Padre nostro - 1
PADRE NOSTRO
1
"Padre nostro
che sei nei cieli!"
[Mt 6,9b]
La preghiera più recitata da noi cristiani è degna di essere meditata a lungo. Non è tanto facile per noi, che abbiamo già delle abitudini, accogliere il modo di pregare del Signore!
Per questo, lungo tutti i tempi, pastori, mistici e dottori, discepoli grandi e piccoli di Gesù, hanno cercato di aiutare i cristiani a cogliere dalle parole del 'Padre Nostro' qualcosa del suo Spirito, onde renderli sempre più coscienti del loro pregare.
Proviamo ancora una volta a rileggerla, come non l'avessimo mai imparata a memoria, parola per parola.
Chissà che lo Spirito Santo non ci conceda di entrare un po' più profondamente nel suo pregare, nel suo amare il Padre e nel servizio di salvezza di Gesù al mondo!
don Vigilio Covi
PADRE
A.
I discepoli di Gesù sanno pregare come tutti i buoni ebrei, che, tre volte al giorno, si fermano a recitare brani della Parola di Dio, in particolare i Salmi.
Tuttavia essi percepiscono che Gesù, loro Rabbi, ha un nuovo modo di vivere la preghiera. Spesso lo vedono lasciare il gruppo e ritirarsi in luoghi solitari. Sanno che lo fa per pregare. E quando egli prega con loro, essi s'accorgono che le sue parole non sono ripetizione meccanica, ma sgorgano cariche di vita dalle sue labbra, come fossero dette per la prima e unica volta.
Maestro, insegnaci a pregare!
Insegnaci! Vogliamo imparare da te!
Del resto ogni rabbi si distingue per la sua preghiera. Ogni rabbi ha regole particolari di preghiera per i suoi discepoli, diverse da quelle degli altri. Anche i discepoli di Gesù vogliono distinguersi dagli altri gruppi, vogliono essere 'qualcuno'.
Quale può essere la preghiera che li faccia riconoscere appartenenti allo stesso gruppo e nello stesso tempo li distingua dagli altri gruppi?
La domanda dei discepoli di Gesù è bella, benché pericolosa.
Gesù ha realmente un modo di pregare unico, nuovo, vero, ma il motivo per cui i discepoli lo vogliono conoscere potrebbe nascere dal confronto con gli uomini, da orgoglio e da spirito di divisione. Essi motivano infatti così la loro richiesta: "Poiché anche Giovanni ha insegnato a pregare ai suoi discepoli". (1)
Essi vorrebbero essere un gruppo distinto, riconoscibile da gesti e formule che non costano! Non conoscono ancora il loro Maestro, che si distingue dagli altri maestri per il fatto che egli si dona, si offre, fino alla morte!
Gesù risponde alla domanda dei suoi discepoli. Egli con molta benevolenza accoglie la loro richiesta e "detta" una preghiera, che non è fatta per riconoscersi e per distinguersi! Si accorgeranno che non è una preghiera che da adito all'orgoglio spirituale e alle divisioni, bensì è una preghiera che trasforma il cuore di colui che prega, una preghiera che mette l'uomo davanti a Dio come membro di un corpo, mette i discepoli uniti davanti al Padre come fratelli coscienti d'essere a servizio di tutto il mondo.
Non sarà infatti un metodo diverso di pregare a farli riconoscere come discepoli di Gesù, ma la loro vita: "Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".(2)
La loro preghiera sarà quindi l'accoglienza intima di un atteggiamento che li rende "in pratica" fratelli. Se pregheranno così, i discepoli di Gesù diverranno 'uno' con lui, diverranno dono, offerta. Se pregheranno come Gesù, la loro vita sarà 'uno' con la sua!
I discepoli di Gesù diverranno capaci di essere fratelli, di morire gli uni per gli altri, di portare i pesi gli uni degli altri, di vivere senza interessi personali, senza ambizioni, senza idoli!
La preghiera di Gesù non è un momento distinto dagli altri momenti, ma esprime il vero senso di tutto il suo vivere, che è il rapporto col Padre, e, nello stesso tempo, lo alimenta.
Imparare a pregare da Gesù non significa quindi imparare a "fare" qualcosa, o a "dire" qualcosa, ma imparare a vivere un rapporto continuo, stabile e fedele col Padre: e questo trasforma tutta la vita!
PADRE,
abbi pietà di noi:
desideriamo pregarti col cuore del tuo Figlio!
Ti ringraziamo di avercelo dato
come Maestro del nostro rapporto con te.
1) Lc 11,1
2) Gv 13,35
B.
"Quando pregate dite: Padre..."
Gesù comincia il suo insegnamento facendo notare ai suoi che la loro preghiera è diversa da quella dei farisei e da quella dei pagani, non perché siano diverse le parole (anche queste sono diverse!), ma perché è diverso il cuore che prega, sono diversi i desideri, diverse sono le prospettive della vita, diversa è la conoscenza di Dio e la conoscenza di se stessi, diversi sono gli interessi che muovono i sentimenti e i pensieri.
La preghiera dei farisei è impregnata di ambizione e di orgoglio. Sono contenti di se stessi, del proprio pregare e del proprio agire. La loro preghiera viene fatta e vissuta per attirare la stima degli uomini. I farisei credono d'essere i migliori tra gli uomini, di essere quelli che non peccano, quelli che osservano la Legge, quelli che perciò 'meritano' la stima di Dio! Essi ritengono, dato che sono ligi alle norme, di essere già in possesso del Regno dei cieli. Ritengono di non aver bisogno di misericordia, perché non sono peccatori come gli altri! La loro preghiera perciò risente di questa maniera di pensare. In che modo?
Essi non hanno nulla da ascoltare da Dio, perché già sanno tutto! Non hanno da chiedere clemenza e perdono, perché sono osservanti. Non si pongono davanti a Lui insieme con gli altri per non diventare immondi come loro.
Non fate e non pregate come loro!
Gesù raccomanda ai suoi discepoli di non pregare così perché questa non è preghiera. Questo modo di pregare non incontra Dio, che è amore.
Questo pregare è una strumentalizzazione del rapporto con Dio per far bella figura davanti agli uomini. (1)
I discepoli di Gesù non dovranno prendere come modello nemmeno la preghiera dei pagani.
Per quanto essi preghino e per quanto moltiplichino le loro parole nel pregare, i pagani non devono suscitare invidia ai cristiani. I pagani pregano, eccome! Ma la loro preghiera in fin dei conti è tempo ed energia sprecati. "Non sprecate parole come i pagani!" Gesù è così chiaro e sicuro. Come mai?
