Padre nostro - 3
PADRE NOSTRO 3
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
non c’indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Concludiamo le meditazioni sulla Preghiera del Signore: una preghiera che è scuola di preghiera, scuola di vita, scuola di amore.
Ringrazio Gesù che ce l'ha insegnata e lo Spirito Santo che la continua a mormorare in noi con sempre nuove sfumature di comprensione. Ringrazio i santi, che, con la loro vita, l'hanno spiegata e tradotta in vita d'amore!
Ringrazio te, che mi sei d'aiuto a far sì che questa preghiera, quando esce dal mio cuore, sia preghiera della Chiesa, del Corpo di Cristo; mi sei d'aiuto a che la preghiera della Sposa - preghiera d'amore - trovi eco anche nel mio cuore!
Don Vigilio Covi
Coloro che pregano il "Padre nostro" vivono da fratelli, condividono, si perdonano e trovano forza nella lotta contro ogni tentazione di divisione. L'umanità raccolta da Gesù attorno a sè, Pane di vita, diventa famiglia vera!
"Erano un cuor solo e un'anima sola"! È il frutto dell'assiduità nella preghiera imparata da Gesù!
DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
A.
Padre nostro...
Gesù continua a rispondere ai discepoli che gli hanno chiesto d’insegnar loro a pregare.
Finora la preghiera che egli ha messo nel loro cuore e nella loro mente li ha portati a contemplare l’amore del Padre e a farsi suoi servitori.
La preghiera ha dato ai discepoli delle ali per volare al di sopra e al di fuori del mondo che li condiziona, li ha messi in grado di vivere dentro la mente e il cuore di Dio stesso: così sono stati pure liberati da quell'egoismo che potrebbe rovinare la preghiera stessa, il rapporto col Padre.
Pregando con le parole di Gesù i discepoli hanno dovuto occuparsi della sua santità, del suo Regno, dei suoi progetti, hanno dovuto farsi servi dell'amore del Padre per tutto il mondo: così essi hanno raggiunto - per grazia, senza saperlo - le radici della libertà! Ora, chi ha pregato con Gesù, s'è dimenticato di sè, ha rinnegato i propri sogni di successo, di ricchezza, d'ambizione, di lunga vita e di salute, perché ha dovuto occuparsi dell'amore del proprio Padre! Chi ha pregato fin qui con Gesù è libero da quelle necessità così urgenti che fanno dimenticare quelle più profonde e più grandi, è libero di accogliere Dio nella propria vita, perché è diventato libero dal pensare a sè.
Con questa libertà essi possono guardare a se stessi e al mondo in cui vivono con uno sguardo nuovo, con desideri più precisi, e quindi possono parlare al Padre di sè e dei propri fratelli con quell'amore che incontra veramente quello divino, perché da questo è originato.
Ora Gesù ci porta a osservare la situazione in cui viviamo con lo sguardo nuovo e luminoso e raggiante acquisito nel contemplare il Padre e ciò che è suo: Nome, Regno, Volontà!
Possiamo rivolgere gli occhi alla concretezza della nostra vita, perché nei nostri occhi s'è accesa la luce della Sapienza divina.
Con l'amore dei figli che conoscono l'amore del Padre, possiamo parlare con lui di noi stessi. Un figlio che si lascia amare dal Padre e che si è offerto a fare la sua volontà può avere libertà e gioia di domandare, di chiedere, di intervenire affinché il Padre stesso guardi a lui e si occupi di lui.
Ora il figlio chiede al Padre.
Gesù però mi insegna non a chiedere per me, bensì per noi! Non solo, egli mi fa chiedere a nome dei fratelli e insieme con loro.
Dacci oggi il nostro...
Non sono io solo a chiedere, siamo “noi” che chiediamo. Dio esaudisce la preghiera della Chiesa, della comunità, perché è in essa che si nasconde e si manifesta la sua Vita che è comunione. Io chiedo non come singola persona - che possa poi vantarsi d'essere esaudita -, ma come membro del corpo di Cristo, come uno di tanti, come voce di molti che si presentano uniti e umili all'unico Padre.
"Se due di voi si accorderanno sopra la terra per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà: perché là dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".1 E' Gesù, il Figlio, che ottiene tutto dal Padre. Noi siamo membra del suo corpo, e ciò si rende evidente e si avvera quando diviene concreta la nostra unità e armonia di fratelli.
Possiamo noi chiedere al Padre qualunque cosa? Chi ci autorizza?
Gesù stesso ha insistito: "chiedete, e vi sarà dato"! Egli rivolge queste parole ai suoi discepoli, a coloro che vivono già seguendolo e obbedendogli, le rivolge a coloro che fanno propri i suoi desideri e perciò chiederanno solo ciò che rientra in un rapporto vero di figli con Dio.
"Se le mie parole rimangono in voi chiedete quel che volete e vi sarà dato".2 Se le mie parole rimangono in voi: quando cioè vi lasciate istruire da me e mi amate!
"Se chiederete qualcosa al Padre nel mio Nome egli ve la concederà. finora non avete chiesto nulla nel mio Nome. Chiedete, e ottenete, perché la vostra gioia sia piena!"3 Chiedere sì, ma "nel mio Nome"! Chiedere come persone che sono un tutt'uno con Gesù, che hanno fatto proprio il suo amore e la sua offerta al Padre!
Uniti a Gesù noi abbiamo confidenza col Padre, e il Padre ci esaudisce, perché Egli dà fiducia al Figlio. Il Padre sa che il Figlio gli ha ubbidito con un amore che l'ha portato fino alla morte. All'obbedienza risponde l'obbedienza: il Padre obbedisce alle parole del Figlio... anche quando sono pronunciate da noi, uniti al Figlio.
Infatti "il Padre stesso vi ama, perché voi mi avete amato"!4
Non ci stupisce quindi il fatto che Dio realizzi con la sua potenza le parole dei santi, di coloro che hanno amato e amano Gesù!
Grazie, Padre, per il tuo amore con cui ricompensi il nostro a Gesù. Egli si è reso amabile perché su di noi scenda il tuo amore e ci avvolga come fiamma di fuoco che arde e non brucia!
1 Mt 18,20
2. Gv 15,7
3. Gv 16,23s
4. Gv 16,27
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B.
Domandare, chiedere, ... che cosa? Che cosa posso chiedere a Dio?
Da ciò che chiedo, Dio s'accorge chi io amo: se amo me stesso o se amo lui! Che cosa si può chiedere a Dio, da cui proviene già tutto quello che abbiamo? Che cosa chiedere al Padre che ci ha dato la vita e ci ha fatto conoscere la sua Volontà e ci ha mostrato la bellezza del suo Regno? Che cosa chiedere al Padre, che mi ha fatto gustare la dolcezza e la santità del suo Nome?
"Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare...".1 Noi siamo "ignoranti", non lo è però lo Spirito di Dio riversato nei cuori di coloro che credono: "lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio".2 "Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno" 3
Noi perciò chiediamo al Padre, perché Gesù ci ha detto di chiedere. Chiediamo con fiducia anzitutto la sapienza, "senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare mossa e agitata dal vento; e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni." 4 Noi chiediamo, ben sapendo che la preghiera più vera viene pronunciata dallo Spirito Santo, che chiede per noi più di quanto noi stessi possiamo immaginare! Chiediamo perciò senza timore dei nostri errori di valutazione, perché il Padre ascolterà lo Spirito e le sue richieste. Chiediamo qualunque cosa: già nel chiedere qualsiasi cosa veniamo esauditi, perché nel chiedere si sviluppa in noi l'umiltà e il sentirci piccoli, atteggiamenti che attirano in noi lo Spirito Santo e l'amore delicato del Padre. Qualora noi chiedessimo anche solo pane da mangiare, riceveremmo Spirito Santo! E' così buono il Padre che ci esaudisce al di là e al di sopra di ogni attesa. Mentre ci rivolgiamo a lui con ignoranza, egli ci riveste dello Spirito di sapienza!
Chiedendo con umiltà manifestiamo fiducia e confidenza; sapendo che "non sappiamo" se ciò che domandiamo è il nostro vero bene, che non sappiamo "cosa sia conveniente", diamo ancor più fiducia al Padre. La nostra ignoranza sul vero bene per noi sposta la nostra attenzione, dalle cose che desidereremmo ottenere, alla Persona cui ci rivolgiamo.
Proprio perché sappiamo di essere "ignoranti" diamo peso e ci affidiamo alla sapienza del Padre. Egli sa! Egli ascolta i desideri dello Spirito, quelli più intimi e nascosti a noi stessi.
Se il Padre mi esaudisse in ciò che io chiedo, chissà se arriverei là dove desidero!
Volevo arrivare in tempo ad un appuntamento con una persona importante. Il Padre non mi ha esaudito: sono arrivato in ritardo. Ma quella persona aveva un ritardo maggiore del mio! Ho chiesto al Padre la salute per un amico, ma è stato durante la malattia, e grazie a quella, che egli è giunto alla fede.
Un giovane mi ha promesso che, se fosse piovuto la domenica seguente, avrebbe partecipato ad un incontro di preghiera. Ho chiesto al Padre la pioggia. Egli mi ha esaudito, ed io ero felice. Ma il giovane non ha partecipato. Non chiederò più la pioggia, ma direttamente la partecipazione. Anzi, nemmeno questo chiederò, perché il mio amico potrebbe partecipare senza convertirsi! Chiederò la conversione; e questa nei tempi e nei modi che lo Spirito Santo conosce!
Uno dei fratelli della mia comunità, quand'era incaricato della coltivazione dell'orto, ha chiesto al Padre alcune piantine di pomodoro per completare un'aiuola. Un'ora dopo sono "arrivate" due cassettine di pomidoro maturi! Così ascolta il Padre! Anzi, ancora più. Dal racconto di un amico missionario: una donna musulmana cerca con perseveranza una chiesa cristiana, fiduciosa di essere in essa ascoltata ed esaudita. Chiede a Dio che faccia tornare suo marito adultero. Ella ha già preparato il coltello per ucciderlo. Ebbene, cosa fa il Padre? La esaudisce, anzi, ancor più! Prima di far ritornare il marito le mette nel cuore la capacità e la volontà di perdonare; ora ella gode l'armonia e la pace con tutta la sua famiglia.
Noi chiediamo qualcosa, qualcosa addirittura che ci potrebbe far del male, ma il Padre ci dona Spirito Santo. Noi siamo capaci persino di chiedere ricchezze, benessere, denaro, per amore del quale molti peccano, radice di tutti i mali, spine che soffocano la Parola seminata in noi da Gesù!
Nonostante la nostra ignoranza possiamo chiedere. Il Padre ci darà di più. Così noi passiamo dalla fiducia che il Padre ci dia qualcosa alla fiducia che egli sa che cosa!
Egli è contento e gode che io sviluppi il mio discernimento di figlio, egli gode che io sia attento al suo Regno: non si spaventa se di quando in quando sbaglio nel chiedere! Perciò chiedo. Continuo a domandare, lasciando però a lui libertà di fare diversamente, di esaudirmi a suo modo, in maniere che io non riuscirei ad immaginarmi. Chiedo, senza pretendere!
Padre, eccomi. Ascolta la voce dello Spirito Santo. Io non la intendo, perché egli si esprime con gemiti inesprimibili. Ma tu, che scruti i cuori, sai interpretare questi gemiti come il grido di uno che vuole essere tuo per sempre!
1 Rom 8,26
2 Rom 8, 26-27
3 Rom 8, 28
4 Gc 1,6-8
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C.
Gesù nella preghiera ci fa usare pure un’indicazione cronologica: oggi! Egli ci fa chiedere oggi per essere esauditi oggi! Gesù non ci insegna l’attesa paziente? Egli ci vuol vedere immersi in una fiducia confidente! Noi chiediamo a Dio di comportarsi come egli esige da noi. Egli ci dice: "ascoltate oggi la sua voce, non indurite il cuore"! Oggi! Dio è immerso nell’eternità, e l’eternità sembra fatta di solo “oggi”. Nell’eternità non ci sono ritardi e nemmeno anticipi. Quando Dio dice una cosa quella s’avvera nel suo giorno. Così egli tratta le nostre parole: quello che chiediamo lo ascolta e ci esaudisce (per sua grazia, a suo modo) subito! L’oggi di Dio a noi, a volte, sembra lungo; ciò succede perché misuriamo il tempo con l’egoismo, il Padre invece lo misura con l’amore.
Chiediamo: dacci oggi! Si, il domani infatti non ci appartiene, e perciò non ce ne preoccupiamo. Perché chiedere qualcosa per il domani? Ci sarò io domani? Avrò bisogno domani delle stesse cose di cui ho bisogno oggi? Il Padre rimane Padre anche domani. Egli non sparisce nè cambia natura. Se oggi posso rivolgermi a lui con fiducia, domani ancora di più.
