli è presente tra i suoi «in mezzo», quando essi sono radunati, quando essi sono riuniti nel suo Nome. Egli l’aveva già detto: «Quando due o più sono riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro».
Luogo della presenza di Gesù, ora, è la comunità, la Comunità dei suoi discepoli che si riunisce nel suo Nome, per amor suo, per realizzare la sua Parola e i suoi progetti d’amore: ecco il nuovo luogo della presenza di Gesù! E se noi vogliamo incontrare Gesù, dove dobbiamo recarci? Ci recheremo là dove c’è una Comunità riunita nel suo Nome. Ogni domenica e ogni giorno, quando la Comunità dei discepoli celebra l’Eucaristia, là Gesù stesso è presente. Ogni volta che anche tu, nella tua famiglia o con altre persone, ti riunisci nel Nome di Gesù, per pregare, per amare o per realizzare qualcosa per amor suo, là, in quell’unione di cuori, unione di persone, è presente lui.
«Si fermò in mezzo a loro»: è grande e bella la presenza di Gesù ed è molto consolante il fatto che egli si trovi là dove i suoi discepoli sono riuniti!
Questo ci fa pure capire che non possiamo essere cristiani da soli, senza tener conto della Comunità. È importante, perciò, essere uniti nella Comunità cristiana, perché un cristiano da solo, che volesse far da sé, non è neppure un cristiano, non si accorgerà della presenza di Gesù, non la potrà godere e nemmeno potrà essere strumento della presenza del Signore.
Abbiamo visto che Gesù s’è fatto presente a persone fuori della comunità, ma solo per orientarle ad essa. Le donne, a cui egli si è manifestato, le ha mandate là dov’erano riuniti i discepoli; i due discepoli di Emmaus, accortisi della presenza di Gesù quando egli era ormai scomparso, sono balzati in piedi e sono tornati là dov’erano riuniti gli altri. Nessuno può presumere d’esser cristiano da solo: sarebbe l’orgoglio peggiore, che rende triste la vita, perché non permette a Gesù di essere presente.
Ringraziamo il Signore che ci concede di poter vivere in una Comunità cristiana, lo ringraziamo anche se la nostra comunità non è perfetta; lo ringraziamo perché ci permette di godere la sua presenza, forte, sicura e benedicente.
26.
«Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”».
Gesù sta in mezzo ai discepoli e rivolge loro questo saluto, un saluto che riceviamo anche noi ogni volta che celebriamo l’Eucarestia: «Pace a voi».
Nella sua lingua, Gesù deve aver usato il termine: «shalom»; cosa significa questa parola? Essa non è un augurio e nemmeno un saluto normale: un aneddoto che ho trovato su un libro di cui non ricordo l’autore può spiegare il significato del termine «shalom»:
Un uomo camminava sotto il sole di luglio, tutto sudato, portando il suo fagotto sulle spalle. Finalmente passò vicino a una vigna: purtroppo però in essa era seduto il padrone. Il viandante non poteva neppure sognarsi di entrare per riposare, ma ecco che, passando là accanto, si sente rivolgere quest’invito: «shalom!». Fu sufficiente questa parola, ed ecco che il viandante, non solo entrò nella vigna, ma depose il suo fagotto, si sedette all’ombra, staccò un grappolo, si dissetò, si ristorò. Perché?
Perché la parola «shalom», che noi traduciamo col termine «pace», ha appunto questo significato: vieni a godere ciò di cui io godo, vieni anche tu a prender parte dei miei beni, ricevi anche tu partecipazione delle mie ricchezze, delle mie sostanze: quanto io ho, godilo anche tu!
Questo è il significato della parola usata da Gesù quando dice ai suoi discepoli: «Pace a voi!». È come dicesse: «quello che io ho, lo comunico anche a voi, le ricchezze che il Padre ha dato a me, io le dono anche a voi». Vedremo come Gesù ha reso concreto questo dono di comunione espresso con la parola «pace».
Ti ringraziamo, Signore Gesù, che ci vuoi rendere partecipi della tua vita, delle ricchezze che tu hai ricevuto dal Padre, soprattutto del tuo Santo Spirito. Grazie, Signore Gesù!
27.
«Gesù si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo mostrò loro le mani e il costato».
Gesù è risorto, egli dona i suoi beni e la sua ricchezza ai discepoli: «Pace a voi!». Mentre dice queste parole mostra loro le mani e il costato: Gesù risorto porta ancora chiari ed evidenti i segni della Passione. Gesù si presenta a noi, sempre, coi segni della croce. Egli ha offerto la propria vita, ed è per questo che il Padre lo ha esaltato, è per questo che egli è stato innalzato: perché ha offerto se stesso. Ora, l’offerta di sé non può essere cancellata; la gloria, la gioia sono conseguenza di questa offerta.
Gesù mostra i segni della sua Passione come segni di vittoria, come i segni dell’amore più grande. Gesù è sempre Colui che ama offrendosi. Egli offre se stesso, continuamente, anche oggi, nella Chiesa.