E' semplice. I pagani non cercano "il volto di Dio" (2), ma cercano solo di ottenere qualcosa da lui. Non amano Dio, a loro interessa 'qualcosa'! Adoperano molte parole (3) perché vogliono essere ascoltati, essere esauditi. Credono di sapere cosa manca alla propria esistenza, alla propria felicità e fanno di tutto per ottenerla da quel "dio" che secondo loro può tutto! Chiedendo, cercano di convincerlo ad intervenire. Se non bastano le parole a renderlo bendisposto gli offrono persino sacrifici.
Il profeta Elia diceva così ai profeti pagani del dio Baal: "Gridate con voce più alta, perché certo egli è un dio. Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato si sveglierà." (4)
Gli stessi filosofi dell'antichità, sia gli stoici che gli epicurei, sono giunti a concludere che pregare è inutile. E non hanno tutti i torti: una preghiera intesa così è inutile, non lascia traccia nella vita, non migliora l'esistenza.
L'egoista, pregando così, rimane egoista. Il violento e il prepotente con questa preghiera rimangono oppressori. Il ladro e l'impuro rimangono tali. L'avaro rischia persino di diventare ancora più avaro.
La preghiera del pagano contiene una certa fiducia in Dio, ma si tratta di una fiducia interessata. Il cuore di chi prega rimane chiuso, ripiegato su di sé e sui propri "bisogni". Il pagano che prega per ottenere qualcosa da Dio non si ferma a considerare invece se Dio ha qualcosa da chiedere: non ascolta! E nemmeno si ferma a incontrare il suo sguardo per godere della luce del suo Volto!
Evidentemente Gesù ha una preghiera molto diversa da proporci!
Signore Gesù, insegnami a pregare! Donami una preghiera che mi aiuti a entrare nel cuore del Padre, che ama sempre!
Padre, ti amo, ti ascolto: parla al mio cuore perché voglio assomigliare a Te!
1) Mt 6,5
2) Sal 27,8
3) Mt 6,7
4) 1Re 18,27
C.
Gesù vuole che i suoi discepoli, mentre pregano, siano liberi da ogni preoccupazione. Egli sa che le preoccupazioni impediscono di incontrare veramente una persona nel suo intimo, perché tengono la mente e il cuore bloccati. Le preoccupazioni, anche le più semplici e immediate che possiamo avere, ci impediscono di 'vedere' il Volto di Dio, di incontrarlo, di amarlo perfettamente.
Prima ancora di insegnarci la preghiera, Gesù ci esorta ad escludere le preoccupazioni, o meglio, lo spirito di preoccupazione. Quel Dio davanti al quale ci poniamo nella preghiera è un padre! Egli sa ciò di cui possiamo aver bisogno. Egli conosce già tutte le nostre necessità, perché ci ama!
Io perciò posso lasciar sgorgare nel mio cuore la gioia di incontrarlo. Mi interesserò di Lui. Egli è già interessato di me.
Per questo escludo il mio "io" dalla preghiera, altrimenti non si aprono le porte del mio cuore al suo ingresso.
"Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate". Non serve quindi che io pensi alle mie necessità!
Proprio perché so che il mio Dio è mio Padre, non ho preoccupazioni, la mia preghiera diviene totalmente nuova: potrò mettermi in contemplazione e in ascolto e lo potrò fare con tutta libertà interiore. Non sarò 'preoccupato' che dal mio incontro con Dio nasca qualche vantaggio, mi giunga qualche novità, si accresca il mio patrimonio di denaro o di idee o di potenza o di capacità o di stima da parte degli uomini...
Il mio "io", se libero da se stesso, potrà protendersi a donarsi, ad amare, a godere la bellezza di Dio, ad ascoltare i suoi desideri e disporsi a realizzarli.
Abbiamo già notato che Gesù, ancor prima di iniziare la preghiera, non chiama Dio semplicemente 'dio' (questo è un nome generico che ognuno può riempire di un significato diverso). Egli lo chiama 'Padre': dagli evangelisti e dagli apostoli sappiamo che Gesù ha addirittura usato il termine aramaico che stava sulla bocca dei bambini verso il loro genitore: "abbà", come se noi dicessimo oggi 'papà' o 'papi'!
Con questo termine inizia la preghiera che Gesù vorrebbe fiorisse sulle labbra dei suoi discepoli. "Papà"!
Esprimersi in questo modo è diventare bambino! (1)
Il cristiano che incomincia a pregare si fa piccolo. E diventa tenero, dolce come un bambino.
Così fa Gesù, che sa di essere conosciuto dal Padre. Un papà conosce il figlio prima ancora che nel figlio nasca la coscienza di se stesso, prima che egli si interroghi sul significato della propria esistenza. Questo significato è dentro il segreto dell'amore del papà! Gesù non cerca mai di conoscere se stesso perché a lui basta incontrare il Padre, essere con lui nel rapporto di figlio.
Quando si sviluppa e si manifesta questo rapporto c'è gioia di esistere e tutto acquista un significato grande e bello! Chiamando Dio "papà" l'uomo realizza se stesso pienamente, perché accetta d'essere amato da Colui che continuamente dona vita!
Signore Gesù, grazie che mi fai conoscere il vero volto di Dio: Tu me lo fai amare con tenerezza come mio papà! Mi dai certezza d'essere amato, seguito, protetto, atteso!
Ti ringrazio.
E ringrazio te, Papà, d'essere davvero mio Papà! Mi affido a te, mi fido di te, vengo a te con Gesù, tuo vero figlio!
1) Mt 18,3
D.
Prima di introdurre i discepoli nella propria preghiera, Gesù dona loro la propria conoscenza di Dio: Egli lo rivela come un "papà".
La stessa preghiera può avere significati e effetti diversi se la conoscenza di Dio è diversa. Gesù cerca perciò di rivelare ai discepoli il nome del Padre,(1) di far loro comprendere che sono già amati e voluti da Dio. Egli li rende convinti, con parole e opere, che Dio è amico degli uomini, che non vuole essere loro padrone, che non ha interessi da difendere, ma solo amore da riversare nei loro cuori.(2)
Gli uomini fanno molta fatica ad accettare questa 'lezione' di Gesù, perché essi hanno radicato nel cuore il concetto di un Dio geloso, rivendicatore, punitore, un Dio che non dimentica i peccati dell'uomo. Da quando Adamo s'è lasciato andare al sospetto su Dio è entrata nell'umanità questa diffidenza. E ogni peccato che l'uomo commette risveglia e alimenta questa idea... sbagliata.
Ci vuole tutta la sapienza e la pazienza di Gesù, la sua umiliazione nel Giordano, la sua opera a favore dell'uomo indemoniato e oppresso dalle malattie - viste come castigo di Dio per il peccato -, la sua morte e la sua Risurrezione, e infine il dono del suo Spirito perché l'uomo veda realmente e sempre Dio come un vero Padre!