La tentazione del mio egoismo vorrebbe portarmi a chiedere a Dio tutto quanto serve per non avere più bisogno di Lui! Chiedere in una volta sola tutto quanto serve per la vita, così non mi devo più umiliare, non mi devo più preoccupare di mantenere un rapporto col Padre... E’ una tentazione forte, la tentazione dell’idolatria: mi posso occupare delle cose invece che di Dio!
Gesù conosce questa tentazione che è piuttosto vecchia e ripresentata in vari modi in tutti i tempi e in tutti i popoli. Anche a lui è stata presentata dal Tentatore laggiù nel deserto dei quaranta giorni. E’ la tentazione di arrangiarsi a procurarsi il pane senza dipendere dal Padre. "Se sei figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane".1 Dato che sei Figlio di Dio, cos’aspetti? Usa il potere della parola di Dio: “dì” e i sassi diventeranno pane. Occupati del pane con i tuoi talenti, con il ‘potere’ della tua divinità.
Gesù, che è davvero “figlio” di Dio, non vuol smettere di essere tale, di chiamare Dio “mio Padre”, non vuol smettere di dipendere da Lui e dalla sua Parola.
Egli è un figlio che vuol rimanere figlio, che con amore ascolta il Padre e gli ubbidisce. Egli risponde quindi: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.2 Il vero figlio di Dio sta in ascolto.
Gesù non vuole che i suoi discepoli, e tutti quelli che crederanno in Lui, cadano in questa tentazione, e perciò mette sulle nostre labbra quell’ “oggi”. Questa parola non vuole limitare l’intervento del Padre, ma vuole mantenere in noi vivo il rapporto filiale quotidiano con Lui. Noi siamo figli che non devono dimenticare nemmeno per un giorno l’intimità e la confidenza con Dio: sarebbe la nostra morte spirituale, e allora a cosa servirebbe il pane? Sarebbe solo un inganno!
Dacci oggi!
Dà a “noi”! E’ la seconda volta che incontriamo nella preghiera del Signore l’accenno al "“noi"”. Dopo l’iniziale Padre "di “noi”" questo riferimento non era più ritornato.
Insegnando a pregare, Gesù non mette mai sulle nostre labbra le parole "“io"” e “"mio"”. Egli non ci vuol vedere isolati. Egli ci vede già membra di un Corpo, parte di un "“noi"”, ci vede uniti saldamente e indissolubilmente, ci vede fratelli di una sola famiglia dove non c’è proprietà privata e divisione di beni. Egli ci vede membra di quella Chiesa che a Gerusalemme ha cominciato a “tenere ogni cosa in comune; "chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno... Ogni giorno tutti insieme... spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio...”"3 Chi prega il Padre, con certezza d’essere ascoltata, è la Chiesa, Corpo di Cristo, suo Capo.
Gesù ci fa pregare uniti, attenti gli uni alle necessità di tutti, partecipi della stessa comune fiducia nell’unico Padre. Egli ci fa pregare insieme, perché egli stesso ha chiesto al Padre che i suoi siano uno, una sola cosa in Lui! Gesù non sopporta che i suoi siano divisi: è la sua croce più pesante, il peccato dentro la sua Chiesa!
La preghiera che Gesù insegna è preghiera comunitaria, sempre, anche quando chi la pronuncia è un eremita o un monaco benedetto per vivere una vita in solitudine. Anche questi è membro del Corpo di Cristo e dirà soltanto: “"dacci oggi il nostro...”" Gesù non ci insegna a pensare ciascuno per sè. La preghiera dei suoi non dev’essere impregnata di amor proprio, ma di amore, di dono di sè, di attenzione costante al Padre che ama tutti gli uomini.
Dacci oggi!
Grazie, Gesù, che mi fai esercitare ogni giorno il rapporto dolce e benefico col Padre. Grazie che mi fai desiderare la povertà, perché la mia fiducia e vicinanza al Padre non venga mai meno! Grazie che mi ricordi d’avere dei fratelli!
1. Mt 4,3
2. Mt 4,4
3. Atti 2,44-47
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D.
Il pane! Gesù ci fa chiedere al Padre ciò che serve alla vita. Questo termine, “"pane"”, può esser pronunciato e inteso nel suo significato letterale, oppure in senso figurato. Il pane è il nutrimento da cui riceviamo energia per muoverci, per lavorare, per divertirci, per vivere.
Col termine “pane” possiamo intendere pure altre realtà necessarie alla vita dell’uomo: affetto, compassione, comprensione, solidarietà, istruzione... Che cosa intendeva Gesù quando ha insegnato a pregare ai suoi dodici? Che cosa ci è lecito pensare di questa sua parola?
Egli l’ha accompagnata con due aggettivi: 'nostro' e 'quotidiano' ! Questi possono aiutarci a comprenderlo!
Anzitutto “nostro”: è il pane che serve alla comunità, quel pane senza del quale la comunità non vivrebbe, si disgregherebbe. E’ quel “pane” che viene posseduto insieme, “mangiato” insieme, e mantiene così uniti i fratelli in un’unica famiglia, in un unico corpo. Questo pane è quindi quel cibo che è necessario perché “noi” viviamo come Corpo di Cristo! E’ il nutrimento necessario perché si sviluppi l’unità delle varie membra.
Quotidiano: attorno a questo termine, presente sia nel vangelo di Matteo che in quello di Luca, ci sono molte ipotesi e spiegazioni, essendo un termine poco usato dagli scrittori greci. Esso può avere il significato di "“per il giorno che viene"”, oppure "“per quel tanto di cui c’è bisogno"”, cioè "poco", lo strettamente necessario. Lo stesso termine potrebbe aver pure il significato di "“soprasostanziale"”, che è al di sopra e al di fuori delle cose materiali.
Questa varietà di traduzioni ci permettono di comprendere nella preghiera aspetti e significati della nostra vita sempre più vasti, più profondi e spirituali. Così possiamo vedere come il Signore è "ecumenico"! Egli sa accogliere la preghiera di chi chiede il pane della sopravvivenza terrena e quella di chi chiede il pane della vita eterna! Dio è Padre di tutta la nostra vita in tutti i suoi aspetti, e, come sa rispettare e favorire la nostra crescita “in età”, così rispetta e ama e favorisce la nostra crescita “in sapienza e in grazia”!1
Il libro del Siracide descrive gli uomini intenti nei lavori materiali: “
"La loro preghiera riguarda i lavori del mestiere" 2! Poi aggiunge:
"“Differente è il caso di chi si applica e medita la legge dell’Altissimo... Di buon mattino rivolge il cuore al Signore, che lo ha creato, prega davanti all’Altissimo, apre la bocca alla preghiera, implora per i suoi peccati. Se questa è la volontà del Signore, egli sarà ricolmato di spirito di intelligenza, come pioggia effonderà parola di Sapienza, nella preghiera renderà lode al Signore..." 3
La preghiera di Gesù è per gli uni e per gli altri: egli unisce tutti in sè! Egli stesso ci ha dato un motivo di riflessione, quando, seduto sul mezzogiorno sull’orlo del pozzo, disse alla Samaritana: "“dammi da bere". Non c’era nessun altro: egli stesso aveva permesso ai suoi di entrare in città a comprare da mangiare. Ma quando essi tornarono col cibo, li prevenne: "Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete".” E i discepoli si domandavano l’un l’altro: "”Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?” "4
Gesù sa che è necessario bere e mangiare, e sente anch’egli la sete e la fame, ma sa pure che mangiare e faticare senza la sapienza di Dio non giova.
Ci fermiamo al primo e più immediato significato della parola “pane”. L’uomo ha bisogno di nutrirsi e lavora e fatica per questo. L’apostolo Paolo raccomanda: "Chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla... A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace." 5 Il lavoro e il cibo rientrano nel disegno di Dio, che ha sottomesso all’uomo tutta la creazione. Eppure a causa del suo peccato l’uomo prova la sofferenza della fatica e della fame, e ogni giorno incontra affamati e assetati.
Il popolo di Mosè nel deserto fece l’esperienza della preghiera per il pane: "Alla loro domanda fece scendere le quaglie e li saziò con il pane del cielo".6
Il Padre è certamente “contento” che ci rivolgiamo a Lui, anche se i motivi per cui lo facciamo sono semplici e banali. Ma nulla è banale, nessuna cosa è normale, quando essa ci porta ad un rapporto di figli col Padre. Nulla è al di fuori del suo sguardo, nulla, nemmeno quel pane che c’è in tavola tutti i giorni. Gesù stesso ci dà l'esempio: ogni volta che egli si mette a mangiare, prima di spezzare il pane alza gli occhi al cielo e benedice il Padre. Egli riconosce così che la nostra vita, anche solo l’essermi svegliato stamattina, è dono di Dio; il continuare a vivere è dono suo. Il lavoro, con cui l’uomo si procura il pane e il pesce, è dono di Dio. Anche questi doni, così materiali, sono occasione per contemplare e amare il Padre, occasione per mantenere vivo un quotidiano rapporto con Lui. Non c’è nulla di così piccolo che rimanga al di fuori della grandezza di Dio. Se Egli non si interessasse delle mie piccole cose, sarebbe forse grande? Non sarebbe più Padre!
Grazie, Padre, che t’interessi di tutto! A te non sfuggono le mie necessità, nemmeno le più piccole. Ti benedico per il pane, per quel pane che ritengo un diritto, e invece è un dono! Ogni volta che mi siedo a tavola vedo la tua paternità!
1. cfr Lc 2,52
2. Sir 38,34b
3. Sir 39,1-8
4. Gv 4,7.32-33
5. 2Ts 3,10-12
6. Sal 105,40
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E.
Dà a noi il nostro pane d’ogni giorno, il pane che basta per oggi. La mancanza di cibo, di tutto ciò che è necessario alla vita, compreso l’affetto e la compagnia degli uomini, - di cui oggi si sente tanto il bisogno, - mette in luce i segreti del nostro cuore. Queste situazioni sono occasioni nelle quali si rende manifesto ciò che c’è nel nostro intimo: fede o incredulità, riconoscenza o pretesa, abbandono fiducioso o ribellione, obbedienza o disobbedienza.
"Nel loro cuore tentarono Dio,
chiedendo cibo per le loro brame;
mormorarono contro Dio
dicendo: ”Potrà forse Dio
preparare una mensa nel deserto?
Ecco, egli percosse la rupe e ne scaturì acqua,
e strariparono torrenti.
Potrà forse dare anche pane
o preparare carne al suo popolo?”
Non ebbero fede in Dio
nè speranza nella sua salvezza." 1
Così è scritto del comportamento del popolo nel deserto: fame e sete erano banchi di prova della fiducia in quel Dio che s’era già ripetutamente dimostrato grande. Ma l’uomo ha difficoltà, non vorrebbe sempre fidarsi, vorrebbe finalmente aver nelle proprie mani la propria sorte. E’ da questa radicale sfiducia in Dio che l’uomo si muove per garantirsi il proprio futuro: e l’uomo non dice più “dacci il nostro pane quotidiano”, ma si preoccupa del “mio pane per tutta la vita”.
Quando un cristiano entra in questa tentazione non si sente più fratello di nessuno, abbandona la comunione profonda coi suoi fratelli, comincia a “disertare le riunioni”2 e finisce col perdere la fede. Egli diviene sempre più inquieto, non s’accorge più delle povertà altrui, l’ascolto della Parola di Dio lo stanca al punto che non la cerca più.
"Molti sono andati in rovina a causa dell’oro,
il loro disastro era davanti a loro.
E’ una trappola per quanti ne sono entusiasti,
ogni insensato vi resta preso." 3
Gesù non vuole che entri nel cuore dei suoi il desiderio della ricchezza, perché egli sa che non si può contemporaneamente servire Dio e Mammona. Egli perciò insegna a chiedere il pane quotidiano: quello che basta per oggi. Se io ne volessi di più, quello sarebbe tolto alla tavola dei fratelli. Quanti poveri nel mondo! Quanti senza pane! Quanti muoiono di fame! Queste sofferenze e morti sono causate dall’accumulo delle ricchezze.
Il peccato genera morte ancora. Il peccato d’avarizia e di egoismo causa la morte. Il pane dei popoli sottoalimentati è finito nelle tasche dei popoli ricchi, chiuso nelle casseforti delle nostre banche, che lo adoperano a continuare l'ingiustizia in modi sempre più subdoli e violenti.