La Chiesa oggi è il Corpo di Cristo, e la Chiesa, come Corpo di Cristo, sta continuamente portando i segni della Passione. La Chiesa è sempre perseguitata, sempre in croce; se non lo è qui, in casa mia e nella mia parrocchia, lo è altrove; in varie parti della terra ancora oggi la Chiesa è perseguitata. Ma qualche piccola o grande persecuzione la sperimentiamo anche noi. In molti posti di lavoro e in molti ambienti chi si dichiara di Gesù Cristo viene deriso, rifiutato, anche allontanato.
Una certa persecuzione l’abbiamo sperimentata tutti e non è un male: fa parte dei segni che oggi il Corpo di Cristo glorioso porta; i segni della Passione, i segni dell’amore che giunge a donare la vita.
Ci sono cristiani che vorrebbero vivere senza croce, e contemplano un Gesù che porta soltanto al successo, alla gloria umana. Nascono così gruppi, sètte, che vedono l’essere cristiani soltanto come mezzo per riuscire ad esser sempre sani, ad aver successo, denaro, a cercare che tutto vada bene in questo mondo. Ma questo non è seguire Gesù, il vero Gesù!
Gesù porta sempre i segni della sua croce!
Il Corpo di Cristo, la Chiesa, porta ancora i segni delle piaghe e soffre, pur godendo interiormente di poter esser unita a Colui che dona la vita.
Grazie, Signore Gesù, che ci mostri i segni della tua Passione e ci rendi capaci di portarli! Ti ringraziamo e ti adoriamo!
28.
«Gesù disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore».
Finalmente i discepoli vedono il Signore e sono contenti, gioiscono: la presenza di Gesù toglie dal loro cuore l’incubo provocato dalla sua crocifissione. Torna la gioia sul loro volto; la gioia è l’espressione esteriore di ciò che è avvenuto dentro: si sono convinti che Gesù è vivo e sono contenti.
La gioia è la prima reazione al credere che Gesù è risorto; è la prima, non l’ultima; la prima reazione, ma essa non è ancora tutto, non è sufficiente. S. Luca, riferendo nel suo vangelo questa gioia dei discepoli che vedono il Signore, si esprime così: «... per la grande gioia ancora non credevano». La gioia era un impedimento alla fede; come può essere? La gioia, in fondo, è un atteggiamento bello, desiderato, che però ci fa stare ancora rivolti a noi stessi, alla nostra situazione, alla nostra vita, ai nostri sentimenti; ci fa stare attenti a quanto succede dentro di noi e ci fa osservare quello che vediamo in funzione di noi stessi, in funzione di una nostra soddisfazione. E questo, dice l’evangelista, non è ancora fede.
Che cos’è la fede? La fede è l’appoggiarsi sul Signore per vivere per lui, per donare a lui la vita. La gioia può impedirci di esser pronti a offrirci. La gioia è un primo passo, ma non è l’ultimo.
«Per la grande gioia ancora non credevano». Vogliamo, sì, credere nel Signore, godeva della sua Risurrezione, ma anche presentarci a lui disponibili perché egli, Risorto, possa adoperare la nostra vita per i suoi disegni, possa riempire il nostro cuore del suo Spirito, se ci fermassimo alla gioia, rimarremmo ancora attenti a noi stessi e nel momento della difficoltà non saremmo capaci di resistere e di rimanere fedeli.
Signore Gesù, tu che ci dai la gioia di vederti Risorto, donaci una fede più matura, che non tenga conto di quanto succede a noi, ma che sappia cominciare a offrirsi con generosità alla tua volontà!
29.
«Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”».
Dopo aver già detto una volta: «Pace a voi!» e aver mostrato le mani e il costato, e aver lasciato assaporare la gioia ai discepoli, Gesù fa fare loro un altro passo. Egli porge ai discepoli un dono. La parola «pace« significa, appunto, come abbiamo già detto, condivisione: godete anche voi dei miei beni; ed ecco che Gesù comincia a donare ai suoi discepoli le stesse sue ricchezze. E qual’è la ricchezza di Gesù? La ricchezza di Gesù è il compiere la volontà del Padre. Egli l’aveva detto: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato». Gesù gode di poter realizzare la parola del Padre, di poter essere servo fedele di Dio. Questa realtà, questa vita la vuol donare anche ai suoi discepoli: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». Gesù dà ai suoi lo stesso compito che egli ha ricevuto: vivere non per se stessi, ma per lui, come egli è vissuto per il Padre; vivere facendo non la propria volontà, ma la sua, come egli è vissuto realizzando il volere del Padre.
«Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». Il Padre ha mandato Gesù come agnello in mezzo a lupi, così Gesù manda i suoi. Il Padre ha mandato Gesù per amare tutti gli uomini, i peccatori tra i primi, così Gesù manda i suoi ad amare tutti gli uomini, i peccatori tra i primi.
Il Padre ha mandato Gesù perché manifestasse il suo Nome di «Padre» a tutti gli uomini, così anche Gesù manda i discepoli perché facciano conoscere il vero volto di Dio che è Papà, Padre che ama e dà la vita. Questo è il vangelo che essi annunceranno, questo è il compito dei discepoli, il compito mio e il compito tuo.