Quando io accetto che Dio sia mio "papà", allora posso entrare nel modo di pregare di Gesù. Solo allora capisco la preghiera di Gesù, e la trovo completa! Allora quella preghiera diventa la strada o la scala o la porta che mi introduce nella vita di Dio, cioè nel suo cuore. Allora la preghiera diventa pure impercettibile, ma sicura via che trasforma la mia esistenza. Allora la preghiera non è più inutile, tempo perso, energia sprecata.
Quando vedo Dio come abbà/papà mi accorgo che non sono io a raggiungerlo, ma che è Lui che raggiunge me; non sono io ad amarlo, ma è Lui che ama me.(3)
Quando lo vedo 'papà', non lo penso più distante, irraggiungibile; non mi preoccupo più di dirgli qualcosa, ma piuttosto comincio a godere di Lui. Se lo vedo 'papà' sono contento di sentire la sua voce, di udire la sua parola.
Egli mi potrà semplicemente chiamare per nome, o mi potrà dire una parola che mi rassicura e mi consola, o mi potrà pure chiedere di fare qualche fatica...; è papà, lo ascolto con attenzione, gli obbedisco con gioia. Da Lui continua a scaturire la mia vita.
Sento vera la frase del Salmo (4): "Se Tu non mi parli io sono come colui che scende nella fossa!". La parola del mio Dio è opera di un Padre, è vita che sgorga da Lui e mi raggiunge e mi tiene in piedi. Con la parola "papà" Gesù ci introduce nella conoscenza e nel rapporto che Egli ha con Dio!
Quale differenza con la conoscenza di Dio che ci vorrebbero trasmettere i cosiddetti filosofi! Essi costruiscono l'immagine di Dio - o dipingono un Volto di Dio - con le idee scaturite dalle esperienze dell'uomo. Queste esperienze sono però tutte segnate, oltre che dal limite, anche dal difetto e dal peccato di egoismo e di materialismo. Il Volto di Dio che ne nasce non dona gioia, non porta alla confidenza e all'umiltà, ma solo a farsi grandi e a cercar la propria gloria.
Gesù mi fa godere d'esser amato, e di esser amato da un Padre che vuol essere papà per me. Pregando con Gesù mi trovo davanti a Colui che vuole la mia esistenza e la mia felicità.
Signore Gesù, voglio imparare da Te a contemplare il Padre, ad amarlo, ad ascoltarlo: Tu solo mi metti con lui in vero rapporto sì che lo possa incontrare veramente! Tu apri i miei orecchi perché io possa ascoltare le parole che il Padre mi rivolge!
1) Gv 14,7; 8,19; 17,6.26
2) Lc 15,11ss
3) 1Gv 4,10
4) 28,1
E.
La prima parola della Preghiera di Gesù, quella preghiera che deve diventare la mia, non è un titolo onorifico, non è un aggettivo per quanto vero e bello possa essere.
La prima parola è uno strappo al mio cuore e alla mia mente, è un'apertura improvvisa per un nuovo rapporto d'amore.
"Papà!"
Chi non ama, o chi ama se stesso soltanto o la propria gloria tra gli uomini, troverà altre parole per rivolgersi a Dio.
Questa parola è vera quando è pronunciata con amore. Chi non ama non riesce a dirla facendola propria.
Dire 'papà' provoca un crollo di quell'orgoglio e individualismo innato o di quello costruito in noi dalla nostra cultura o dalla coscienza che ci siamo fatti di noi stessi.
Il termine 'papà' non è un nome qualunque di persona estranea, ma è un'apertura, un riconoscere la propria dipendenza e poi anche riconoscenza.
Dire 'papà' a Dio è come dirgli: "Io so di esistere perché tu lo vuoi, so che tu mi ami, la mia vita è frutto del tuo amore; io c'entro con te, senza di te non vivo!"
Dirgli 'papà' è mettersi in pace: qualunque cosa mi spaventi o mi opprima, con questa parola nel cuore ritrovo sicurezza e coraggio. Succede a me ciò che avviene al bambino che dà la mano al papà o gli salta in braccio: non ha più paura!
Dire a Dio 'papà' è ritrovare il proprio posto, la propria identità più profonda e più duratura; io non esisto come qualcuno che dev'esser qualcosa, io ci sono come uno che è amato e che può rispondere all'amore.
Io sono 'qualcuno' quando rispondo a colui che mi ama da sempre; la mia grandezza è la grandezza di Colui che mi ama e al quale io mi offro!
Se non rispondessi all'amore del Padre sarei proprio un nulla, un vuoto!
Quando dico, alzando gli occhi al cielo, 'papà', rompo l'orgoglio del mio individualismo, del mio sogno di essere grande. In quel momento si apre in me la possibilità di ricevere i misteri di Dio, che sono misteri d'amore, di umiltà, di semplicità e di mitezza. E' solo ai piccoli che Dio rivela il suo essere, è coi piccoli che Egli entra in comunione. (1)
Quando dico 'papà' a Dio, scompaiono tutti i miei interessi terreni, i miei castelli, i miei desideri. E' come dicessi: mostrami i tuoi desideri, li voglio realizzare anch'io, voglio collaborare con te, fare quel che tu fai. Anche il bambino è contento di fare ciò che fa la mamma, e di aiutare il papà nei suoi lavori da grande! Dio non è più un concorrente, ma il primo confidente; non è colui che mi limita, ma colui che mi apre a possibilità nuove, le sue!
Quando dico 'papà' a Dio, il mio amore per lui non rimane più nascosto!
Questa prima parola della preghiera dei discepoli di Gesù porta all'esterno l'affetto che c'è nel cuore: è una parola che li compromette! Chi li ascolta si accorge che essi amano, che il loro cuore è occupato, che essi hanno coscienza d'esser amati, che sono soddisfatti.
Questa prima parola li rende testimoni della salvezza! Essi non si accorgono, eppure l'amore impiegato nel pronunciare queste due sillabe 'abbà', 'papà', li rende testimoni di colui che non si vede; chi li ascolta comincia a 'vedere' Dio, a convincersi dell'esistenza di Uno che ci ama!
Padre buono e grande, ti voglio anch'io chiamare 'papà'!
Tu sei mio padre, tu mi ami, tu stesso hai voluto che io esistessi, che io venissi alla luce, che io fossi presente in questo mondo creato dalla tua bontà per mezzo del Verbo, tuo Figlio!
Tu ti prendi cura di me, ed io mi presento a te per fare ciò che tu fai, per ascoltare la tua voce e correre ad ogni tuo cenno, perché è il cenno di chi ama!
Papà!
1) Mt 11,25-27
F.
Gesù ha pregato in questo modo.