Quando dico "dacci oggi il nostro pane quotidiano" pronuncio un giudizio contro me stesso, se ho i magazzini pieni: chiedo il pane “nostro”, mi dichiaro pronto ad amministrare quel pane che dal Padre è destinato “a noi”, e invece lo riservo al mio proprio futuro, che del resto non so se ci sarà. S.Paolo esorta così i cristiani: "Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità.”4 “In tutte le maniere io vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere." 5
E S.Giacomo: "E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», mentre non sapete cosa sarà domani!" 6
Le parole dei profeti e degli apostoli stessi sono dure e tremende per coloro che ammassano ricchezze, perché tale preoccupazione manifesta un cuore idolatra: è segno che la fiducia è posta nelle cose invece che nel Padre! Questa idolatria poi è fonte di sofferenze e di ingiustizie sempre crescenti: "Ai ricchi di questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera." 7 S.Paolo stesso si fa promotore di una colletta a favore della Chiesa povera di Gerusalemme ed esorta i cristiani della Grecia ad essere generosi, a non temere la povertà, perché "Anche Gesù “da ricco che era si è fatto povero per voi". 8
La preghiera che Gesù ci mette nel cuore e sulle labbra ci vuol aiutare anche in questo: a desiderare solo il puro necessario, a vedere i beni di cui disponiamo come un dono di Dio per la nostra comunità di fratelli nel Signore; e la nostra comunità ne dispone per donare i segni dell’amore del Padre a tutti, anche a quelli che si dimostrano nemici: così anche i beni terreni divengono strumento per l’annuncio concreto della paternità di quel Dio che Gesù ci vuol far conoscere e amare a nostra salvezza.
Ciò che sta a cuore del cristiano è proprio il conoscere e far conoscere, l’amare e il far amare quel Dio che Gesù ci presenta come Padre! Tutte le energie del credente si indirizzano a questa gloria di Dio, anche i beni di questo mondo. Dio non ci dà forse il pane e l’acqua per farsi conoscere a noi vicino, per noi papà? Noi, che impariamo da lui, non useremo le stesse cose per essere portatori del suo amore? Siamo i figli suoi, consacriamo tutto, proprio tutto alla sua gloria; tutto diventi strumento per far incontrare gli uomini col suo amore, che è grande perché non gli sfuggono i piccoli bisogni di ogni uomo!
Padre, nostro, dacci il pane nostro: con esso ti faremo conoscere, con esso divulgheremo il tuo amore, tramite esso annunceremo la tua paternità a coloro che non ti hanno ancora mai visto e mai amato! Padre!
1. Sal 78,18-20.22
2. Ebr 13
3. Sir 31,6-7
4. Ef 4,28
5. Atti. 20,35
6. Gc4,13
7. 1Tm 6,17-19
8. 2Cor 8,9
DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
F.
Gesù aveva insistito con i suoi discepoli : "Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete... Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta." 1 Forse che egli, insegnandoci la preghiera, ci fa tornare indietro? Il Padre sa..., perché dunque ricordarglielo, perché dirglielo? Gesù non vuole contraddirsi. Il pane, cui Egli accenna nella preghiera, è sì il pane materiale, - e ci insegna a desiderare sotto lo sguardo del Padre solo quel poco che è necessario giorno per giorno -, ma di certo è anche un altro pane, un altro nutrimento necessario alla vita.
Egli stesso aveva respinto la tentazione del Maligno dicendo: "Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”." 2 L’uomo ha bisogno della parola di Dio per vivere. Io devo sentire rivolta a me la parola del Padre: "Se tu non mi parli io sono come chi scende nella fossa." 3 Senza la Parola del Padre non viviamo, siamo tristi, senza amore, ci distruggiamo a vicenda. Gesù ha detto quelle parole mentre sentiva la fame di quaranta giorni. La Parola "che esce dalla bocca di Dio”" è più necessaria del pane materiale, è quella parola che dà la vita, la parola che crea. Anche i poveri hanno bisogno anzitutto di questa Parola. Anche i miseri apprezzano "una parola più del dono”" ! Senza la vita interiore formata e nutrita dalla Parola di Dio, a che serve il pane?
"Poco con il timore di Dio
è meglio di un gran tesoro con l’inquietudine.
Un piatto di verdura con l’amore
è meglio di un bue grasso con l’odio." 4
La parola di Dio che crea in noi la vita, che forma in noi l’amore, che ci fa portatori della sua luce e della sua sapienza, è un pane necessario, indispensabile, quotidiano. Ogni giorno questo pane dev’essere sul nostro tavolo, a portata di mano, sempre pronto.
La parola di Dio ci conforta, ci dà luce, e ci indica pure i voleri di Dio. Questa Parola chiede al Padre: dacci oggi il nostro pane. Dacci le tue parole, i segni della tua volontà, perché sappiamo ciò che dobbiamo fare. "Nella tua volontà è la nostra pace". Gesù stesso, ai discepoli che lo invitavano a mangiare quello che avevano comperato, rispose: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera." 5 Senza questo cibo, che serve mangiare? Se non conosco lo scopo della mia vita e non uso le mie energie per raggiungerlo, a che serve acquisirne ancora? Il pane della Parola dà significato al pane della mensa.
"Questo tuo alimento manifestava
la tua dolcezza verso i tuoi figli.
...
perché i tuoi figli, che ami, o Signore, capissero
che non le diverse specie di frutti nutrono l’uomo,
ma la tua parola conserva coloro che credono in te".6
La parola del Padre è il pane che gli chiedo. Questa Parola e questo Pane è Gesù stesso! "Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”."7 "Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame”!" 8 "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo." 9
Ecco il pane di cui non solo io, ma tutta la comunità cristiana, la Chiesa, ha bisogno ogni giorno. Questo è il pane che chiediamo insieme per tutti noi e per tutto il mondo: il pane del rendimento di grazie, il pane eucaristico, il corpo di Cristo! Questo è il pane che la Chiesa possiede, che la Chiesa amministra per tutti i suoi membri. E’ mangiando questo Pane che la Chiesa acquista energie d’amore per divenire fermento di comunione, di perdono, di unità per tutti i popoli.
Ma questo pane ci viene dato da Dio tramite lo Spirito Santo. E’ lo Spirito Santo invocato dalla Chiesa sul pane che trasforma questo in Corpo di Cristo. Ed è lo Spirito Santo che fa di noi, che mangiamo quel Pane, un solo corpo! Mangiando quel Pane cotto dal fuoco dello Spirito, riceviamo anche noi il calore dell’amore, la luce della sapienza, la forza e la dolcezza della comunione. Mangiando quel Pane diventiamo una sola cosa nello Spirito, riceviamo lo Spirito che ci unisce per essere dono di vita al mondo!
E’ bello constatare che anche Gesù pensava allo Spirito Santo quando nominava il pane. Nel vangelo secondo Luca, Gesù, subito dopo aver donato la preghiera del Padre nostro ai suoi discepoli, racconta una parabola, quella dei tre pani.10
"Un amico va a mezzanotte da un amico a dirgli: Prestami tre pani da mettere davanti a un amico...; quello glieli darà per la sua insistenza." E poi conclude l’invito alla fiducia così: “"se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!”" Lo Spirito Santo è il pane ‘soprasostanziale’ di cui si nutre la comunità dei cristiani. Senza di esso la comunità non riesce a stare unita, senza di esso la comunità non diventa luogo d’amore per gli uomini nè riflesso di Dio, non è comunità. Se c’è Spirito Santo in noi e tra noi, la nostra vita è sazia, e la nostra unità è sicura.
Quando prego con le parole di Gesù io chiedo al Padre lo Spirito Santo: Padre, dacci il nostro pane quotidiano, donaci lo Spirito Santo perché senza di lui non saremmo tua comunità, tua Chiesa, non saremmo il Corpo di Cristo, tuo Figlio.
S.Pietro ci esorta così: "Come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza." 11
Che cos’è questo puro latte spirituale, nutrimento necessario per crescere nella vita cristiana, se non lo Spirito Santo? Il latte è il primo nutrimento che la madre offre dal proprio corpo e dona ai figli appena nati. La Chiesa ai suoi figli fa succhiare lo Spirito Santo nei segni sacramentali che la manifestano e la rendono madre. Attraverso i santi Sacramenti, che sono il suo "“corpo"”, il “luogo” dove essa si rende concreta, la Chiesa dona lo Spirito di Dio, quello che essa stessa ottiene dal Padre con la sua preghiera quotidiana e con la sua sequela costante al Signore Gesù. Egli lo ha consegnato sulla croce e lo ha alitato da risorto. Da lui, presente in mezzo ai suoi ministri, riceviamo ancora il soffio Santo; dalla sua bocca riceviamo l’Alito che ci rende capaci di perdono e di comunione!
Padre, donaci il pane della tua Parola! Donaci da mangiare ogni giorno il Corpo del tuo Figlio! Dacci da bere il latte dello Spirito, che ci fa amare il tuo Figlio e ci fa comprendere la tua Parola: diverremo anche noi figli tuoi e anche noi saremo tuo pane che sazia la fame del mondo. Anche da noi si effonderà la luce e il calore del tuo amore, e la terra sarà nuova, riceverà un volto nuovo sul quale le lacrime saranno asciugate.
Padre, ascolta il tuo Spirito stesso, che prega in noi!
1. Mt 6,25-33
2. Mt 4,4
3. Sal
4. Pr 15,16-17
5. Gv 4,34
6. Sap 16,21.26
7. Mt 6,33
8. Mt 6,35
9. Mt 26,26
10. Lc 11,5-8.13
11. 1Pt 2,2
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
A.
"E’ in te la sorgente della vita!” 1
“E io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza." 2
Inizio con queste parole, tratte dai salmi, la riflessione sui debiti.
La vita che noi viviamo scaturisce dal Padre: egli si fa chiamare così proprio per questo. E la vita nostra non è solo quella che viene alimentata dal pane di frumento, ma anche quella sostenuta dalla Parola di Dio e rallegrata dal fuoco dello Spirito! La nostra vita è vita di figli degli uomini, ma essa è completata e vivificata dalla vita di figli di Dio, figli del Padre! Sia l’uno che l’altro aspetto della nostra esistenza sono un dono, dono gratuito, mai ‘pagato’, mai ricompensato da noi! E’ un debito? No, il dono non crea mai debito. Il Padre non ci fa debitori!
Il debito comincia a sussistere quando ci prendiamo qualcosa che non è compreso nel dono. Il dono ci fa godere comunione, ci fa sentire d’essere amati, ci tiene in rapporto d’amore. Il debito ci fa entrare in rapporto di soggezione e di paura, di preoccupazione e di distacco.
Adamo era in comunione con Dio e in piena armonia con lui finché godeva del dono della vita e del giardino e dei frutti del giardino e di Eva e della sua presenza al proprio fianco. Egli ha cominciato a sentire distacco e paura e soggezione e preoccupazione quando ha voluto prendersi ciò che non gli era stato donato. Da quel momento egli era in debito, un debito presente tra lui e Dio, tra lui e Eva, e persino tra lui e gli alberi del giardino, tra la sua anima e il suo corpo. Un debito pesante: l’anima non accettava più il corpo così com’era, lo voleva coprire strappando le foglie agli alberi e nascondendolo a Eva. Il corpo non sopportava più un’anima senza comunione con Dio e voleva fuggire.
Il peccato ha introdotto il debito nella vita dell’uomo e lo ha radicato fin nel profondo.
Chi ha debiti vive male: un peso continuo lo opprime, lo rende triste, gli impedisce la gioia. La sua vita è diventata una schiavitù: nulla gli appartiene del tutto. Chi ha debiti non è più sicuro di nulla, non gode del frutto del suo lavoro, non ne può far conto. La vita stessa gli pare sfuggire inutilmente...
E’ la situazione del peccatore, di colui cioè che non si accontenta dell’amore del Padre, della sua fiducia, della confidenza con lui, e vuole altro, vuole vivere da solo.
Il peccato ha trasformato la vita dell’uomo: l’ha compenetrata talmente che l’ha fatta diventare un debito così grande che non può essere pagato nemmeno con la vita stessa.”””
"Nessuno può riscattare se stesso
o dare a Dio il suo prezzo.
Per quanto si paghi
il riscatto di una vita non potrà mai bastare." 3
La parabola con cui Gesù presenta la necessità della preghiera che ci sta insegnando illustra bene la condizione del debitore: "Non avendo costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito." 4
Gesù, nella preghiera, risveglia in noi il ricordo dei debiti: questi non si possono dimenticare, non si possono ignorare: qualcuno li deve pagare, altrimenti rimangono come un peso continuo che soffoca, che impedisce il respiro e la gioia!
Rimetti a noi i nostri debiti!
Noi abbiamo dei debiti.
I debiti sono di ogni singola persona, ma ci sono pure debiti comunitari, sociali. Io personalmente sono debitore, e lo sono pure in quanto la mia comunità è debitrice!
Verso chi sono i debiti? Verso il Padre, il nostro Padre. Ma ne abbiamo anche verso i fratelli e verso gli altri uomini: non riusciamo a “pagare” né gli uni né gli altri.
Quali sono i “nostri debiti”? E’ difficile stabilire con precisione a cosa stia pensando Gesù. Probabilmente egli non vuole nemmeno che lo sappiamo perché non ci spaventiamo né ci disperiamo. Egli vuole portarci con fiducia al Padre, con fiducia, ma anche con realismo. Siamo debitori davvero e noi non possiamo rifarci. Doni ne abbiamo ricevuti molti, e noi li abbiamo usati - tutti e sempre - con egoismo anziché con amore, per alimentare il nostro egoismo anziché per rispondere all’amore del Padre.