Il Nome del Padre, cioè la realtà dell’Amore del Padre, la possiamo far conoscere con le parole, ma soprattutto con la nostra vita; una vita vissuta nell’amore, nella fedeltà, in adorazione, nella verità della santità.
Ti ringrazio che anche tu oggi accogli e ti impegni in questo compito: di amare e di diventare così un segno della santità di Dio per quanti t’incontreranno.
Grazie, Signore Gesù, che ci mandi come il Padre ha mandato te! «Pace a voi!».
30.
«Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”».
Gesù, dopo aver fatto sperimentare ai suoi discepoli la gioia e dopo aver donato loro la stessa sua missione, fa compiere un terzo passo.
Come potrebbero i suoi discepoli, che si lasciano prendere così facilmente dalla paura e dall’amore di se stessi, realizzare la missione del Padre, quando la gioia non ci sarà più? Non ci riusciranno! Ed allora ecco che Gesù compie il terzo passo, fa un terzo dono ai discepoli: «Ricevete lo Spirito Santo». È la ricchezza più grande ricevuta da Gesù dal Padre. All’inizio della sua missione lo Spirito era sceso su di lui per rimanervi; era sceso come colomba; e sulla croce Gesù aveva riconsegnato al Padre lo Spirito: «Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito». «E chinato il capo, consegnò lo Spirito». Ora, Gesù vuol donare ai suoi questo Spirito. Per farlo non ha nemmeno bisogno di parole: «Alitò su di loro». Gesù compie un gesto divino: all’inizio della creazione, Dio aveva alitato lo Spirito vivente sull’uomo, su Adamo; ora Gesù alita sui suoi discepoli, destinati ad essere la figura del nuovo Adamo, dell’uomo nuovo, destinati a portare la novità della vita umana nel proprio cuore. Egli alita su di loro il suo Spirito, lo Spirito Santo, quello Spirito che li trasformerà, che li renderà capaci di offrirsi, di donarsi senza paura, quello Spirito che li renderà testimoni del suo Nome.
Gesù dice: «Ricevete lo Spirito Santo». Egli accompagna il suo soffio con questa Parola. Una parola che è allo stesso tempo comando e dono. È come se Egli dicesse: «Io vi faccio dono dello Spirito Santo, voi aprite il cuore per riceverlo».
«Ricevete lo Spirito Santo». Lo Spirito Santo è un dono, ma va accolto; l’uomo deve voler accoglierlo, deve aprire il proprio cuore, altrimenti, se il cuore dell’uomo rimanesse chiuso, occupato da altri spiriti, lo Spirito di Dio non potrebbe entrarvi e non potrebbe trasformarlo.
Ti ringraziamo, Signore Gesù, di aver donato ai tuoi Apostoli lo Spirito Santo; ti ringraziamo che lo doni anche a noi oggi, perché riusciamo, nelle varie situazioni che incontreremo, a offrirci, a donarci per amor tuo.
31.
«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Lo Spirito Santo trasforma realmente il cuore dell’uomo e lo trasforma in questo modo: lo rende capace di stare a tu per tu con Dio. L’uomo, da quando Adamo ha lasciato il paradiso terrestre, da quando ha perduto la confidenza col Padre, si trova fuori strada: questo è il suo peccato, perché l’esser fuori strada impedisce all’uomo di arrivare alla meta. L’uomo deve rimettersi sui propri passi e ritornare al Padre. Come può fare? Ecco: la via è Gesù. «Io sono la via« aveva detto, «Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me». Gesù è colui che toglie l’uomo dal peccato, Gesù è colui che rimette l’uomo disorientato, che non conosce il significato della propria esistenza e non trova quindi nessun motivo di gioia su questa terra, sulla retta via; lo riporta al Padre.
Ma adesso che Gesù è morto ed è salito ai cieli, chi realizza questo compito? Chi sta al suo posto?
«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi». Ora e nei discepoli di Gesù, nella Chiesa che abita lo Spirito Santo, quello Spirito che può riconoscere se una persona è sulla strada o fuori. Lo Spirito Santo è la luce che illumina le vie del mondo e fa riconoscere e distinguere la via giusta, quella che porta al Padre, dalle vie false. Questa luce è data alla Chiesa, ai discepoli di Gesù; essi possono discernere se tu sei sulla strada o se sei fuori strada; se tu stai camminando verso il Padre o se stai percorrendo vie strane, vie che non ti condurranno mai alla Casa, alla tua dimora, alla tua vera felicità.
La Chiesa ha questo compito, e lo deve realizzare. La Chiesa deve dire agli uomini: «Sei sulla strada« oppure «Sei fuori strada». E non solo lo deve dire, ma a lei spetta anche rimettere il peccato, cioè prendere l’uomo che è fuori e portarlo sulla strada. La Chiesa con i suoi Sacramenti, con la sua vita, col suo amore, realizza quest’opera grande per tutti gli uomini. La Chiesa prende l’uomo dalla situazione di tenebra e di confusione e lo porta alla luce, con i segni del Battesimo, dell’Eucaristia, della Cresima e tutti gli altri, e con la Parola che essa annuncia. Coloro che non accettano questi Segni e questa Parola, rimangono nel loro peccato, rimangono fuori strada, rimangono tra coloro per i quali noi dobbiamo ancora offrirci e soffrire finché anch’essi possano essere riportati nell’unico ovile dal Signore Gesù.