Egli inizia tutte le sue preghiere con l'invocazione: 'Padre', "papà"!(1) Egli mette anche sulle nostre labbra la sua parola, perché vuole che nel nostro cuore entri il suo amore.
Donandoci questa parola egli anzitutto ci mette nella condizione di comprometterci.
Chi prega in questo modo non può rimanere freddo, normale, uguale a sempre. Si nota, non che egli è capace di formulare belle parole, ma che egli è in relazione d'amore con l'Amore, che è bambino, figlio!
In tal modo siamo appunto 'portati' ad accettare in noi spirito da figli.
Noi siamo tentati di rimanere di fronte a Dio con uno spirito di soggezione, come servi o schiavi di fronte al padrone, col volto abbassato e gli occhi umiliati. Gesù ci vuol rialzare, ci vuol rendere coscienti della nostra grande dignità e del grande rispetto che Dio stesso ha verso di noi, verso la nostra libertà e la nostra persona.
Dicendo 'Padre' noi accettiamo nella nostra vita lo spirito di figli, lo Spirito Santo: è Lui che grida nei nostri cuori: "abbà". E' lo Spirito Santo stesso, Spirito di Dio, che ci solleva alla confidenza, alla fiducia nel Padre e a godere della fiducia che Egli dà a noi come a figli! Non esiste più la paura di Dio, ma comincia la gioia d'essere più che uomini, "d'essere appunto figli di Dio"! (2)
La preghiera che Gesù ci "insegna" è perciò un nuovo atteggiamento, mai presente sinora nel cuore umano!
Da quando Adamo ha accettato di dubitare dell'amore di Dio, egli non è più stato capace di chiamarlo Padre.
Adamo, e con lui e come lui ogni uomo dopo la prima ribellione della vita, s'è allontanato dalla confidenza e dalla fiducia.
Unendoci ora a Gesù - nuovo Adamo - per dire 'Padre' ritorniamo alla verità piena, torniamo alla luce, per vedere Dio come realmente è, uno che ci ama e ci stima! Non guardiamo più un "dio", ma un "papà"!
Il termine "abbà" non è un 'nome', è di più! Pronunciando questa parola entriamo in un rapporto, in un movimento d'amore reciproco.
Pronunciare un nome divino avrebbe per noi il significato di possedere, di entrare in un rapporto quasi di uguaglianza, se non di superiorità, di conoscenza che possiede qualcosa o tutto di Dio; ne conseguirebbe pure un rapporto di orgoglio o di giudizio verso gli altri uomini che 'non conoscono' lo stesso nome. Per questo il nome di Dio rimane nascosto all'uomo e l'uomo percepisce che non lo potrebbe pronunciare impunemente.
Anzi, Dio stesso non ha bisogno di un nome per essere identificato, essendo Egli l'unico!
L'uomo tentato dagli idoli ha bisogno di distinguere il Dio vivente dagli idoli muti!
L'uomo che presume di poter pronunciare il nome di Dio entra nelle dimensioni della magia e si costruisce un mondo di poteri e di dominio sugli altri uomini: esce dall'amore, s'allontana dal Dio vero!
Dire "abbà" invece è manifestare la propria appartenenza e dipendenza, è come dire: "So di chi sono, so di non essere solo, di non essere orfano, so di essere accolto, amato! So che qualcuno - Dio stesso - s'è fatto responsabile della mia vita; è Lui che le dà il significato e il valore. Io sono sicuro oggi e domani, qualunque cosa accada, perché ci sei Tu! Mi fido di te!"
Prova, quando preghi, a ripetere anche tu "papà"!
E quando parli di Dio con qualcuno usa il termine 'Padre'.
E se preghi insieme a qualche amico, o insieme alla tua fidanzata, o insieme ai figli e alla moglie, dì a voce alta non solo "Signore, Dio...", ma anche "Padre" e "papà": t'accorgerai d'esser testimone di Dio, e avrai più umiltà e sicurezza, e potrà nascere un rapporto più semplice e più serio con le persone con cui stai pregando!
"Papà", eccomi, sono tuo figlio. Ti ringrazio di essere mio padre, di essere tu il mio Dio. Manifestami le tue intenzioni e i tuoi modi di fare, perché voglio collaborare con te ai tuoi progetti!
Eccomi!
"Sono tranquillo e sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l'anima mia." (3)
1) Mt 11,25-27; Mc 14,36; Gv 11,41; 12,28; 17,1.5.11.21.24.25
2) Rom 8,15; Gal 4,6-7
3) Sal 131,2
2. NOSTRO
A.
Quando Gesù prega a voce alta dice semplicemente 'Padre', o 'abbà'. Quand'egli parla di Dio ai suoi discepoli dice "Padre vostro". (1)
Egli fa una distinzione: per Lui Dio è Padre in modo diverso che per noi. Egli è il 'Verbo' eterno che s'è fatto carne, è l'Unigenito di Dio (2). Per lui il termine figlio di Dio ha un significato pieno, completo, perfetto: la sua vita è tutta 'generata' da Dio, che quindi è per lui 'Padre' nel senso più profondo e vero. Noi siamo 'generati nel peccato', in noi c'è qualcosa che non è amore, che non può provenire da Dio! Nella nostra vita ci sono tendenze che non hanno origine dall'Amore del Padre. Non siamo del tutto "figli" di Dio; non tutto di noi è generato da Dio!
E' lui stesso che - nonostante l'impurità della nostra vita - ci sceglie, ci lava e purifica, ci unisce al proprio Figlio nutrendoci del suo Sangue, e da quel momento ci considera e accoglie come figli. La nostra figliolanza a Dio è quella di Gesù, è la partecipazione a quella del Figlio. S.Giovanni continua a ripeterlo: "A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare (di essere) figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome" (3). "Chiunque crede che Gesù è il Cristo è nato da Dio". (4) "Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita". (5)
Anche S.Paolo annuncia il suo 'vangelo', (buona notizia), così: "In lui ci ha scelti... predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo". (6) Siamo figli 'adottivi', scelti benché indegni. Con questa parola l'apostolo fa risaltare ancora più la gratuità dell'amore del Padre!
Gesù non ci lascia solo intuire, ma afferma chiaramente questa distinzione quando mette in bocca a Maria di Magdala l'annuncio per i suoi "fratelli": "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"! (7)
Il Padre è Padre per tutti, ma in maniera diversa per Gesù e per noi.
I discepoli che pregheranno diranno però "Padre nostro", papà "di noi"!
Il cristiano, quand'è giunto a credere in Gesù, non si è trovato solo: si è trovato immediatamente dentro una famiglia. Divenire figlio di Dio in Gesù e trovarsi accanto dei fratelli è stato un unico atto, un'unica esperienza.