Abbiamo ricevuto come dono, e perché rimanga dono che glorifica il Padre, sia la vita che la salute, il pane quotidiano e le capacità al lavoro e all’organizzazione, abbiamo ricevuto fratelli e sorelle: e noi abbiamo trattato tutto e tutti come strumento di potere o di piacere, di ambizione o di vanagloria; abbiamo cambiato la natura delle cose. Come potremo restituire loro la loro natura originaria? Come possiamo riparare i danni e riprendere un rapporto d’amore e di riconoscenza?
Abbiamo usato per il male quanto il Padre ci ha donato per il bene e così abbiamo rovinato anche quanto egli non ci ha messo nelle mani. Abbiamo fatto nostro quanto destinato ad altri; abbiamo messo sotto il potere di Satana ciò che era dono di Dio e manifestava la sua gloria. Il nostro debito è grande. Il mio debito è enorme.
Padre, abbi pietà di me! Abbi pietà di noi. Siamo debitori verso di te. Non ci è rimasto nulla, di quanto tu ci hai dato, che possa piacerti. Abbiamo rovinato tutto, non abbiamo nulla che possiamo restituirti. Persino i doni più preziosi li abbiamo macchiati, mescolati di orgoglio e di vanità, di egoismo e di avarizia.
Padre nostro, siamo scoperti e nudi ai tuoi occhi e persino malati e incapaci di piena fiducia verso di te. Di quando in quando i nostri occhi rovinati ti vedono padrone, anziché Padre, e ci prende la paura.
Prendici almeno come tuoi servi!
1. Sal 36,10
2. Sal 22,30-31
3. Sal 49,8-9
4. Mt 18,23
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
B.
Anche in questa supplica accorata il "“noi"” si riferisce alla comunità cristiana, la Chiesa. La Chiesa ha dei debiti verso il Padre. La comunità cristiana ha ricevuto il suo essere comunità come un dono. Gesù ha pregato il Padre e ha ottenuto che i suoi divenissero “uno,” come lui col Padre,1 ha ottenuto lo Spirito Santo per loro, lo Spirito che ha fatto di molti un solo corpo.2
Gesù ha versato il suo sangue perché dai suoi “fratelli” fosse cancellato ogni debito e potessero ritrovare l’unità e l’armonia col Padre e tra loro. Ed essi sono stati rivestiti di spirito di comunione e di fraternità, di unità e di sapienza, di servizio e di rivelazione. Ma i cristiani hanno lasciato talora che i doni destinati all’unità creassero divisione, e quelli destinati al servizio diventassero potere, quelli dati per l’evangelizzazione servissero all’ambizione della cultura.
Anche come comunità siamo debitori! Siamo debitori verso il Sangue di Gesù e verso lo Spirito Santo!
Perciò nella preghiera diciamo: rimetti a noi! Siamo “noi” come “corpo”, come “famiglia”, che invochiamo l’impossibile.
Abbiamo debiti comuni: il debito di tutti pesa su ciascuno e il debito di ciascuno pesa su tutti. Insieme perciò chiediamo e supplichiamo: il mio debito pesa sugli altri e il debito del fratello pesa su di me. Osservando i nostri debiti non ci metteremo a discutere e a soppesare tra di noi le varie responsabilità per criticarci e accusarci e aumentare così le distanze e le sofferenze: ci metteremo soltanto a chiedere insieme quel dono che supera ogni aspettativa, la remissione totale del debito.
L’esperienza comune del nostro peccato ci ha umiliato tanto, che non abbiamo nulla di cui vantarci gli uni sopra gli altri. La nostra umiliazione ci unisce nell’umiltà della richiesta di perdono. E il nostro peccato comunitario ci fa stare pure con umiltà accanto agli uomini del mondo per chiedere il perdono anche per il loro peccato, benché essi non ne siano ancora coscienti.
Rimetti a noi i nostri debiti!
I nostri debiti li possiamo chiamare peccato, ma sono ancora peggiori, essendo il frutto del nostro peccato.
Col peccato ci siamo ribellati e attraverso questa ribellione abbiamo rovinato la gloria di Dio, le sue opere, i suoi progetti, i segni della sua Presenza.
Quando, con la mia superbia o con l’avidità del denaro, offendo o reco ingiustizia ai fratelli, ho peccato di superbia e di frode; ma con questo peccato ho distrutto pure l’unità e la bellezza della Chiesa, l’opera attraverso cui Dio si manifesta come amico degli uomini, e così impedisco ad essi di avvicinarsi con decisione e fiducia a lui.
I nostri peccati provocano sempre una lunga catena di “debiti”!
Siamo davvero debitori nei confronti di Dio, lo siamo tutti, perché tutti peccatori.
"Dio, tu conosci la mia stoltezza
e le mie colpe non ti sono nascoste.
Chi spera in te, a causa mia non sia confuso,...
per me non si vergogni chi ti cerca, Dio d’Israele." 3
Rimetti a noi i nostri debiti...
Dal profondo di questa situazione senza speranza alziamo lo sguardo, poiché sappiamo che il nostro Dio è sempre Padre. Non speriamo nulla da noi stessi, ma da lui possiamo attenderci ancora amore, quell’amore che - se Dio fosse come noi - sarebbe impossibile aspettarci. Da lui sì, ce l’aspettiamo: non perché siamo capaci di pregarlo, ma perché egli si è fatto conoscere come il Dio della misericordia, e perché egli in quest’opera di perdono e condono che chiediamo può manifestarsi ancor più come il Dio Amore:
"Per la grandezza della tua bontà, rispondimi,
per la fedeltà della tua salvezza, o Dio.” 4
“Dio li salvò per il suo nome
per manifestare la sua potenza." 5
Perciò, riflettendo in noi stessi, come il figlio minore della parabola raccontata da Gesù, possiamo avere speranza.
"Ho detto: «confesserò al Signore le mie colpe»
e tu hai rimesso la malizia del mio peccato." 6
Al nostro Padre riconosciamo la capacità di aver misericordia e la possibilità di rimediare ai nostri debiti. Egli può, perché è buono.
La nostra domanda è perciò già una professione di fede nella onnipotenza dell’amore del nostro Dio. Egli è capace di regalare quanto noi non saremo mai in grado di restituire. Egli è capace di non mettere in conto quanto ci siamo presi e quanto abbiamo distrutto, persino il suo stesso buon nome, il suo onore presso gli estranei. Egli è capace di non esigere riparazione per i danni del nostro peccato e per il nostro peccato stesso.
Egli, cioè, ama noi più delle cose che potrebbe attendersi da noi.
"Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato." 7
"Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe!" 8
Padre, rimetti a noi i nostri debiti!
1. Gv 17
2. 1Cor 12
3. Sal 69,6-7
4. Sal 69,14
5. Sal 106,8
6. Sal 32,5
7. Sal 51,3-4
8. Sal 51,11
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
C.
É una domanda coraggiosa, una richiesta che si può fare solo ad un papà. Chi s’azzarderebbe a chiedere la remissione di debiti ad un estraneo? A un altro si può chiedere tutt’al più di dilazionare la restituzione, di attendere, di aver pazienza. Ad un papà si può chiedere la remissione. Un papà potrebbe addirittura averne a male, o offendersi, se il figlio non avesse questo coraggio, o meglio, questa umiltà e questa fiducia nel suo amore di padre. Un padre ha amore sempre, perché i suoi figli sono suoi! Egli li conosce, li ha amati e attesi prima della loro esistenza, li sa amare ancora e li sa ancora attendere: così è il nostro Padre. Egli si fa chiamare con questo nome da noi perché ricordiamo sempre che può non solo amarci, ma può sempre generarci come figli. Egli dalle pietre può trarre figli di Abramo, ai ribelli può dare ancora vita di figli. Gesù ce lo ha ricordato raccontando la parabola del figlio prodigo e degenere: quel figlio si prefiggeva, ritornando a casa, - e ritornava solo per poter aver un po’ di pane da mettere sotto ai denti - di farsi accogliere come servo: "Non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”" 1. Ma il padre esclamò: "Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”." 2
Il figlio è di nuovo figlio; il padre gli ridà vita da figlio accanto a sé!
La nostra domanda perciò manifesta confidenza: prendiamo sul serio il nostro esser figli di Dio. É per questo che diciamo: rimetti a noi...
Se il Padre non potesse o non riuscisse o non volesse rimetterci i nostri debiti, come si potrebbe “pagare” un peccato? Cercano di darcene risposta le varie religioni e le varie legislazioni dei vari popoli del mondo.
Solo il sangue, - pensano gli uomini -, può pagare i debiti dell’uomo con Dio e degli uomini tra loro. La pena di morte nelle legislazioni statali o tribali o di clan e di casta non è forse la risposta a questa questione insolubile? E qualcuno che sente il peso del proprio peccato arriva persino a suicidarsi, pensando che questa sia l’unica soluzione al proprio debito verso gli uomini e verso Dio. Le religioni più sensibili sostituiscono al sangue umano quello degli animali; religioni più immediate conoscono il sacrificio umano, sia nelle foreste equatoriali, sia nelle ‘chiese sataniche’ cresciute nel nostro benessere. Il sangue degli animali scorreva a ruscelli durante le feste nel tempio di Gerusalemme, fino alla sua distruzione. Ed ora ogni anno scorre a torrenti a Mina, nel giorno stabilito dal rituale del Pellegrinaggio islamico alla Mecca, o, nello stesso giorno, - il Giorno del Sacrificio - nelle loro abitazioni in tutto il mondo.
Il nostro Padre non ama il sangue:
“"Mangerò forse la carne dei tori,
berrò forse il sangue dei capri?
Offri a Dio un sacrificio di lode
e sciogli all’Altissimo i tuoi voti;
invocami nel giorno della sventura:
ti salverò e tu mi darai gloria”.3
“Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi." 4
Al nostro Padre non diciamo solo: rimetti a noi i nostri debiti: gli chiediamo di lasciarci in vita!
Ed egli risponde alla nostra domanda in una maniera del tutto inaspettata: egli rimette il nostro debito di figli spostando il nostro peccato sulle spalle del Figlio, su Gesù!
"Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti”.5
“Il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità...
egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori." 6
Non è il Padre che obbliga il Figlio, che lo costringe a sostituirsi a noi nel portare il peccato del mondo: è Gesù stesso che “vede” il desiderio del Padre di salvarci, e si offre! Gesù ci ama in questo modo: vede il nostro debito e se lo accolla. Il suo amore è veramente amore! Egli si presenta per questo ‘scambio’ quando entra nel fiume Giordano, con le acque ormai sporche del peccato della moltitudine, e dice a Giovanni: "Conviene che così adempiamo ogni giustizia”."7
La giustizia che Gesù intende è il compiersi della Volontà del Padre, e Volontà del Padre è la salvezza degli uomini, il loro ritorno alla santità e all’armonia originaria. Gesù, entrando nell’acqua che s’è insudiciata del peccato di molti, prende su di sé il castigo meritato da loro, realizza la profezia di Isaia e diviene il salvatore del mondo.
Con il suo gesto significativo, Gesù compie tutto l’amore del Padre, lo porta a destinazione rendendolo efficace per tutti i peccatori.
Le sue parole a Giovanni potrebbero essere tradotte così: “io mi prendo sulle spalle tutto il peso del peccato dell’uomo; offro la mia vita per pagare il debito dei peccatori che si sono pentiti e sono entrati in quest’acqua battesimale: l’amore del Padre per loro si realizza e si manifesta nel mio offrirmi”.
Il Padre accetta l’atto del Figlio e spalanca i cieli con la sua voce, e lo Spirito Santo si fa visibile perché tutti sappiano: qui c’è l’uomo vero, gradito a Dio, che realizza il suo Disegno, la pienezza del suo Amore!
Il mistero non è più nascosto. Ora vediamo l’amore del Padre. Egli risponde in anticipo alla nostra domanda di perdono!
Padre santo, che accogli Gesù come agnello che toglie il peccato del mondo, ti ringraziamo e ti adoriamo!
Signore Gesù, che ti offri a ‘pagare’ i nostri debiti, ti amiamo. Possiamo chiederti di donarci il tuo stesso Spirito?
1. Lc 15,19
2. Lc 15,24
3. Sal 50,13-15
4. Sal 51,19
5. Is 53,6
6. Is 53,11-12
7. Mt 4,15
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
D.
Io sono già stato perdonato molte volte. Ho già goduto il perdono e il condono del Padre. Dei miei molti peccati non sento più il peso, né spirituale né psicologico. Ho addirittura sperimentato che persino le conseguenze dei miei peccati sono state redente e adoperate da Dio per il suo Regno. La misericordia del Padre s’è resa tangibile, concreta: io sono ancora in vita, nonostante avessi meritato la morte; sono ancora in confidenza con Dio, nonostante mi sia allontanato dal suo amore in svariate occasioni.