Anche noi oggi vogliamo offrire al Signore le nostre sofferenze e le nostre fatiche perché qualcuno possa essere preso dal suo luogo di tenebra, dov’è perduto, e rimesso in contatto con Gesù, l’unica strada che porta al Padre.
32.
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”».
Tommaso è uno dei Dodici; era assente il giorno della Risurrezione, nel momento in cui Gesù si è presentato ai suoi e si è fermato in mezzo a loro, donando la pace, il mandato del Padre e lo Spirito Santo: in quel momento Tommaso non c’era.
Quest’assenza di Tommaso dal gruppo dei discepoli, in un momento così importante e decisivo della loro vita, mi suggerisce questo pensiero: la Comunità cristiana può godere la presenza di Gesù anche se non tutti i membri sono presenti; quando la Comunità cristiana si riunisce, anche se manco io, Gesù può essere ugualmente presente. E cosa significa questo? Significa che io prenderò sul serio quello che la Comunità cristiana fa e decide anche senza di me: lo decide, infatti, con la presenza di Gesù; io sarò quindi obbediente al Signore e accoglierò quanto la Comunità, insieme a Lui, ha deciso. Questo vale se penso a quanto la Comunità cristiana, la Chiesa, ha deciso nei secoli scorsi, negli anni passati, negli incontri importanti che ci sono stati tra cristiani, tra credenti, tra Vescovi - i Concili, per esempio -, oppure a quello che ha deciso qualche anno fa o nell’ultima riunione il Consiglio Pastorale della mia Parrocchia, anche se io non ero presente.
Tommaso non era presente, eppure Gesù è apparso ugualmente e ha compiuto tutta la sua opera in mezzo ai suoi. È una grazia vedere che Gesù non dipende dall’uno o dall’altro, dalla mia presenza o dalla mia assenza: Egli è libero di agire nella sua Comunità, e l’opera che egli compie è sua. Con molta umiltà perciò io guarderò alla Comunità cristiana e alle sue decisioni e iniziative come a un dono per me, a una grazia, anche se, per il mio peccato o per la mia pigrizia o per qualunque altro motivo, io non sono presente quando essa si riunisce.
Ringraziamo il Signore che ci fa membra attive della Chiesa che vive ormai da secoli, e che sempre, in ogni tempo, ha potuto godere la presenza del suo e mio Signore e preghiamo perché i cristiani, sentendosi membra vive della Chiesa, possano darle piena, sincera ubbidienza.
33.
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”».
Tommaso non era con loro quando venne Gesù.
Gli altri discepoli approfittano di questa occasione per farsi annunciatori. I discepoli di Gesù, gli Apostoli, che hanno visto il Risorto, annunciano quanto hanno visto, quanto hanno sperimentato; lo annunciano a Tommaso.
Questo fatto semplicissimo, ovvio, naturale, mi fa pensare alla nostra esperienza. Noi viviamo insieme con altri cristiani, con altri discepoli di Gesù. Ebbene, è anzitutto a loro che noi doniamo la nostra esperienza, l’esperienza che abbiamo col Signore.
Se noi incontriamo Gesù nella nostra vita, se incontriamo Gesù che ci dà qualche luce o qualche suggerimento interiore, o gioia o consolazione, o anche qualche sostegno nella nostra sofferenza, ebbene, se incontriamo Gesù, i primi che ne debbono godere sono i nostri fratelli nella fede; sono gli altri cristiani, che sono cristiani con noi, che hanno bisogno di essere sostenuti nella fede, hanno bisogno di sapere quello che fa il Signore anche nella vita degli altri. «Abbiamo visto il Signore!»: i discepoli si fanno testimoni per un loro condiscepolo.
A questo proposito vorrei veramente ringraziare molti cristiani che sono stati testimoni per me, anzi, voglio ringraziare molti cristiani che oggi sono testimoni per me; essi, col loro raccontarmi l’esperienza che fanno col Signore, mi aiutano, mi danno sostegno, rafforzano quella poca fede che riesco a mettere in pratica. È un grande dono che ci sia qualcuno accanto a me che mi dice: «Ho visto il Signore!». È un grande dono che qualcuno mi racconti qualcosa della sua esperienza di luce, di pace e consolazione vissuta con Gesù Risorto.
È veramente molto bello questo fatto: vediamo anche la nostra vita realmente descritta qui dalle parole del vangelo: «Gli dissero gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”».