Il cristiano che ha ricevuto il dono della figliolanza ha pure nel contempo ricevuto il dono della fratellanza. Divenire figlio di Dio è stato contemporaneo al divenire fratello di coloro che sono già in Gesù.
Quando S.Paolo ha cominciato a credere in Gesù e l'ha accolto come Figlio di Dio si è scoperto fratello di molti, di quelli che avevano paura di lui. Sono stati essi a farlo passare alla vita nuova (8), alla vita di figlio di Dio!
Se il cristiano si rivolge al Padre lo può fare solo come membro del Corpo di Cristo! Anche se dicesse 'Padre mio', lo direbbe come espressione del Corpo di cui fa parte! Non esiste un 'figlio di Dio' isolato. Se uno è figlio di Dio lo è perché inserito nel Corpo di Cristo, tralcio dell'unica vite, fratello dell'unica famiglia fondata su Gesù!
Io, figlio di Dio, ho bisogno della presenza degli altri figli di Dio per esserlo: se non sono unito al Corpo di Cristo non sono più figlio di Dio! E' lui stesso, il Padre, il viticoltore che pota e che taglia i tralci che non ricevono più la linfa della Vite. (9)
Persino i carismi che - come figlio di Dio - ricevo, hanno bisogno degli altri figli di Dio, perché devono essere esercitati per edificare l'unità dell'edificio spirituale, della Chiesa, altrimenti si snaturano.
Padre nostro!
Papà di noi che crediamo in Gesù, di noi che formiamo la tua Chiesa, Corpo visibile del Tuo unigenito Figlio!
1) Mt 5,16.45; 6,1.8.14.26.; 7,11
2) Gv 1, 2.14.18
3) Gv 1,12
4) 1Gv 5,1
5) 1Gv 5,12
6) Ef 1,5
7) Gv 20,17
8) At 9,19
9) Gv 15,1
2.B
Padre 'di noi', che siamo discepoli del tuo Figlio, che formiamo un solo corpo con lui dal momento del nostro Battesimo, che in lui siamo rinati! Da te viene la vita che riceviamo in Gesù!
Ci presentiamo a te in unità, come un solo Corpo, una sola Famiglia, un solo essere con Gesù. Siamo uniti nel tuo figlio, siamo tua chiesa. Ci lega la forza del tuo Spirito, Spirito di Gesù tuo Figlio, che ci fa obbedienti e sottomessi gli uni agli altri. Ci unisce l'amore per il tuo Unigenito, ci unisce lui stesso, mentre ci tiene uniti a sè.
Padre nostro!
Questa seconda parola della preghiera, 'nostro', ci rende coscienti della preziosità e della bellezza e necessità della Chiesa. Nella chiesa possiamo vivere l'unità e così sperimentare la Paternità di Dio.
Nella divisione sperimenteremmo la 'paternità' del divisore, il diavolo, con dolorose conseguenze di sofferenza e di oppressione. Dal suo dominio siamo stati strappati da Gesù, che ci ha trasferiti nel suo Regno per essere un solo Corpo. Gesù, accettando la morte dalle mani del Padre, ha vinto il maligno che voleva fare della morte l'ultima e definitiva occasione di ribellione dell'uomo a Dio. Gesù invece ne ha fatto l'occasione del definitivo dono di sè, dell'atto d'amore più grande e più puro! Ormai siamo con lui un solo Corpo offerto al Padre.
Siamo contenti d'essere 'chiesa'! Io sono fiero di esserne membro insieme a tutti quelli che hanno Gesù come Signore.
Nella parola 'nostro' c'è questa consapevolezza e questa gioia!
Padre 'di noi', di noi che siamo edificio spirituale, l'edificio nel quale tu accogli gli uomini attorno al tuo Figlio per amarli!
Padre di noi, che siamo la manifestazione del tuo amore concreto, che nell'unità riveliamo al mondo la tua intenzione di unire tutti nel vincolo della pace!
'Padre nostro'!
Tutti insieme contempliamo il Padre, lo amiamo tutti uniti. Non bastano i miei occhi per vederlo, lo ammiro con gli occhi dei fratelli, degli altri amici di Gesù. Non basta il mio cuore per amarlo, lo amo anche col cuore di tutti gli altri cristiani! Non basta la mia preghiera, lo adoro e lo esalto anche con la voce di tutta la Chiesa!
Padre nostro!
Non sono nemmeno capace di pregare: ho bisogno continuo di imparare: "insegnaci a pregare"!
Insegnaci a pregare come tuo Corpo, come tua Chiesa.
Noi "nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede... per i credenti secondo il disegno di Dio". (1)
Noi cristiani siamo coloro che non sanno pregare! dobbiamo continuamente imparare. Impariamo dallo Spirito di figli che Gesù ci trasmette! E lo Spirito non ci suggerisce formule, parole o riti, ma ci mette in atteggiamento di figli, di fratelli che si tengono per mano e si aiutano gli uni gli altri ad alzare lo sguardo con fiducia, con amore, con abbandono:
Padre nostro!
Il cuore si riempie di gemiti inesprimibili, di sentimenti che non trovano espressione con le parole. Gioia, comunione, fiducia reciproca, apertura di cuore, festa: tutto è contenuto nella grande esclamazione che le varie voci del Corpo di Cristo innalzano: "Padre nostro"!
1) Rom 8,26s
2. C
Fino a qualche tempo fa ero abituato a pregare questa parola - nostro - immaginandomi la folla sterminata e indistinta di tutti gli abitanti della terra. Pensavo: Dio è Padre di tutti allo stesso modo! Vedevo cristiani e buddisti, atei e musulmani, induisti e gnostici, satanisti e... indipendenti, tutti figli di Dio. Avrei criticato duramente chi si fosse azzardato a dirmi che quel 'nostro' si riferisce solo ai cristiani battezzati! Avrei risposto: ma allora nella preghiera siamo egoisti, pensiamo solo a noi stessi!
Ora invece mi pare di comprendere che nella nostra preghiera non deve mancare la chiarezza di come stanno le cose. Il Padre è Padre di Gesù! Egli è Padre di chi è tutt'uno con Gesù! Egli vuol esser Padre di chi ancora non gli è 'figlio', di chi ancora non gli appartiene con questa dipendenza vitale: egli vuol esser loro Padre, li tratta con l'amore di un papà, ma essi non lo possono ancora in verità chiamare Padre, nè in qualche modo lo vogliono! E' solo Gesù accolto nel cuore in pienezza che fa sgorgare il grido gioioso e fiducioso: abbà! papà!
Quel 'nostro' si riferisce a noi 'Chiesa'. E non è un intimismo sterile, anzi! La 'Chiesa' è opera di Dio nel mondo. Un'opera di Dio non può essere inutile!