Non solo: avuta l’esperienza e la certezza del perdono del Padre, anch’io l’ho imitato. Come figlio che "fa ciò che vede fare dal Padre" 1 ho perdonato a qualcuno che m’ha offeso o danneggiato.
Sento presente in me la capacità di Dio! E’ realmente nelle mie possibilità la capacità di rimettere i debiti ai miei debitori.
Parlo di me, ma sono sicuro che ciò vale anche per te! Anch’io sono stato perdonato dagli uomini, m’è stato rimesso anche da loro il mio debito.
Ci sono molti che sanno fare ciò che il Padre fa.
Abbiamo presente la parabola che Gesù ha raccontato per convincerci della necessità di imitare il Padre in questo aspetto del suo amore. Il servo, cui è stato rimesso un grosso debito dal suo padrone, non vuole rimettere a sua volta un debito minore ad un suo conservo. Egli è definito malvagio: è capace di accogliere il condono, ma non è disposto ad imitare e ripetere la bontà che ha sperimentato. In lui 'funziona' solo l’egoismo: ma l’egoismo non è in grado di ricevere l’amore, di portarlo a lungo, di esserne permeato. Perciò il condono già accordatogli gli viene ritirato.
Noi non fatichiamo a comprendere questa parabola: è troppo semplice. Non facciamo fatica a disapprovare il comportamento del servo malvagio.
Abbiamo già ricevuto spirito da figli che vogliono imitare il Padre.
E’ già presente in noi il desiderio di essere come il Padre nostro, è già in noi la sua “natura”, la sua volontà di salvezza per tutti gli uomini, anche per coloro che ci avessero offeso.
E’ per questo che non fatichiamo a domandare, è per questo che abbiamo il coraggio di dire: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi..."
Sappiamo che non si ripeterà la storia della parabola, perché abbiamo già rimesso a qualcuno il suo debito con noi.
Rimetti a noi, come...
Questa parola della preghiera è importante. Gesù vuole che la diciamo, vuole che la decidiamo: Egli vuole che anche nella preghiera facciamo riferimento alla nostra esperienza.
Dicendo "come noi" non intendiamo indicare al Padre il motivo per cui perdonarci: Egli ci ama per primo, non è Lui che possa imparare da noi, che debba imitarci! Non vogliamo dare a Lui nemmeno la misura del perdono con cui chiediamo di essere amati: non c’è confronto tra il debito dei nostri fratelli con noi e il nostro col Padre! Inoltre i debiti che ci sono tra di noi sono debiti in famiglia, dei quali siamo tutti corresponsabili.
Il Padre perdona e condona "per amore del suo Nome", perché è misericordioso, perché è buono, perché è ‘Padre’.
Dicendo "come noi" esprimiamo la nostra certezza del suo esaudimento, la certezza del suo amore, poiché constatiamo che Egli ha messo anche in noi la capacità di un amore che ama l’uomo più delle cose, più di se stesso. Se egli ha dato a noi tale capacità, quanto più grande non sarà la sua! Il “come noi...” esprime speranza e confidenza totale.
Inoltre, dal desiderio e dalla speranza di essere perdonati nasce e cresce in noi la volontà di perdonare ancora più e più profondamente e più prontamente.
Una gioia grande ci riempie l’anima quando perdoniamo, perché sappiamo che stiamo compiendo un’opera divina! Mentre perdoniamo siamo collaboratori del Padre. Il nostro perdono gli dà gloria, perché rende evidente la bellezza del suo Regno e la gioiosità della sua Volontà! Perdonando riteniamo le persone più importanti di qualunque altra cosa; perdonando affermiamo che nostro Nemico non può essere l’uomo, ma il Maligno che lo affligge e lo usa come strumento del male. Come il Padre, anche noi vogliamo salvare l’uomo dal suo Nemico, che viene vinto non dall’odio, ma dall’amore. Se io odiassi colui che mi ha odiato sarei io pure vittima del Maligno, che vuole prolungare la catena del male. Perdonando invece io spezzo questa catena terribile!
In che cosa consiste il mio perdono agli uomini?
Mi sento dire spesso da qualcuno: non sono capace di perdonare! E io stesso talvolta devo superare difficoltà, prolungate dai miei ragionamenti e dalla mia sensibilità e dai miei risentimenti, prima di riuscire a perdonare.
Il nostro perdono consiste nel mettere sulle spalle di Gesù il peccato dei nostri fratelli. Noi non saremmo capaci altrimenti di portarne il peso e ci ribelleremmo. Se consideriamo il peccato dei fratelli come già alzato da Gesù, già presente sulla sua croce, oppure noi stessi ve lo poniamo, allora tutto cambia e anche i nostri risentimenti si smorzano e i nostri ragionamenti si placano.
Se è così il nostro perdono ai fratelli, esso può durare a lungo, in eterno; esso diventa un perdono efficace, perché è amore al Padre ed è condivisione dell’offerta di Gesù.
Padre, tu mi hai dato la possibilità di perdonare ai fratelli, di fare ciò che tu vuoi fare, di amare come tu ami!
Ti ringrazio e ti benedico perché permetti che anch’io consegni al tuo Figlio Gesù non solo i miei peccati, ma anche quelli dei fratelli che mi hanno fatto soffrire.
Gesù, Agnello di Dio, abbi pietà di noi!
1. Gv 5,19
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
E.
Noi rivolgiamo seriamente la domanda al Padre: "rimetti a noi...": abbiamo davvero debiti e desideriamo essere condonati realmente. Ebbene, questa preghiera non rimane senza risposta concreta.
Gesù risorto alita sugli Apostoli lo Spirito Santo dicendo: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi!”" Questo è un dono impensato, grandioso, inimmaginabile. I discepoli di Gesù che ricevono Spirito Santo possono rimettere i peccati: e Dio stesso ubbidisce alla loro voce. É Gesù risorto che affida questo compito ai suoi Dodici; Gesù risorto non muore più: questa sua Parola perciò è ancora e sarà sempre attuale.
Il Padre attraverso Gesù ha consegnato alla Chiesa il compito di rispondere alla mia domanda!
La risposta non è affidata perciò al passato né al futuro, non è un ricordo né una promessa, essa è continuamente presente e viva là dove è presente e viva la Chiesa.
Finché esisterà la Chiesa io potrò udire la risposta alla mia preghiera! Quando mi avvicino al ministro della Chiesa, pentito e desideroso di ricevere il perdono del Padre, egli stesso mi risponde con la voce di coloro che il Figlio ha scelto e inviato e riempito del suo Spirito.
Rimetti a noi i nostri debiti...!
Grazie, Padre: tu l’hai già fatto molte volte e molte volte ancora mi raggiungerà la tua risposta concreta; la udrò io stesso con le mie orecchie, e ne godrò con tutto il mio essere!
Ancora più mi stupisci quando tu perdoni ai fratelli con la mia voce. La mia voce di peccatore è adoperata da te per togliere dagli uomini il peso del loro peccato e porlo sulla croce di Gesù! Quale meraviglia incredibile!
Io, ministro della tua Chiesa, - noi come comunità cristiana - rimettiamo in nome tuo, per tuo incarico, i peccati dei tuoi figli.
Rimetti a noi come noi li rimettiamo!
Sì, noi rimettiamo i debiti degli uomini con la forza del tuo Spirito, con la Parola che Gesù ci ha messo sulle labbra, con l’amore che tu hai posto nel nostro cuore. Noi, tua Chiesa, rimettiamo i debiti in maniera sacramentale: con un gesto affidatoci da te! É questo gesto, che la Chiesa non cessa di esercitare, che dà speranza agli uomini, che toglie dalla disperazione i peccatori colpevoli dei più vergognosi delitti.
Non c’è peccato che il Padre non possa perdonare: non c’è colpa per la quale non possa esserci la parola del perdono da parte della Chiesa.
L’uomo è capace di orribili decisioni e di terribili azioni che possono provocare sofferenze inaudite a singole persone, a famiglie intere o a interi popoli. Sembra impossibile che ci possa essere perdono per delinquenti così gravi. Eppure nella nostra preghiera non sono espressi limiti, nè essi sono dati alla parola che la Chiesa ha da pronunciare sul peccato. La misericordia del Padre infatti è misericordia di Padre, di uno che continua a generare vita: egli è capace di dare vita nuova, vita di santità, anche al peccatore più ripugnante della terra! La misericordia mostra i confini della grandezza di Dio!
La nostra domanda di perdono presuppone la capacità di lasciarsi perdonare, di lasciarsi amare gratuitamente. Ciò non è sempre facile, non è per nulla facile. Noi vorremmo meritare il perdono, vorremmo pagare il nostro debito per non considerarci più debitori. Ciò non è ovviamente possibile. É questo orgoglio che fa precipitare il peccatore nella disperazione, come Giuda. Voler rimediare noi stessi al nostro peccato è impossibile. É necessario lasciarsi amare.
Gesù ha detto chiaramente: "Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli". Caratteristica del bambino è accettare senza difficoltà l’amore che gli vien dato, accettarlo senza alcuna remora. Noi adulti abbiamo maturato - chissà perché - la mentalità che nel Vangelo è tipica dei farisei, i quali vogliono comperare e pagare l’amore di Dio.
Quando Gesù vuol lavare i piedi a Pietro, questi si rifiuta. I motivi istintivi e psicologici di tale rifiuto possono essere vari e diversi, ma uno è sicuro: è difficile lasciarsi amare. L’uomo non accetta che un altro, gratuitamente, soffra o fatichi per lui.
Quando ho chiesto agli uomini della mia parrocchia di presentarsi il Giovedì Santo per lasciarsi lavare i piedi, solo pochissimi hanno accettato l’invito. Le motivazioni istintive per il rifiuto erano più forti delle motivazioni di fede. I bambini invece hanno accolto subito con gioia la stessa proposta: ed essi non si facevano problema d’avere i piedi puliti e profumati!
Di fronte a Gesù, e a Gesù che perdona e porta il mio peccato, è possibile solo questo atteggiamento: mi lascio amare da lui gratuitamente, senza meritare nulla, senza “pagare” il dono che mi vien fatto. A questa condizione è possibile avere comunione, “aver parte”, con lui. Gesù vive di amore gratuito e dona l’amore divino, che è sempre gratuito: possiamo essere in comunione con lui perciò solo vivendo lo stesso amore. Ricevere il perdono è possibile solo a chi si lascia amare gratuitamente, e perdonare è possibile a chi ama gratuitamente.
Sia il perdono che si riceve sia quello che si dona è opera divina, è amore divino: divino significa perfetto: l’amore è perfetto quando non si fa pagare!
Signore Gesù: grazie alla tua Parola e al tuo Spirito, noi, tua Chiesa, tuo Corpo, rimettiamo ai nostri fratelli i loro debiti: così tu rispondi alla nostra richiesta! Ti ringraziamo di poter godere, perdonati e purificati, piena comunione con te e col Padre nostro che è nei cieli!
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
F.
"Come il Signore vi ha perdonato così fate anche voi".1 S.Paolo ci fa quest’invito, che rende la Chiesa un luogo di comunione sempre rinnovata. Noi facciamo ciò che fa il Signore, senza opporre resistenze e ragionamenti. Il fatto che il Signore perdona è motivo sufficiente per perdonare. La raccomandazione con cui Gesù conclude l’insegnamento della preghiera è molto chiara e molto severa: da essa comprendiamo come il nostro perdono ai fratelli non sia facoltativo.
"Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe".2 Qui il nostro perdonare diviene la condizione necessaria per ricevere il perdono del Padre. Egli ci perdona sempre e soltanto perché egli è buono, ma noi non siamo perdonati, non siamo trasformati dall’amore del Padre, se noi stessi non perdoniamo. Come mai non riusciamo talora a perdonare? Può essere utile ripetere qui in cosa consiste il perdono, sia quello che riceviamo sia quello che doniamo. Il Padre perdona noi ponendo su Gesù il peso del nostro peccato; noi perdoniamo quando poniamo su Gesù il peso del peccato dei fratelli. Se non riusciamo a perdonare è perché - probabilmente - non abbiamo con Gesù un rapporto di fiducia piena, non siamo ancora convertiti.
Non sai perdonare? Non sforzarti, ma rivedi il tuo amore a Gesù, rinnovalo. Cerca di amare Gesù più di te stesso, di accettare che egli porti il tuo peccato e ti sia salvatore. Non avrai ancora finito, che t’accorgerai di esser capace di perdonare.
Noi possiamo infatti perdonare perché possiamo chiedere a Gesù di portare il peccato, possiamo affidarlo a lui. É solo per questo che possiamo amare i nemici! Che significa amarli? Significa desiderare per loro la salvezza, desiderare che anch’essi godano piena comunione col Padre e con Gesù, e pregare per questo e per questo soffrire e offrire.