Possa anche tu dire a qualcuno: «Ho visto il Signore!». Possa tu essere attento a riconoscere e a sperimentare la presenza di Gesù. Egli certamente ti dà i segni della sua opera, della sua presenza: non dimenticarli, ma quando incontri qualcuno disposto ad ascoltarti, raccontaglieli: questa testimonianza è una grazia, è un dono di Dio di cui tutti hanno bisogno. E, se qualcuno li racconta a te, ascoltalo: è un dono che Dio ti fa, perché anche tu possa incontrare Gesù in una maniera sempre più viva e comunitaria.
Signore Gesù, donaci il tuo Santo Spirito, perché possiamo vedere la tua presenza nella nostra vita, nella vita della nostra Comunità, e donaci anche il tuo spirito di comunione perché possiamo trasmettere ai nostri fratelli quanto di te abbiamo sperimentato.
34.
«Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”».
I discepoli hanno dato la loro testimonianza a Tommaso, ma Tommaso è prevenuto: egli pensa che un morto non può risorgere o, perlomeno, per poterlo credere, egli vuole dei segni; e i segni non li può decidere Dio, ma li deve decidere lui, Tommaso stesso («Se non vedo... se non metto il dito... se non metto la mia mano..., non crederò»). È Tommaso che decide quali segni Dio gli deve dare perché possa credere.
Dentro queste affermazioni vi è certamente orgoglio, ma anche una convinzione sbagliata: la convinzione che la fede sia conseguenza dell’opera dell’uomo, del suo vedere e del suo toccare. Anche oggi molti pensano come Tommaso: «Io non l’ho mai visto, quindi non credo!». Come se la fede fosse qualcosa che produciamo noi...
La fede invece è dono di Dio! La vera fede, il credere - cioè l’affidarsi a Colui che è risorto, il donargli la vita, l’amare fino alla fine, il seguirlo -, questa fede è dono di Dio, non conseguenza del nostro vedere e del nostro toccare. Questo dono non può esser fatto a chi ha un cuore orgoglioso, ma soltanto a chi è umile e docile.
Tommaso aveva già ricevuto un segno grande: aveva visto dieci uomini cambiati, trasformati. Tommaso aveva davanti a sé, proprio in quel momento, dieci uomini che egli conosceva, che aveva lasciati addolorati, spaventati, delusi e amareggiati; ebbene, quei dieci uomini, eccoli davanti a lui nella gioia! Un segno più grande di questo dove lo si poteva trovare? Dieci persone trasformate, dieci uomini contenti, capaci di amare, di esser generosi; dieci uomini che hanno perso la paura... Queste dieci persone sono un segno grandioso, un segno di Dio. Tommaso lo vede, ma ha il cuore chiuso e non capisce. Come potrà capire altri segni? Se Dio gli darà i segni che egli stesso richiede, potrebbe dire addirittura: «Ah, ho avuto un’autosuggestione!».
Non dobbiamo chiedere segni a Dio. Egli stesso ce li dà: basta che noi apriamo gli occhi con umiltà e con amore, e li vedremo; segni non solo della Risurrezione di Gesù, ma del grande amore che il Padre ci dona, continuamente; segni della vita nuova che Dio vuol mettere e mette nei nostri cuori perché anche noi viviamo, già oggi, da risorti.
Insieme con te prego lo Spirito Santo che venga a rinnovare il nostro cuore.
Vieni, Spirito Santo, rinnova il cuore dei tuoi fedeli perché possiamo credere nel Signore Gesù, donargli la vita e diventare un segno per i fratelli!
35.
«Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso».
«Otto giorni dopo« o, come si traduce più esattamente dal greco: «L’ottavo giorno erano di nuovo in casa».
«L’ottavo giorno»: questa Parola del vangelo è importante, perché ci lascia intuire come la Risurrezione di Gesù e le sue successive apparizioni inaugurino un nuovo modo di vivere il tempo. I giorni sono soltanto sette; finora abbiamo misurato il tempo col numero sette; sono sette i giorni della settimana.
Qui, invece, si comincia con l’ottavo giorno: è il giorno che viene dopo il tempo, è il giorno che inaugura un tempo nuovo, quello, appunto, della Risurrezione del Signore. Noi siamo abituati a vivere il nostro tempo con la paura o addirittura con l’incubo della morte davanti a noi. Gesù, con la sua Risurrezione, ha fatto sparire questo incubo: egli ha trasformato la morte in un atto d’amore, in un’offerta; e dell’amore non si ha paura. Non si ha paura del momento in cui ameremo, come non abbiamo paura del momento in cui amiamo, perché l’amore scaccia il timore.
La Risurrezione di Gesù, quindi, inaugura un nuovo modo di vivere: non viviamo più nel tempo scandito dal numero sette, cioè non viviamo più nel tempo scandito dalla legge, dall’obbligo, dal dovere, e quindi nel tempo segnato dalla paura, dalla morte. Viviamo in un tempo scandito dall’amore, in un tempo che non ha più differenze: non ci sono più differenze tra un’ora e un’altra, tra un giorno e un altro. Quando si ama, non si fanno differenze: chi ama non bada a calendari o a orologi. L’amore è la nuova situazione del tempo nuovo. Gesù, risorgendo da morte, porta questa grande novità, che è espressa, qui nel vangelo, semplicemente con la parola: «l’ottavo giorno».