Dio ha radunato attorno al Figlio e nel Figlio la comunità dei credenti come un suo dono al mondo, suo dono agli uomini di tutto il mondo e di tutti i tempi. Noi siamo Chiesa per il mondo, siamo l'espressione concreta dell'amore del Padre per tutti gli uomini. Per il mondo e nel mondo noi dobbiamo perciò essere 'Chiesa'! Perché l'amore del Padre possa giungere agli uomini noi "dobbiamo" essere chiesa, mantenere l'identità e la separazione (se così si può dire) della Chiesa come comunione di persone che si distinguono dalle altre.
Ci vedi orgoglio o superbia? Il pericolo può esserci.
Ma se consideri l'essere uniti nella Chiesa come obbedienza a Dio e come disponibilità a compiere la missione che ci viene affidata non c'è nè orgoglio nè superbia. Noi chiesa non saremmo veri missionari di Gesù e non saremmo missionari adeguati per il mondo se non vivessimo a fondo e radicalmente l'unità che ci è donata.
Di questa unità - che, dal momento che esiste, ci distingue dagli altri che non accolgono Gesù come Signore - dobbiamo avere piena coscienza! Come potremmo altrimenti viverla? Se non fosse chiara la nostra unità e identità di Chiesa, così come è chiara agli occhi del Padre, non saremmo testimoni di Gesù! La nostra unità stessa in Gesù è già salvezza e già testimonianza che Egli è colui che salva l'uomo dal suo egoismo - terribile nemico che divide.
Ci possiamo perciò presentare al Padre come unità, come Chiesa, come realtà chiara e distinta! Egli non può che goderne, perché vede che il suo disegno si sta realizzando. La nostra unità è realizzazione del "disegno" di Dio: i suoi "figli" sono finalmente fratelli. La nostra unità in Gesù è testimonianza dell'amore del Padre che ha inviato il figlio per trasmettere il suo Spirito ai cuori divisi degli uomini: la nostra unità è vita trinitaria, vita divina 'quasi' incarnata nei rapporti umani.
L'unità che viviamo come chiesa è la gioia di Dio!
Padre nostro!
Padre di noi, che siamo la tua soddisfazione, il tuo compiacimento!
D.
L'unità dei cristiani è il dono che il Padre continua a offrire al mondo. Quando siamo uniti tra noi perché Gesù è il nostro Signore, allora siamo noi stessi la concretezza dell'amore di Dio per tutti gli uomini.
"Siano uno come noi perché il mondo creda".(1)
Gesù ha chiesto questo al Padre come il dono più grande per il "mondo"!
Perché mai Gesù non ha chiesto al Padre suo la pace per il mondo? perché non gli ha chiesto il benessere e il progresso? perché non gli ha chiesto la capacità di dialogare tra culture diverse? perché non gli ha chiesto l'onestà degli uomini di governo o la libertà di autodeterminazione dei popoli?... Perché?
Gesù ha chiesto solo l'unità dei suoi discepoli, un'unità fatta di fiducia e di obbedienza com'è l'unità del Padre col Figlio e del Figlio col Padre. La vita di unità tra i cristiani inoltre non è considerata da Gesù come strumento per realizzare nel mondo la liberazione dalle ingiustizie, dalla fame, dalla guerra, ma è vista in funzione della fede in lui: "perché il mondo creda che tu mi hai mandato".
E' la fede in Gesù che trasforma l'uomo fin dalle radici e lo libera dai suoi mali e lo salva. E' la fede in Gesù che rende l'uomo capace di comunione con gli altri uomini. E' la fede in Gesù la vera vita dell'uomo.
Noi, cristiani, con l'unità che la fede in Gesù ci fa vivere, diventiamo i salvatori del mondo! La nostra unità è il dono di Dio all'uomo d'oggi, perché è quella realtà che permette agli uomini di qualunque cultura e di qualunque religione di accorgersi della presenza viva di Gesù Salvatore e di accogliere la sua umile opera di redenzione e liberazione dal peccato, come pure di accogliere il suo dono che rinnova la faccia della terra, lo Spirito Santo!
Sono perciò umilmente fiero d'essere membro della Chiesa. Non ne ho alcun merito, anzi, sono sempre trascinato dal mio egoismo a rovinare e offuscare e indebolirne l'unità. La misericordia del Padre però è così grande che - perdonando - ristabilisce e rafforza l'unità tra i cristiani.
Quell'aggettivo 'nostro' rivolto al Padre gli dà veramente gloria! Esso evidenzia pure la sua misericordia, che è uguale per noi e per il mondo. La sua misericordia che ristabilisce continuamente la nostra unità è al tempo stesso misericordia per il mondo, che può così arrivare alla fede in Gesù, suo Inviato!
La nostra unità è veramente preziosa agli occhi del Padre!
Noi cristiani siamo "importanti" perché siamo "uno", perché realizziamo il suo "disegno"! Noi siamo tentati di ritenere che sia importante il nostro amore per i poveri, la nostra attenzione agli 'ultimi', il nostro parlare di giustizia, il nostro accusare e pubblicare le oppressioni, il nostro far valere i diritti delle varie categorie di persone che teniamo divise per età o per occupazione; per il Padre invece è importante la nostra unità. Gesù chiede solo questo 'miracolo', l'essere 'uno' dei suoi!
Quando "la moltitudine dei credenti era un cuor solo e un'anima sola" (2) non esistevano più ingiustizie nè oppressioni, nè primi nè ultimi: esisteva lo Spirito Santo che illuminava tutti e attirava anche quelli di fuori con forza irresistibile verso Gesù e la sua Chiesa per lasciarsi 'salvare' e per poter dire insieme:
Padre nostro!
1) Gv 17,21.23
2) At 4,32
E.
La parola 'nostro' è la parola missionaria della preghiera di Gesù! Se sentiamo questo termine come l'unità della Chiesa in Gesù per il Padre, esso, invece di chiuderci, ci apre! Se lo intendiamo come espressione della folla anonima di tutto il mondo, esso ci lascia amorfi e indifferenti.
Noi siamo le membra del Corpo del tuo Figlio, di quel figlio che tu hai mandato per salvare il mondo dalla sua disgregazione e dal potere del Divisore che lo tiene già distante da te e in contraddizione con i suoi propri desideri migliori!
Noi siamo il dono del Padre al mondo: siamo il luogo dove, chi si lascia salvare, può aggregarsi, trovare comunione e spazio di vita, dove chi si unisce può trovare armonia in se stesso! Siamo il luogo dove Gesù è presente e operante: "dove due o tre sono riuniti nel mio Nome, là io sono"! (1)
Il Padre è Padre della nostra unità e in essa trova la sua gloria! E' nella nostra unità che si manifesta maggiormente la sua Paternità! Siamo il luogo dove il figlio Gesù continua la sua missione.