É questo amore che ci qualifica “figli di Dio”! "Amate i vostri nemici... e sarete figli dell’Altissimo." 3
Quando non riesco subito a perdonare, perlomeno dico: “"Signore Gesù, perdona tu questo peccato del fratello”". Questa preghiera mi aiuta a distaccarmi dai miei risentimenti e a vedere il mio ‘nemico’ amato da Gesù, in rapporto con lui: ed è una liberazione!
Gesù non ha paura dei nostri peccati, né dei peccatori! Egli non fugge questa nostra situazione, proprio perché ci ama. É nella condizione di peccatori infatti che noi incontriamo il suo amore, che lo conosciamo. E se il nostro peccato è grande, il Signore vede in noi la possibilità di un amore più grande. É sua la domanda al fariseo Simone: "Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”" La risposta è ovvia. Il nostro peccato non spaventa Gesù, poiché egli - perdonandolo - vede l’occasione di una nostra crescita nell’amore, nella somiglianza al Padre.
Perdono e amore sono sempre in stretta relazione. Gesù lo vede osservando la donna, la peccatrice, che gli bagna i piedi di lacrime e li bacia. "Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco".
Amare per esser perdonati; farsi perdonare tutto per amare in modo perfetto.
Siamo peccatori davvero, tutti. Non possiamo ignorarlo. Il nostro amore, se non manteniamo la coscienza d’esser perdonati, rischia di diventare orgoglioso e di non esser quindi più amore, ma ricerca della propria gloria.
Ricordare il proprio peccato diventa quindi occasione di autenticità dell’amore. L’apostolo Giacomo raccomanda perciò: "Confessate i vostri peccati gli uni gli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti ”".4 Essere peccatori non è vergognoso, quando si desidera essere del Signore! Possiamo riconoscere il nostro essere peccatori di fronte a tutti: è verità, è il primo passo con cui diamo gloria a Dio, che è grande perché è misericordioso.
Nel riconoscere questa nostra comune situazione e nel pregare per il perdono reciproco c’è la nostra guarigione. Esiste un legame reale - anche se spesso misterioso - tra peccato e malattia. Possiamo perlomeno comprendere che tutt’e due queste situazioni sono opera del nemico dell’uomo. Peccato e malattia danno gloria a Satana, fino a che non siano consegnati a Gesù. A lui si consegna il peccato e a lui si offre la malattia perché Egli ne redima le sofferenze e ne tolga la tentazione. Quando il peccato è consegnato, anche con l’aiuto dei fratelli, è perdonato; e quando la malattia è offerta, essa stessa opera una guarigione dello spirito, quando non cessi addirittura di esistere.
Rimetti a noi i nostri debiti, come noi...
La preghiera che Gesù ci mette sulle labbra non è solo parole: essa crea condizioni interiori che ci danno salvezza, essa ci libera dal nostro io mentre la pronunciamo, ci trasforma.
La contemplazione del Padre che ci riempie di fiducia tanto da chiedergli perdono ci rende pure attenti al nostro agire come suoi figli e suoi collaboratori nel salvare e liberare gli uomini dal male.
E questo è appunto l’oggetto della frase che segue nella preghiera.
Padre santo e buono, non permettere che il mio cuore reagisca al peccato dell’uomo: diventerei cattivo, irascibile, acido e triste.
Concedimi di reagire sempre e soltanto al tuo amore, a quello che hai per me e a quello che hai per ognuno, a quell’amore che mi hai manifestato attraverso Gesù in croce. Io e tu saremo uniti nel perdonare sempre: Tu santo e io perdonato, saremo uno nel distribuire l’amore su questo mondo da te voluto e atteso!
1. Col 3,13
2. Mt 6,14-15
3. Lc 6,35
4. Gc 5,16
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE
A.
E’ la terza richiesta che presentiamo al Padre. Anche ricevendo da lui il pane quotidiano - quello materiale e quello eucaristico e spirituale - e il suo perdono, la nostra vita rimane tuttavia sempre in pericolo. Abbiamo dei nemici, o, meglio, un Nemico: uno solo, personale e comunitario. Egli è nemico mio ed è nemico della Chiesa. Abbiamo bisogno d’esser protetti, d’esser difesi. Questa supplica che conclude la preghiera ricevuta dal Signore Gesù fa eco alle innumerevoli grida d’aiuto di cui è impregnato il Salterio:
"“Più numerosi dei capelli del mio capo
sono coloro che mi odiano senza ragione”.1
“...Sono in pericolo: presto, rispondimi”.2
“Ma io sono povero e infelice,
vieni presto, mio Dio”.3
“O Dio non stare lontano:
Dio mio, vieni presto ad aiutarmi”.4
“Da me non stare lontano,
poiché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta”.5
“Ascolta la voce del mio grido,
o mio re e mio Dio!”" 6
Siamo molto deboli: la nostra vita e la nostra fede è sempre in pericolo. Il nostro amore al Padre è minacciato. Che cosa ci resterebbe se esso scomparisse? Dio stesso ci mette alla prova: Egli deve ‘vedere’ se lo amiamo davvero! Ma il nostro nemico ne approfitta, e trasforma le prove dell'amore in tentazioni contro il Padre.
"“Nessuno quando è tentato dica: sono tentato da Dio; perché Dio non può esser tentato dal male e non tenta nessuno al male" ”7. Siamo certi che Dio non vuole allontanarci dal suo cuore, ma Egli vuol vedere se il nostro amore per lui è amore vero oppure se è una vicinanza interessata: sono vicino al Padre perché lo amo, o gli sono vicino perché ne ho dei vantaggi economici, sociali, di salute, di prestigio? Dio deve saperlo, o meglio, io stesso devo accorgermene e trarne le conseguenze: o avvicinarmi davvero a lui in maniera pura dall’egoismo, o staccarmi del tutto per non illudermi e per non ingannare gli altri.
Dio perciò mette alla prova i suoi amici e coloro che si dicono suoi amici. "Dio mise alla prova Abramo: ...prendi tuo figlio, il tuo unico figlio..."8 Prima di presentarsi alle generazioni seguenti come amico di Dio Abramo deve dimostrare d’esserlo. L’occasione propostagli è una dura prova. Abramo ama davvero Dio più di se stesso? Ubbidisce alla parola di Dio o al proprio ragionamento? Segue le indicazioni di Dio o i propri istinti umani e paterni?
Questa è una prova nella mente di Dio, che gode della fiducia del suo amico. Sarebbe tentazione nella mente di Satana, che spera in una disobbedienza da parte di Abramo: le ragioni del cuore e quelle della vita lottano contro la Parola del Padre.
Abramo non trova nulla di più sicuro che la parola di Colui che lo ha creato e chiamato: "Egli “è capace di far risorgere dai morti”." 9 Nulla è meglio di ciò che Dio chiede: non è egli l’amico degli uomini, non è lui il Padre, che nulla disprezza di quanto ha creato? Perché dubitare? Stolto chi abbandona la parola del Padre per seguire i ragionamenti e le certezze provenienti dalle esperienze “normali: tutto il creato è nelle mani di Dio, onnipotente e fedele! Per mantenere la propria parola Dio supera le stesse leggi della natura.
L’angelo, che appare ad Abramo durante la sua obbedienza per fermargli la mano tesa sul figlio, gli dice: "Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio. ...Tu hai obbedito alla mia voce."10
La prova superata da Abramo è tipica, e si ripete - in forme sempre diverse - per ogni credente:
"Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere... per metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi."11
Il Signore sa certamente cosa c’è nel nostro cuore, ancora prima di metterlo alla prova. Siamo noi che ne dobbiamo divenire coscienti! Ci è fin troppo facile l’illusione di ritenerci veri figli di Dio anche senza fidarci della sua paternità e senza affidarci alla sua sapienza! Il Padre ci vuole veramente suoi. Egli ci vuole abituare ad esser suoi in tutte le circostanze, ad esser portatori “collaudati” del suo amore. Le sue prove, nel mentre mettono in evidenza la saldezza del nostro attaccamento filiale a lui, lo purificano. Di purificazione c’è sempre bisogno, perché in innumerevoli modi il nostro io si compiace di se stesso. Devo essere educato e corretto spesso, sempre. Con troppa facilità ritorno ad amare me stesso e i miei pensieri, più che la parola e la promessa di Dio. Le prove devono essere continue, perché continua è la necessità di correggere i desideri e la volontà, i sentimenti e le intenzioni.
Padre santo e buono, tu mi scruti e mi conosci. Tu sai cos’è necessario per la mia crescita e la mia purificazione. Non temo le tue prove, ma tu donami la forza d’amore che ha avuto il tuo Figlio per esserti fedele anche nei momenti più difficili e terribili.
Ti ringrazio, perché ascolti!
1. Sal 69,5
2. Sal 69,18
3. Sal 70,6
4. Sal 71,12
5. Sal 21,12
6. Sal 5,3
7. Gc 1,13s
8. Gen 22,1
9. Ebr 11,19
10. Gen 22,12.18
11. Dt 8,2
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE
B.
Chi compra dell’oro vuol essere certo che ciò che egli acquista è veramente oro, altrimenti non lo potrebbe usare per i suoi scopi. La prova passa per il fuoco. L’oro viene colato e in tal modo anche eventualmente purificato da scorie o da altri materiali che vi fossero mescolati.
"Dio, tu ci hai messi alla prova,
ci hai passati al crogiolo, come l’argento." 1
"Ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore... ".2
Anche Gesù passa la prova. Egli non ne avrebbe bisogno. Il suo cuore non deve essere purificato, perché in lui non c’è peccato. Egli ama il Padre al di sopra di tutto, eppure anch’egli viene ‘provato’. Siamo noi che abbiamo bisogno di vedere che anche l'amore del Figlio è provato. Noi e il mondo non crediamo che una persona ci ami se non la vediamo soffrire per noi. Se uno soffre con me e per me, so che egli è un amico di cui mi posso fidare. Gesù è cosciente di questa nostra ‘necessità’: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre.” Non basta che il Padre sappia: il mondo deve sapere, perché è il mondo che deve accogliere Gesù come amico, come Salvatore, come rivelatore del Padre.
"Non parlerò più a lungo con voi
perché viene il principe del mondo;
egli non ha nessun potere su di me,
ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre!" 3
Bisogna: è necessario! È volontà di Dio che il mondo sappia... Come fa il mondo a sapere? Il mondo ha dei modi particolari di sapere, e Gesù si sottomette a questi modi: egli accetta volontariamente la venuta del principe del mondo nella propria vita, nel proprio rapporto col Padre. Il principe del mondo ha modi di agire violenti, terribili. Gesù non lo rifiuta, si lascia tormentare da lui, pur senza obbedirgli, senza accogliere nel proprio cuore il suo odio, il suo male, le sue reazioni. Il principe del mondo viene, e dalle conseguenze di questo venire Gesù risplende nel suo rapporto col Padre, rapporto d’amore. Gesù dipende dal Padre, ascolta il Padre, continua ad offrirsi al Padre, adoperando per questo offrirsi ciò che il Maligno gli fa subire. Ma Gesù non subisce, egli offre. La sofferenza e la morte sono per lui tentazione, ma egli le accoglie come dalle mani del Padre: "Non devo bere il calice che il Padre mi ha dato?" 4
Gesù così mostra la sua piena e totale figliolanza superando la prova, e la supera facendo della morte un atto d’amore e di fiducia al Padre.
Egli, che ci mette sulle labbra la preghiera: "Padre, non c’indurre in tentazione", ci mostra come si possono e si debbono vivere i momenti che potrebbero essere di tentazione! Egli trasforma la tentazione in occasione per rivelare il suo amore al Padre!
Non c’indurre in tentazione!
La tentazione è presente spesso, sempre. "Il maligno come leone ruggente va in giro cercando chi divorare." 5 Sono parole dell’Apostolo Pietro, che conosce già la vita dei cristiani. Il Signore Gesù aveva detto la stessa cosa parlando del seme di zizzania sparso nel campo seminato del buon seme. Il maligno cerca coloro che vogliono servire il Signore per tentarli6 e vuole insinuarsi ovunque nell’opera di Dio! Con tecniche e sollecitazioni subdole egli vuole costringere gli uomini a ribellarsi al Padre, a vederlo come nemico, come padrone, anziché come padre!
È proprio questa la tentazione profonda con cui egli si rivolge a Gesù nel deserto di Giuda. Egli vorrebbe che Gesù decidesse azioni ‘buone’, di fede addirittura o di amore ai popoli; il suo suggerimento pretenderebbe l’agire di Gesù da solo, indipendente dal Padre; egli vorrebbe vedere un Figlio che segue i propri pensieri senza ascolto del Padre..., e motiva le proposte con la parola: se sei Figlio di Dio! È come dire: "se sei Figlio di Dio fatti padrone"! Come se Dio fosse un padrone. Sappiamo come Gesù ha affrontato quella situazione: "se sono figlio resto figlio! Se sono figlio di Dio ascolto il Padre e gli obbedisco! Dato che sono figlio sono certo d’essere amato dal Padre, che continua a custodirmi ed è pronto a dirmi i suoi disegni perché ha fiducia di me. Dato che sono figlio mi nutro delle sue parole!"