«L’ottavo giorno i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso». Ci sono tutti, nel giorno nuovo, nel giorno dell’amore, nel giorno in cui si fa festa per il fatto più importante, quello che cambia la storia dell’uomo: l’amore del Padre che si rivela nella Risurrezione del Signore Gesù!
Noi stiamo vivendo in questo tempo nuovo, il tempo che non viene misurato più dai calendari e dall’orologio, ma dall’amore, dalla capacità di donarsi, di offrirsi. È lo Spirito Santo che ci rende possibile questa nuova realtà! È lo Spirito Santo che ci rende possibile vivere questa vita che Gesù vuol trasmettere ai suoi discepoli.
E noi oggi proveremo a farne esperienza vivendo nell’amore: vivendo così non calcoleremo più il tempo.
Vieni, Spirito Santo, vieni Spirito dell’amore del Padre, Spirito dell’amore di Gesù, vieni in noi.
36.
«Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani”».
«C’era con loro anche Tommaso»: questa volta la Comunità dei discepoli di Gesù è al completo, ma si tratta di una completezza solo numerica: ci sono tutti, però non tutti sono presenti allo stesso modo. Alcuni sono presenti come credenti, uno di loro è presente come incredulo, come uno che non crede nemmeno alla testimonianza dei suoi fratelli.
«Tommaso era con loro»: la presenza di Tommaso potrebbe essere una gioia, ma, poiché egli non crede, diviene un peso.
Così accade anche tra noi: quando la Comunità cristiana si trova riunita nel Giorno del Signore, il giorno in cui egli si fa presente in modo particolare in mezzo ai suoi, in quella comunità non tutti sono credenti: molte volte tra gli altri c’è anche «Tommaso».
Questo non è un male, anzi, è ciò che la Comunità deve desiderare, deve volere: la comunità deve far di tutto perché i suoi «Tommaso» siano presenti. Se «Tommaso», cioè chi non crede ancora è fra i discepoli, essi possono divenire testimoni di Gesù; per lui il Signore, che si fa presente in mezzo ad essi, può nuovamente agire, trasformando l’incredulità in fede. Non dobbiamo spaventarci, perciò, se nelle nostre comunità c’è qualcuno che non crede o crede poco, qualcuno che dubita, che propone soltanto la propria idea, espressione di orgoglio. La comunità, la nostra comunità, deve accogliere questa presenza nella fede che il Signore può operare ancora i suoi prodigi proprio nel cuore di chi non crede o di chi non crede del tutto; il Signore opera questa trasformazione servendosi della riunione della comunità dei credenti.
È proprio delle sètte, invece, presentarsi agli occhi del mondo come «comunità» perfette, ideali; esse infatti dicono: «Noi siamo i puri, tra noi tutti sono bravi, tra noi tutti credono,...»; ma di queste aggregazioni si deve diffidare: sono gruppi nei quali l’uomo si vanta di se stesso; in essi non è Dio, ma l’uomo a operare; per questo in tali sètte l’uomo diventa dominatore degli altri. Ed essi, tutti insieme, senza neppur rendersene conto, diventano oppressori delle coscienze dei singoli. Così sono appunto le sètte, anche quelle che bussano alle nostre porte per cercare di convincerci che la loro fede è quella che rende più puri, che rende più santi, che rende perfetti. La Comunità dove Gesù appare, dove Gesù è presente, è una Comunità dove c’è anche «Tommaso», dov’è presente colui che non crede ancora, colui che è sfiduciato, colui che ha bisogno di qualche segno e di qualche aiuto e della misericordia degli altri per giungere alla fede e all’unità piena con i suoi fratelli.
Invochiamo lo Spirito Santo sulle nostre Comunità cristiane, perché in esse coloro che non credono, coloro che hanno soltanto il buio nel cuore, possano essere accolti e ricevano la luce dal Signore.
Vieni, Spirito Santo, infondi nel cuore dei tuoi fedeli la luce del tuo amore!
37.
«Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente”».
Otto giorni dopo Gesù entra nuovamente nella Comunità dei discepoli, si fa presente in mezzo a loro; inaugura, così, il giorno liturgico che noi continuiamo a vivere e celebrare.
Gesù ripete quello che aveva già fatto la prima volta, il giorno della Risurrezione; ripete nello stesso modo la sua presenza e ripete allo stesso modo la sua parola: «Pace a voi!». Gesù vuole, ogni volta che si fa presente in mezzo ai suoi discepoli, condividere le sue ricchezze di vita: «Pace a voi!».
Gesù poi si rivolge direttamente a Tommaso: «Metti qua il tuo dito». Chi attira per primo lo sguardo di Gesù non sono i discepoli che credono, non è Pietro, non è Giovanni, né gli altri: è Tommaso. Gesù vuole anzitutto che nella Comunità dove egli è presente si giunga all’unità di spirito. Per questo vuole che tutti lo riconoscano; l’unità di spirito infatti è possibile solo tra coloro che riconoscono Gesù come Signore, tra coloro che riconoscono Gesù come il Risorto dai morti, come Colui che è presente per l’eternità e che dà nuovo significato all’esistenza.