La Chiesa che vive unita e consapevole della propria unità è di fatto missionaria, e lo è non per il suo fare, ma semplicemente perché è unita.
La realtà dell'unità, che ci fa rivolgere al Padre col termine "nostro", è così preziosa che ci deve trovar pronti al martirio.
La disponibilità e la volontà a non rompere l'unità della Chiesa può giungere a renderci capaci di sopportare ingiustizie, torti, incomprensioni. Ci rende capaci persino di rinunciare a veder realizzati i nostri ideali più belli, anche quelli di una chiesa migliore.
Non è raro trovare dei santi che hanno dato questa lezione. Hanno sacrificato i loro ideali di perfezione della Chiesa pur di non incrinarne l'unità!
Mi viene alla mente Antonio Rosmini, ma ce ne sono molti altri nel passato e nel presente.
Il cristiano che dice "Padre nostro" forse non trova pagani che lo offendono e lo uccidono, ma può trovare altri cristiani che lo ingannano, lo derubano, gli fanno dei torti, gli rovinano il buon nome. Può trovare persino uomini rappresentativi della Chiesa che lo umiliano, lo mettono in discredito, gli fanno subire ingiustizie. Ecco il suo martirio, l'occasione della sua testimonianza a Gesù: egli non rompe l'unità, perché la chiesa unita è più importante di una chiesa 'perfetta'.
La chiesa unita è dono del Padre, la chiesa divisa è strumento del Maligno.
La chiesa unita può essere una realtà sulla terra, la chiesa perfetta è solo celeste.
Dicendo 'nostro' al Padre risveglio la consapevolezza della mia partecipazione alla Chiesa e del compito che Dio stesso le affida nel mondo.
Questa parola tiene desto lo spirito missionario del singolo fedele, che è nel mondo come figlio di Dio per portarvi il suo amore, e soprattutto quell'amore completo che è racchiuso nel Nome di Gesù. Questa parola mi dà la motivazione costante della mia ricerca di unità con gli altri cristiani superando gli ostacoli posti dai miei e dai loro difetti e peccati.
Padre nostro: tu ci vedi uniti saldamente al tuo Figlio e perciò anche tra noi.
Tu ci vedi così e perciò hai fiducia che il nostro essere nel mondo porterà frutto: una continua irradiazione della Luce e della gloria di Colui che tu hai mandato quando hai rivelato il tuo amore al mondo!
1) Mt 18,20
F.
Padre nostro!
E' l'esclamazione dei figli che contemplano Dio e non lo sentono distante, freddo, anonimo! E' un'esclamazione che risponde all'amore già ricevuto e già goduto in pienezza. E' una parola che crea un clima di famiglia: un'unica famiglia formata da Dio e dagli uomini, da Lui e da noi. Nasce un clima intimo, raccolto, profondo, vero.
In questo clima familiare il centro rimane Lui, Dio, il Padre!
E' molto viva la tendenza dell'uomo di porre al centro della vita, e perciò anche della sua preghiera, i problemi del momento.
Qui invece il centro è sempre il "Papà"! Gli occhi restano fissi su di lui, per contemplarlo, per coglierne i movimenti delle mani e degli occhi, per "spiare" dai più sottili e miti cenni i segni dei suoi più reconditi desideri.
Chi è istruito da Gesù nel pregare tiene al centro della sua attenzione il Padre.
Talora nella mia preghiera posso esser tentato di riandare al mondo coi suoi problemi scottanti e reali.
Talora posso essere addirittura tentato di cercare nella mia memoria immagini e notizie con cui occupare il tempo della preghiera, qualcosa da porre innanzi tra me e il Padre. Pongo un ostacolo tra me e lui ed egli non può illuminarmi, riversare in me il suo spirito, la sua vita. Egli desidera rendermi simile a Gesù, suo Figlio, e servirsi di me per portare luce al mondo.
Il centro dell'attenzione è il Padre: non solo della mia, ma della nostra, dell'attenzione della Chiesa! Se non lo fosse essa non porterebbe nessuna novità a quel mondo di cui si occupa, sarebbe sale senza sapore, cioè non sarebbe più se stessa!
Siamo figli, guardiamo sempre a Lui!
Se Egli ci trova così orientati decisamente al suo Volto e al suo Cuore potrà adoperarci 'a modo suo' per quel mondo che Egli "ha tanto amato"!
Dio si è potuto servire di Giuseppe per il bene dei suoi fratelli che l'avevano venduto e per il bene di tutto il popolo egiziano che l'aveva alternativamente onorato e perseguitato: lo ha potuto fare semplicemente perché sempre Giuseppe è rimasto orientato a Lui!
E allo stesso modo tutti quelli che hanno mantenuto il cuore in Dio sono divenuti benedizione per tutto il popolo.
Coloro che hanno voluto mettere al centro del cuore i problemi del mondo si sono perduti.
Gesù stesso non ha voluto mettere al centro il governo dei regni della terra, ma la sottomissione al Padre: solo in questo modo ha vinto il nemico dell'uomo.(1)
Non siamo noi a dar vita al mondo. Il Padre è colui da cui sgorga la vita!
Quando e se vogliamo essere utili al mondo rimaniamo rivolti al Padre, uniti intimamente al suo Figlio come una famiglia che non sopporta divisione tra i suoi membri: è disposto a rinunciare all'eredità piuttosto che rinunciare all'armonia!
Noi guardiamo te, Padre, e tu guardi noi: i nostri occhi s'incontrano col tuo Amore e ne rimaniamo avvinti. Tu ci vedi come vedi il tuo unico Figlio, amato e prediletto e perciò mandato a prendere su di sè il peccato del mondo.
Noi contempliamo te come l'Amore che ci fa godere d'essere vivi e presenti e disponibili a portare a te tutto il mondo perché sia avvolto con noi dalla tua Luce intramontabile.
1) Mt 4,8-11
CHE SEI NEI CIELI
A.
In principio Dio creò il cielo e la terra. (1) Egli ha pensato alla nostra dimora e alla sua! Esse sono dimore distinte, ma non necessariamente distanti.
Il cielo è diverso dalla terra. Questa si caratterizza dal fatto che noi la conosciamo, la scrutiamo, ce ne serviamo, la abbelliamo, la desideriamo, la abitiamo e la roviniamo.
I cieli invece non li conosciamo: restano fuori dalle nostre mani.
Sono parte della creazione di Dio. Egli li ha voluti insieme alla terra, contemporaneamente. Sono anch'essi "opera delle tue dita" (2), oggetto delle cure più delicate del Padre. Sia i cieli che passano sia quelli che verranno, sono opera di Dio (3). Essi sono testimoni della gloria di Dio insieme con le altre sue meraviglie e la raccontano agli uomini (4).