La tentazione mi vuol far dimenticare la paternità di Dio e la conseguente fiducia che posso avere in lui. Se davanti a me rimane l’immagine di un Dio padrone faccio presto a desiderare d’essere al suo posto, a fare a meno di lui, a giudicarlo, e quindi escluderlo dalle mie decisioni.
Non c’indurre in tentazione!
Non permettere che mi dimentichi del tuo amore, che mi dimentichi che sei mio padre, che ti curi di me. Non permettere che abbandoni la mia fiducia piena in te! Padre nostro, non lasciarci cadere in quest’inganno che distrugge il nostro rapporto con te e ci lascia la disperazione di essere orfani, di non essere fratelli, ma concorrenti e nemici gli uni degli altri. Quando c’è la tua prova non permettere ch’io cada in balìa del Maligno.
Padre nostro, non lasciarci in balìa di noi stessi. Rimani presente tu, fa risplendere il tuo volto di Padre! Che non cediamo alla seduzione di vederti padrone: vorremmo essere noi stessi padroni che non devono rispondere a nessuno delle proprie azioni.
Tu sei Padre: confido in te e ti ascolto.
1. Sal 65,10 Is 48,10
2. 1Pt 1,6
3. Gv 14,31
4. Gv 18,11
5. 1Pt 5,8
6. Sir 2,1
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE
C.
Il libro di Giobbe inizia presentandoci Satana che vuole mettere alla prova la fedeltà dell’amico di Dio. Egli manifesta il dubbio che tale fedeltà non sia il prezzo pagato per comprare il proprio benessere e quello dei propri figli. "Toccalo nell’osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!"1 Il Signore permette a Satana di colpire il suo servo con la malattia. Attraverso la prova Giobbe risplende ancor più come amico di Dio.
Anche S.Paolo vede l'agire del Maligno come strumento di Dio: "Perché non montassi in superbia per la grandezza delle mie rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia." 2 Dio si serve dell’opera di Satana per custodire il suo apostolo dal cadere in superbia! Questo modo di considerare la tentazione è nuovo e liberante! Possiamo rimanere liberi e senza paura anche di fronte agli interventi del Maligno: anch’egli è - misteriosamente, ma realmente - servo della Provvidenza di Dio. Il suo agire, che pur fa soffrire l’uomo, mantiene nell’uomo stesso, ricco di esperienze divine, il clima dell’umiltà. L’uomo si scopre debole e infermo proprio a causa della forza e della violenza di Satana, e perciò non s’insuperbisce, non confida in se stesso, ma si butta con decisione nelle braccia della grazia che viene dall’alto, ritenendosi sempre uno che riceve tutto! "Ti basta la mia grazia", risponde il Signore all' apostolo che chiede con insistenza di esser liberato dalla tentazione e dalla sofferenza. La grazia di Dio non ha bisogno della forza dell’uomo per agire, anzi!
Non c’indurre in tentazione!
Questa preghiera mantiene in noi l’umiltà. Se sto in piedi non è per mia bravura, ma perché il Padre risponde al mio grido!
La storia degli uomini non è sempre storia di vittorie. La S.Scrittura ci fa conoscere grandi sconfitte del popolo di Dio e di singole persone chiamate alla sua santità. Se l'uomo fosse sempre vittorioso sul male, egli diverrebbe superbo, e la superbia lo porterebbe alla rovina. L'uomo, trovandosi davanti a Dio come davanti a un mago che ubbidisce sempre ai suoi desideri, sarebbe attento solo al proprio egoismo, si ritroverebbe sicuro solo di sè; alla fine sarebbe triste come un orfano, senza padre, e quindi senza vera sicurezza e senza stabilità!
Il popolo d’Israele, nel deserto, trovandosi in reali difficoltà, ma godendo pure di promesse sicure, continua a mormorare, a lamentarsi: non dà fiducia a quel Padre che gli ha dimostrato più volte d’amarlo, anzi, si fa “tentatore” di Dio: "misero alla prova il Signore dicendo: il Signore è in mezzo a noi si o no?" 3 Il popolo vorrebbe da Dio benedizione incondizionata, senza previo ascolto, senza esser coinvolto nei suoi piani. Ciò significherebbe trattare Dio come un mago, non come un Padre.
"Non tenterai il Signore Dio tuo"4, ripete Gesù! il Padre rimane Padre sempre, io perciò rimango sempre figlio.
Voglio restare anch’io in questo atteggiamento, anche se talora la violenza degli uomini sembra prevalere, e prevale. L’esser figlio però conserva al cuore la pace e la pienezza della serenità, conserva in noi la vera maturità dell’uomo.
Gesù ci ha mostrato, in maniera ancora più profonda di Abramo, questa maturità, la grandezza e la verità dell’uomo che resta figlio del Padre. "Abramo per fede, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: in Isacco avrai una discendenza...”. “Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti..."5. Abramo non dubita di Dio: egli mantiene le sue promesse non con le capacità dell’uomo, ma con la sua onnipotenza: gli si può perciò ubbidire, anche se la sua parola sembra all’uomo contraddittoria. La fede di Abramo è grande.
Quella di Gesù è la stessa fede, ma ancor più grande.
Gesù offre se stesso: "Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta". Durante la sua passione tutto lascia comprendere che è all’opera Satana, il principe del mondo: è lui che suscita il tradimento e l’odio e la condanna. Eppure Gesù rimane affidato al Padre: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito.
Come dicesse: "il Padre mi è Padre anche se io, per continuare ad essere figlio, per non smettere di amare e di dipendere da lui, devo entrare nella morte. Io entro nella morte che mi viene presentata dal Maligno, ma credo che il Padre è sempre colui che dà la vita, ed egli manterrà la promessa che il Regno di Davide non avrà fine: anzi, la manterrà in un modo ancora più bello di quello che l’uomo potrebbe immaginare!"
Gesù supera una prova superiore a quella di Abramo. Egli è vittorioso sulla tentazione che lo raggiunge in cima al Calvario dalla bocca dei sommi Sacerdoti, dalla bocca del ladrone e dei soldati, e dall’assenza dei suoi discepoli. Mentre la vita gli sfugge, quella vita che sa essere eterna, egli dice: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Gesù si fida del Padre! Lo considera sempre papà! Rimane intimamente unito a lui: nessuno e nulla, nemmeno la morte, lo smuove da questa unità. La tentazione, che lo vorrebbe diviso dal Padre, è vinta!
Io non posso che guardare a Gesù quando mi trovo nel cuore forza e pensieri e parole che mi vorrebbero trascinare in un’autonomia o in una indipendenza da Dio che me lo dipingono padrone più che papà. Guardando a Gesù vedo la mia vittoria. Guardando a me stesso cederei subito, perché l’amore di me stesso mi farebbe perdere l’amore.
Guardo a Gesù: è lui la mia vittoria, è lui la vittoria di tutta la Chiesa: è lui la risposta del Padre alla supplica: non c’indurre in tentazione!
Padre, grazie per il tuo Figlio Gesù. È con lui che vivo, unito a lui: è lui il sostegno che mi tiene in piedi nel cammino verso di te, è lui la guida, è lui il bastone cui posso appoggiarmi e la luce cui posso affidarmi. Con lui non temo di andare errando senza meta! Con lui sono saldo nel pericolo.
Grazie per il tuo Figlio Gesù!
1. Gb 2,5
2. 2Cor 12,7
3. Es 17,7
4. Mt 4,7
5. Ebr 11,17-19
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE
D.
La traduzione letterale dal greco del Vangelo di Matteo ci farebbe dire: strappaci dal Maligno! Strappaci!
Il Maligno è come "leone ruggente in cerca di chi divorare", ed egli ci ha già ‘azzannati’. Noi portiamo già il segno dei morsi del leone; il maligno ha trovato qualche appiglio in noi, in qualche misura ci ha già in suo potere.
"Sono corrotti, fanno cose abominevoli:
nessuno più agisce bene." 1
Così afferma il salmo, e ad esso fa eco S.Paolo 2:"“Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato."
I nostri peccati, le nostre tendenze, le nostre concupiscenze sempre risorgenti, e talora accontentate, sono testimonianza che il Maligno ha già riportato qualche vittoria in noi: e perciò egli vanta dei diritti sulla nostra vita.
Padre nostro, strappaci!
Il maligno è stato ed è più forte di noi, ma non di Te! Tu sei più forte di lui: strappaci dalle sue zanne, dalle sue fauci.
Su Gesù il Maligno non ha alcun potere, perché egli è senza peccato, ma su di noi può agire, perché in noi esiste già qualcosa che gli appartiene, l'egoismo, la concupiscenza, il peccato. Noi perciò gridiamo: "Liberaci, strappaci dal Maligno."
Questo grido è anzitutto un riconoscimento della nostra situazione: siamo già rovinati dal peccato, da quello di Adamo e da quello di tutte le generazioni che ci hanno preceduto, nonchè dal nostro.
Questo grido è pure un atto di fede: sapendo della vittoria di Gesù riportata anche per noi, esprimiamo tutta la fiducia nel Padre: egli può farlo, egli ci può liberare!
Guardando la storia dell'umanità vediamo come Dio è già intervenuto ad esaudire questa preghiera.
Osserviamo i modi con cui s’è dimostrato liberatore dell’uomo.
Egli ha liberato Mosè dal faraone: lo ha liberato non senza la fede e la fatica di Mosè!
Egli ha liberato Davide da Saul, ma non in maniera magica!
Egli sta liberando la donna dalla furia del dragone, com’è espresso nelle visioni dell’Apocalisse: mentre Michele e i suoi angeli combattono e vincono in cielo, sulla terra continua la battaglia.
Così il Padre libera anche noi attraverso Gesù Cristo nostro Signore nella lotta della volontà, che vuole il bene, contro la concupiscenza, che spinge al male.3 Dio ci ascolta, ci vuol liberare dal potere del Maligno: egli lo fa, ma comincia quando ci vede seriamente intenzionati a essergli fedeli e seriamente impegnati nel lottare per questa fedeltà.
Dio ubbidiva a Mosè quando Mosè alzava il suo bastone: ma Mosè doveva alzare il bastone, e ciò gli costava un impegno totale della sua fede.
Dio ha salvato Davide da Saul, ma Davide ha rinunciato a farsi giustizia da sè.
Dio ha liberato la donna, ma essa s’è ritirata e nascosta nel deserto.
La liberazione operata dal Padre non esonera l’uomo dalla fatica e dalla sofferenza. Fatica e sofferenza non sono un male, perché nemmeno la croce di Gesù è stata un male.
Quando egli prega per i suoi discepoli dice infatti: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo (dove ci sono tribolazione e morte), ma che li custodisca dal Maligno." 4
La nostra preghiera si unisce necessariamente a quella del Figlio: non chiediamo che ci venga tolta la croce, la fatica, la sofferenza, la persecuzione, ma solo d’esser liberati dal Maligno.
Quanto Gesù chiedeva al Padre per i discepoli lo riteneva necessario pure per sé. Nel Getsemani, quando egli s'accorse che Pietro lo avrebbe voluto difendere dalle guardie e dai soldati, gli disse: "Rimetti la spada nel fodero”." 5 Questo comando poteva avere il seguente significato: "tu non mi difendi coi metodi violenti che appartengono a Satana. Non mi devi difendere dagli uomini, come fossero dei nemici, né dalla sofferenza, ma, semmai, mi devi difendere dal Maligno, che vorrebbe separare il cuore del figlio dal Padre. Se mi vuoi veramente difendere, cerca la volontà del Padre, obbedisci a Lui!" "Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?" Togliendomi la croce mi impediresti di compiere il disegno d’amore del Padre.
L’apostolo S.Paolo dirà poi che le sofferenze non sono un vero pericolo per l’uomo:
"Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.”" 6 Queste situazioni, percepite dal nostro corpo come pericolo, possono essere campo di vittoria per lo Spirito, luogo dove si manifesta la gloria di Dio in noi.
Il Maligno infatti agisce più facilmente nel benessere, nella popolarità, nell’ambizione. "Coloro che vogliono arricchire cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione.”" 7 Così l’Apostolo istruiva Timoteo e gli raccomandava di ammonire i cristiani per preservarli dal perdere la fede. Egli riprendeva così la sapienza del salmista che già da secoli aveva osservato: "L’uomo nella prosperità è come gli animali che periscono." 8 E Gesù aveva detto: "Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi”." 9 L’uomo senza croce è un uomo disarmato: il suo nemico lo vince facilmente.