Gesù si rivolge quindi a Tommaso. Questo fatto mi fa pensare alla mia esperienza di sacerdote, di parroco. Quando la domenica celebro la S. Messa la mia attenzione si rivolge particolarmente a coloro che intuisco stiano dubitando: c’è sempre qualcuno che dubita, che non crede o non crede ancora abbastanza da saper gioire per la presenza del Signore e per l’amore del Padre.
Ebbene, istintivamente mi sento attratto proprio da queste persone e cerco che le parole che io dico durante l’Eucaristia - sia quelle del Messale che quelle dell’omelia - siano parole dello Spirito di Dio che tocchino il loro cuore. Per me talvolta questo è una sofferenza, perché penso: «Ma ci sono qui tanti che credono; io devo parlare per loro, devo tener conto della loro fede, aiutarli a crescere in essa e a godere della situazione di credenti, a godere del Signore!».
Eppure la mia attenzione, senza che io lo voglia, è attratta sempre da coloro che sono o si ritengono ai margini della fede. Questa esperienza mi fa comprendere il modo di fare di Gesù; anzi, è proprio il modo di fare di Gesù che prende anche il mio essere sacerdote mentre celebro l’Eucaristia. Gesù si rivolge a Tommaso, perché vuole che anche questo discepolo possa godere della riunione dell’ottavo giorno: se egli non crede nella presenza del Signore, quell’assemblea per lui resterà un’assemblea di condanna, invece che di vita e di salvezza.
Invochiamo lo Spirito Santo perché nelle nostre assemblee coloro che non credono possano giungere alla fede; perché coloro che dubitano possano, dalla parola del sacerdote, dal canto dei fedeli, dall’atteggiamento di quanti pregano, essere aiutati ad aprire il cuore alla fede e all’amore del Signore Gesù Risorto.
38.
«Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!”».
Le parole di Gesù a Tommaso s’incontrano proprio col suo desiderio; quel desiderio però era un desiderio d’orgoglio, un desiderio pretenzioso, non umile, perciò le parole di Gesù ai suoi orecchi sono suonate certamente come un rimprovero.
Tommaso non ha osato allungare la mano, non ha osato alzare le dita per metterle nelle piaghe del Signore: gli è bastato vedere. Gesù ha voluto dare a Tommaso proprio quello che egli riteneva necessario per poter credere: Gesù è così misericordioso con questo discepolo come è misericordioso con molti di noi, con tutti noi! Quante persone vogliono avere dei segni particolari per poter credere, e il Signore li dona! Il Signore si piega alle nostre esigenze, si piega persino davanti al nostro orgoglio: Egli è umile.
Ebbene, guardando quest’umiltà di Dio che certamente si è manifestata più volte anche nella nostra vita, cercheremo di imparare e di accogliere dallo Spirito Santo soprattutto lo spirito di umiltà.
Quando siamo umili il Signore ci può rivelare i suoi misteri, i misteri più grandi e più profondi, quelli che penseremmo di non poter mai riuscire a né comprendere né acredere. Ebbene, se noi diciamo: «Signore, io queste cose non le capisco, però tu, quando vorrai, me le potrai far comprendere: se vorrai, quando vorrai... Intanto io ti amo ugualmente, anche se non capisco; continuo ugualmente a partecipare alla vita della tua Chiesa; continuo ugualmente a essere presente là dove la tua Comunità si fa presente».
Se viviamo in questa umiltà, certamente il Signore aprirà il nostro cuore. Tommaso, nonostante la sua incredulità, è andato all’incontro dell’ottavo giorno dei suoi fratelli. È andato all’incontro nonostante la sua incapacità a credere, nonostante le sue tentazioni di orgoglio: questa umiltà ha fatto sì che il Signore aprisse il suo cuore e si manifestasse a lui.
Vieni, Spirito Santo, rivestici dell’umiltà che attira la grazia divina!
39.
«Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno”».
È molto bella la risposta che Tommaso ha dato a Gesù; vedendolo egli è esploso in questa espressione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Queste parole uscite dalle labbra di Tommaso ci lasciano stupiti; ci fanno capire che egli non solo giunge a credere che Gesù è risorto, ma che in lui nasce una fede molto più profonda: egli crede che Gesù è Dio, che Gesù è il Signore. Lo chiama «mio Signore e mio Dio»: è una professione di fede e, insieme, una professione di amore; fede e amore che camminano insieme e che riempiono la vita!
«Mio Signore e mio Dio!»: questa fede di Tommaso non è certamente frutto del suo vedere, non è frutto dell’azione umana né del ragionamento di Tommaso, ma è dono di Dio, perché soltanto il Padre può mettere nel cuore d’un uomo una fede così pura e bella, una fede che porta il cuore a donarsi. Dicendo: «Mio Signore», Tommaso mette in evidenza il fatto che ora egli vuole ubbidire a Gesù, vuole offrirsi a lui, vuole sottomettersi alla sua volontà e alle sue parole. È una fede grande e bella quella che scaturisce dal cuore di Tommaso; è opera di Dio, non del ragionamento dell’uomo.
«Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»». Tommaso è giunto alla fede dopo aver avuto un segno, ma l’Evangelista sa che molti arriveranno a credere in Gesù soltanto basandosi sulla parola degli Apostoli. E così è accaduto a noi: la nostra fede, la mia e la tua, non sono conseguenza del nostro vedere; noi non abbiamo visto Gesù Risorto, noi abbiamo creduto alla parola degli Apostoli e questa fede ha messo nei nostri cuori la beatitudine, una gioia più grande ancora di quella di Tommaso. Infatti la gioia nel vedere Gesù, che ha avuto Tommaso, era un pochino smorzata dallo scoprirsi così orgoglioso, così superbo e pretenzioso nei riguardi del Signore. La nostra fede, il nostro credere nel Signore risorto, l’affidarci a lui, il donargli la vita, è una fede che ci dà una gioia più pura, più libera dal nostro io, più libera dal nostro amor proprio. «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno»!
Ringraziamo il Signore che concede anche a noi di esprimere la fede nella sua presenza e nella sua divinità. Lo ringraziamo perché la fede che c’è nel nostro cuore non è una nostra conquista, non è qualcosa che noi ci siamo guadagnati, non è opera nostra, né frutto della nostra bontà, ma è dono del Padre. È il Padre che rivela il Figlio al cuore dell’uomo incapace d’amare, incapace di vedere le cose grandi di Dio, i misteri della sua Vita!
Grazie, o Padre, che ci concedi di credere nel tuo Figlio Gesù; grazie che doni anche a noi di offrire la nostra vita a lui e di metterci ai suoi piedi per ubbidirgli.
40.
«Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome».
Noi non sappiamo tutto quello che Gesù ha fatto, non abbiamo conoscenza di tutti i segni e quindi nemmeno di tutta la realtà della vita di Gesù. Tra questi «molti altri segni che Gesù fece» e che non sono stati scritti, ci sono anche quelli che Gesù ha compiuto nella nostra vita o in quella delle persone che ci vivono accanto; segni che noi abbiamo visto, osservato attorno a noi e che servono soltanto per noi.
«Molti altri segni fece Gesù... non sono stati scritti...». Chissà quanto amore Gesù ha effuso nel mondo, nella nostra vita e attorno a noi, e noi, vedendolo e godendolo, siamo cresciuti nella fede e nell’amore!
Per credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, non è necessario però che noi vediamo grandi e nuovi segni: quelli che sono stati scritti sono sufficienti, sono sufficienti da soli, a far sgorgare nel cuore di un uomo la fede in Gesù: «Questi sono stati scritti perché crediate»: quindi, questi segni, i segni che Gesù ha compiuto e che sono raccontati nei vangeli, sono sufficienti per sostenere la nostra fede; non occorre nulla di più, non occorre che andiamo in cerca di chissà che cosa... Ci sono persone che vanno in cerca di parole dall’al di là o che si buttano persino in braccio a maghi e negromanti e a gente che fa parlare i demoni, pur di avere dei segni dall’al di là; no, noi non ne abbiamo bisogno!
«Questi sono stati scritti perché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio»: fondiamo la nostra fede sulla testimonianza degli Apostoli che troviamo in questo libro, nel vangelo: questa testimonianza è sufficiente per sostenere tutta la fede della Chiesa. Gli altri segni possono essere un aiuto, ma non sono necessari e non fondano la fede della Chiesa: la Chiesa è sostenuta da quanto è scritto nei vangeli.
E quale funzione ha la fede nella nostra vita? «Perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome». La fede ci comunica la vita: quando noi crediamo, quando cioè stiamo in rapporto di fiducia, di amore, di abbandono e di confidenza a Gesù, e attraverso di lui al Padre, nel nostro cuore c’è vita, e noi ce ne accorgiamo. È qualcosa che non siamo capaci di dire agli altri; difficilmente possiamo trasmetterlo con le parole: semplicemente viviamo questa vita d’amore e di fiducia e di abbandono al Padre. Quando viviamo così, questa vita la trasmettiamo; se, invece, non viviamo in questo modo, anche se parlassimo esponendo ragionamenti convincenti, non saremmo capaci di trasmettere nulla: la vita di Dio è vita, e si comunica con la vita, non con i discorsi, con le convinzioni, con le parole.
Questo è il nostro compito nel mondo: vivere la vita eterna, la vita di Dio, vivere credendo, fidandoci di Gesù che il Padre ha mandato come suo Figlio. Questo è il nostro compito, ed è questa l’opera dello Spirito Santo nella nostra esistenza: lo Spirito Santo fa sì che in noi ci sia la vita di Dio, e che noi, vivendo questa vita, vivendo in rapporto d’amore col Padre attraverso Gesù, diffondiamo il suo stesso Spirito; partecipiamo anche noi, quindi, all’effusione dello Spirito in quella continua Pentecoste a cui Dio stesso si è impegnato quando ha promesso il suo Spirito a coloro che avrebbero creduto in Gesù suo Figlio!
Vieni Spirito Santo!
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