Esemplare è l’atteggiamento di Giuditta, che non si spaventò di fronte alla difficoltà in cui versava il suo popolo, già assediato dall'esercito di Oloferne. Quella difficoltà terribile era già tentazione per i capi del popolo, cui ella disse: "Voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non ci capirete niente. Attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da Lui: ... Ringraziamo Dio che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri. Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe... Certo, come ha passato al crogiolo costoro, non altrimenti che per saggiare il loro cuore, così ora..." 10
1. Sal 14
2. Rom 3,9
3. Cfr. Rom 7,14
4. Gv 17,15
5. Gv 15,11
6. Rom 8,35
7. 1Tm 6,9
8. Sal 49,13
9. Lc 6,26
10. Giud 8,11-25
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE
E.
Il Padre ascolta i suoi figli. Egli ascolta anche quest’ultima preghiera con cui termina l’insegnamento di Gesù. Il Padre già ha mandato il Figlio anche per liberarci dal Maligno: "Dio consacrò di Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth, che passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui." 1
L’azione di Gesù è un’azione liberatrice. Gli esempi narratici dagli evangelisti sono molteplici: la sola presenza e vicinanza di Gesù spaventa il Nemico, che si rivela e lascia l’uomo - sua preda - non appena risuona la Parola del Signore. Gesù è il grande liberatore. Là dove egli è presente, il Maligno fugge. Dove Gesù viene accolto e amato avviene guarigione e liberazione.
Ciò che vale per le singole persone, per i figli di Dio, vale pure per la Chiesa. Ognuno di noi, quando dice: "Non c’indurre, ... ma liberaci...", pensa a se stesso o pensa a qualcuno cui è particolarmente unito. La nostra preghiera però, anche per questa domanda, è formulata al plurale: liberaci! È la Chiesa, è tutta la comunità cristiana che prega così.
La Chiesa conosce le colpe dei singoli cristiani, ma conosce pure i debiti di gruppi e di comunità intere. La Chiesa sente come proprio il peccato di qualche pastore o di qualche fedele; sente come propria la tentazione dei propri membri. Può succedere che in qualche periodo, o in qualche circostanza, o in qualche luogo, tutta una Chiesa locale soffra la medesima tentazione e che solo pochi dei suoi membri, qualche santo, se ne accorga, e lotti con vocazione profetica.
Anche come Chiesa perciò possiamo e dobbiamo dire: "Padre, non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno"! Non permettere che questa porzione del tuo popolo cada nel rifiuto della tua paternità, nel rifiuto della fiducia nel tuo amore!
Alcune tentazioni presenti nella Chiesa - accolte dai cristiani - sono maggiormente frequenti nell’arco della storia e più difficilmente riconosciute come tali. Dio però non ci lascia senza discernimento spirituale: Egli dona questo carisma a qualcuno che - pur soffrendo - lo eserciti per tutti i fratelli.
Una di queste tentazioni, che facilmente diventano appigli di Satana per rendere inutile la presenza e la testimonianza della Chiesa stessa nel mondo, è l’inclinazione a presentare se stessa, invece che predicare Gesù Salvatore! La Chiesa è importante sì, e io sono fiero di esserne membro: la sua importanza consiste però nel fatto che essa è l’unica realtà che, con la propria esistenza, presenta al mondo, e offre alle persone di questo mondo, il Pane di vita, il Figlio di Dio, la luce per ogni uomo! Il suo compito è importante, indispensabile, ma anch' essa è bisognosa continuamente dello stesso Pane, della stessa Luce, dello stesso annuncio che proclama agli altri!
Non è necessario che la Chiesa parli di se stessa, se non per quanto serve all’annuncio della piena rivelazione dei disegni di Dio. É necessario che essa sia in continuo ascolto e in perseverante obbedienza alla Parola di Dio. La Chiesa, che parla di sé e si occupa di far conoscere se stessa e di farsi riconoscere, rischia di perdere tempo ed energie, se non addirittura di deviare il cammino di quanti sono bisognosi di salvezza!
Da questa tentazione ne scaturisce un’altra: per far sì che la Chiesa sia accettata dal mondo, i cristiani possono dimenticare la propria missione; siccome il mondo bada all'esteriorità, essi sono tentati di cercare di crescere di numero ad ogni costo, di avere attività culturali e sociali ambite dal mondo, di avere a disposizione gli stessi mezzi che ha il mondo. Il dar fiducia all' organizzazione e al denaro anziché alla potenza di Spirito Santo fa sì che la Chiesa divenga... sale senza sapore. Chi l’avvicina non gusta il sapore di Dio, la comunione d’amore dello Spirito Santo, la mitezza di Gesù.
Seguendo questa tentazione cresce nei membri della Chiesa la voglia di fare, di agire, di essere presenti ovunque e comunque. Ma essere presenti solo col nome cristiano, anziché con lo Spirito di Dio, a chi gioverà? Essere presenti con le forze umane non rende ancora presente il mistero pasquale, mistero della morte di Gesù con la conseguente sua Risurrezione! Essere presenti in un ambiente del mondo senza essere intimamente uniti a Gesù e senza portare in esso la sua presenza non è forse un illudersi e un ingannare? Ci si illude di essere accolti, ma ciò che viene accolto è la nostra azione, non la Persona del Signore! L’influsso del mondo sulla Chiesa diviene più forte che non l’influsso della Chiesa sul mondo!
La tentazione conclusiva è l'attenzione - in nome della prudenza - ad evitare la testimonianza di Gesù che porta al martirio!
Quando la Chiesa è senza martiri essa è una Chiesa inutile, morta, assente. La Chiesa universale non è mai senza martiri. Anche la nostra epoca ne ha visti molti, a schiere, a est e a ovest, a nord e a sud! In varie occasioni risplende nella vita della Chiesa la parola che essa canta ogni domenica mattina: "La tua grazia vale più della vita."2 Ma, nelle singole Chiese locali, la tentazione di allontanare il martirio è tuttora forte, ed è segno che, agli occhi dei cristiani, il mondo è divenuto più importante che non la propria missione in esso.
Non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno!
Rendici attenti a te, Padre, amanti del tuo Figlio fino a rischiare di essere disprezzati e lasciati da parte, portatori del tuo Spirito che agisce nella debolezza, nell’impotenza umana!
Non lasciar cadere la tua Chiesa nella tentazione di accomunarsi al mondo per accontentare il mondo. Non lasciare che la tua Chiesa perda il senso della sua missione di portare il Nome di Gesù Cristo Crocifisso!
1. Atti 10,38
2. Sal 63,4
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE
F.
Il fatto che la Chiesa si trovi a vivere come «piccolo gregge» in mezzo al mondo, cioè nell’ostilità e nel disprezzo, è la sua ‘fortuna’! Essa è aiutata così a mantener viva la propria ‘diversità’ dal mondo, diversità data dalla propria missione di trasmettere, proprio a quel mondo che le si fa nemico, l’amore del Padre!
La Chiesa ha l'occasione di lasciar vedere che il proprio cuore appartiene a Gesù, che è lui il suo Sposo, unico e meraviglioso. I membri della Chiesa che si tengono uniti nella preghiera comune e nella dimostrazione di fraternità gioiscono del proprio compito di essere "sale della terra e luce del mondo" e si rafforzano nella consapevolezza di questo insostituibile servizio, che ha il suo scopo ultimo nella vita eterna, nel benessere finale dell’umanità: la beatitudine promessa oltre il secolo presente, oltre la morte!
Noi cristiani, istruiti dalla storia della Chiesa, a cominciare dalla vicenda dei primissimi discepoli del Signore, sappiamo che il Maligno non desiste dalla sua opera distruttrice, e perciò continuiamo a pregare: liberaci dal Maligno! Questa preghiera non può e non deve essere abbandonata: essa ci mantiene vigilanti, ed essa ci ottiene dal Padre la vittoria con cui egli incorona gli umili1 che s’affidano al suo intervento di Padre!
Liberaci dal Maligno!
Questo Nemico continua a seminare la sua zizzania nel campo del Buon Seminatore. Dopo la semina della Parola, in qualunque ambiente, in ogni gruppo, in tutte le Parrocchie, cresce quest’erba che infastidisce, ruba terreno, soffoca il buon grano.
In mezzo al gregge, tra le pecore, ci sono i capri, che alla fine verranno separati: ma intanto possono deviare il cammino delle pecore, disorientarle, disturbare il loro riposo e la loro unità.
Nella rete dei pescatori c’è sempre del 'pesce cattivo’, che impegna il lavoro di cernita, di continua attenzione e discernimento dei pescatori per separare, distinguere, scegliere.
Liberaci dal Maligno!
La sua presenza vuole distruggere l’opera di Dio. Dio - 'a fatica' - costruisce l’unità, col suo Spirito ci fa entrare in comunione gli uni con gli altri, ci fa essere un solo corpo, una sola famiglia, ci fa fratelli! Il Maligno agisce anzitutto distruggendo e minando ogni forma di comunione divina. Egli comincia nelle famiglie, tentando di distruggere il sacramento del Matrimonio, e continua nelle varie forme di vita riunita nel nome di Gesù: associazioni, comunità religiose, parrocchie. Cerca di dividere persino i fedeli dai loro pastori e i pastori dai fedeli, i sacerdoti dal proprio vescovo e i vescovi tra di loro.
Le divisioni nella Chiesa sono il frutto che manifesta la presenza del Divisore, il diavolo. Le divisioni dei cuori sono il vero « male » che distrugge l’opera di Dio, che rovina la Chiesa e, in essa, i cuori delle singole persone,
Gesù è presente dove due o tre sono riuniti nel suo nome. Il Diavolo divide, perché vuole impedire la presenza del Signore.
Io perciò cerco di mantenere l’unità con i credenti e con i pastori, a costo di cedere, a costo di rinunciare alle mie buone ragioni. Alle buone ragioni posso rinunciare, ma non alla Presenza di Gesù: è lui che salva gli uomini, non lo salvano i migliori progetti apostolici. Rinuncio alle mie idee, non a dare a Gesù la possibilità d’esser presente, e quindi di salvare. Questa è la principale mia convinzione e il mio principale progetto cui non posso rinunciare
Liberaci dal Maligno!
Il Padre ci ascolta e ci esaudisce donandoci lo Spirito Santo, Spirito di unità, di comprensione, di fedeltà, di sopportazione, di accoglienza, di pazienza!
Noi continuiamo, costretti dal ripetersi del nostro peccato, a dire: Liberaci, Padre, dal male, dal vero male che dà gloria a Satana, la divisione.
Continuiamo a ripetere questa accorata supplica: strappaci dal Male! È una preghiera sempre urgente, sempre necessaria, attuale.
Il Padre ci concede di accorgerci che non tutto ciò che ci viene in mente, non tutte le sensazioni che proviamo e non tutte le convinzioni che ci formiamo sono ispirazione del suo Spirito. Ciò che non unisce e non edifica l’unità non viene da lui, nemmeno se ha un’immediata apparenza di bellezza o di logica o di bontà. La preghiera finale del Padre nostro ci mantiene attenti e vigilanti: dobbiamo difendere l'unità della comunità, espressione e frutto di vita di Dio tra gli uomini!
Questa preghiera, ancora, pur alimentando la nostra umiltà, ci dona speranza: siamo deboli e incapaci di essere fedeli alla nostra figliolanza divina, ma possiamo contare sempre sulla potenza che il Padre impegna per noi. Egli ci strappa dal male, anche se esso è già riuscito a danneggiare la Chiesa e i cuori dei fedeli.
Questa preghiera infine ci prepara al martirio per la testimonianza di Gesù. Per strapparci dal Maligno il Padre fa di tutto, e noi siamo pronti a tutto, anche a perdere beni materiali, denaro, onore, buon nome, gloria umana, efficienza, persino la salute e la vita stessa.
Per conservare l’unità nella Chiesa può rendersi necessaria la mia rinuncia a tutto, persino alla mia vita: ma "la tua grazia vale più della vita" !
Padre nostro che sei nei cieli,
non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal Male!
Abbi pietà di noi: tu che hai consegnato il Figlio perché noi fossimo perdonati, libera la tua Chiesa dall’azione del Divisore. E noi saremo un cuor solo e un’anima sola, per la tua gloria.
1. Sal 149,4
2. Sal 63,4
"Poiché tuo è il Regno, tua la potenza e la gloria nei secoli!"
Con queste parole termina la preghiera del Signore in alcuni antichi codici.
Con queste parole la terminano i fratelli cristiani di confessione evangelica (i protestanti), e con queste parole la terminiamo noi nella celebrazione eucaristica.
Noi ti chiamiamo Padre, facciamo la tua Volontà e chiediamo a te il Pane e il Perdono e la Protezione
poiché tuo è il Regno, tua la Potenza, tua la Gloria nei secoli!
Consento e approvo, Mons. Iginio Rogger, cens.eccl.,Trento, 2 aprile 1995
In copertina, acquarello di Renata Gregolin (1994), che ringraziamo.
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