Egli ha nascosto molto ai nostri occhi, ma vede ciò che noi non vediamo.
Cieli e terra sono due realtà che si contrappongono, e si completano.
La terra è abitazione dell'uomo, mentre i cieli sono l'abitazione di Dio: là Egli è... nascosto! Nei cieli apre le sue finestre per scrutare gli uomini e cercare quelli che lo amano! (5)
I cieli, essendo fuori della portata delle nostre mani e superando le nostre capacità di visione e comprensione, sono visti da noi come il simbolo che esprime l'inaccessibilità e la santità irraggiungibile di Dio, del nostro Padre. Noi non lo vediamo, mentre egli ci vede sempre!
Perché il nostro Padre si nasconde? Non vuol esser raggiunto? Eppure egli ci raggiunge in ogni momento col suo amore! Noi lo cerchiamo, perché lo vorremmo "vedere", ed egli si nasconde e, così, nasconde anche il suo amore!
Noi col profeta Isaia (6) chiediamo a Dio di squarciare i cieli e scendere! I "cieli" per lui non creano problema, mentre per noi sono come una barriera che ci impediscono di "vederlo", di riconoscerne cioè la presenza e di goderne l'amore. Siamo sempre impauriti dall'opera del nostro nemico che devasta la terra e i rapporti fraterni degli uomini e dei popoli. La presenza di questo nemico ci impedisce di godere della terra come opera del Padre e di usarla per amare. Non siamo contenti di essa, proprio perché in essa si possono nascondere insidie e tranelli. Desideriamo e chiediamo lo squarcio dei cieli, perché Dio faccia della terra sua dimora, suo 'cielo' dove non possa posarsi il piede devastatore del nemico.
La nostra preghiera viene esaudita.
Il Padre ode il grido del suo popolo e apre i cieli. Non li apre però a a caso.
I cieli si aprono sopra Gesù mentr'egli si addossa i peccati del mondo. Gesù esce dall'acqua del Giordano carico dei peccati degli uomini e i cieli si aprono. Il Padre non resiste più, non riesce più a rimanere distante e sconosciuto e nascosto agli uomini. E' tolto dalle loro spalle il peccato e viene sollevato da Gesù sulle proprie spalle innocenti; il peccato è accolto dall'Amore del Figlio; è questo il momento in cui il Padre apre i cieli: ora gli uomini possono vedere il suo amore, il suo amore di papà. Da quei cieli esce la voce e scende lo Spirito. I cieli rimangono ancora misteriosi, ma riversano sulla terra i loro tesori: la voce carica d'amore del Padre e il suo Spirito che riempirà la terra e renderà presente su di essa tutto l'amore di Dio.
E' una novità che si ripete ogni volta che un figlio di Dio invece di dire: "la colpa è tua", dice: "la colpa è mia", e partecipa in tal modo all'opera del Figlio che toglie il peccato del mondo. Anche allora un cielo si apre e lascia vedere l'amore più puro, l'amore divino!
1) Gen 1,1
2) Sal 8
3) Apoc 21,1; 2Pt 3,3
4) Sal 19
5) Sal 53,3
6) Is 63,19
B.
I cieli sono stati aperti su Gesù. La terra non soffre più la disperazione dell'abbandono, non è più in balìa di se stessa, non è più sotto il dominio del peccato. La terra ospita la luce nuova, una nuova aria, una nuova speranza: i cieli hanno riversato l'amore che perdona, dai cieli è uscito quell'amore che sembrava non esistesse e non fosse possibile. Dai cieli ora fluisce novità continua: essi rimangono sempre cieli, sempre insondabili per la mente dell'uomo; ma da essi viene la pienezza nel cuore dell'uomo e la pace nei rapporti tra gli uomini.
Ora questo cielo è il nostro cielo. Esso rimane sempre aperto là dove s'è squarciato quel giorno! Esso rimane aperto sul Figlio dell'Uomo, su Gesù. I suoi discepoli possono vedere gli angeli salire e scendere; i messaggeri di Dio portano al Padre ciò che avviene sulla terra e portano sulla terra la continua notizia dell'amore fedele del Padre!
I cieli sono aperti su Gesù,(1) Egli è la 'scala' che li tiene uniti alla terra, e i discepoli sono i suoi testimoni.
Ci sono e ci saranno ancora uomini che gridano: "Squarcia i cieli e scendi!", ma smetteranno di gridare, soddisfatti e felici, quando presteranno ascolto ai discepoli di Gesù e su di lui vedranno il cielo aperto. Anche quello più buio lascia uscire una luce sfolgorante e parole che nessuno riesce a ripetere!
In quel cielo ora risiede Gesù stesso, il Signore. Come sommo sacerdote egli continua a celebrare il sacrificio per noi col suo sangue (2). Così i cieli ci diventano familiari, pur conservando la loro misteriosità! Risuonano di lodi e inni e canti e grida d'amore di nuvole di testimoni dell'amore del Padre (3): desideriamo abitarvi e ci sono già promessi: anche noi vi potremo 'sedere' (4) come in casa nostra. E' la dimora del 'nostro Padre'!
E anche noi, come figli che godono la fiducia del loro papà, possiamo dal nostro 'trono regale', lasciar fluire sulla terra, ancora piena di ombre, l'amore che perdona: anche noi apriamo qualche cielo oscuro davanti al cuore e allo sguardo incredulo di chi crede d'averci offesi e di non poter più trovare pace, quando doniamo loro il perdono.
I Cieli sono aperti, ma solo su Gesù!
Se perdiamo di vista Gesù ci ritroviamo sotto un cielo chiuso, non vediamo più nè sentiamo più l'amore del Padre. Per godere l'apertura del cielo dobbiamo guardare sempre Gesù, tenere lo sguardo fisso su di lui mentre porta il peccato del mondo: mentre sale sul Calvario accogliendo la croce.
I cieli infatti sono quella dimensione della creazione che sfugge al nostro controllo e alla nostra comprensione. E' là che l'amore del Padre rimane nascosto. quante cose e quanti fatti sono per noi misteriosi, senza spiegazione!
Quante cose e avvenimenti formano un tutt'uno con la nostra vita e con quanto ci circonda e noi non li comprendiamo, anzi, li sentiamo come disgrazie, come stanze buie, tenebrose, impossibili, e ci ribelliamo. Noi non riusciamo a vedere nulla che ci appartenga dentro di essi, non riusciamo a vedervi dentro amore. La paternità di Dio rimane nascosta da quei fatti: malattie, incidenti, morti, ingiustizie, prepotenze, violenze... Queste realtà sono come un cielo impenetrabile: noi non le controlliamo nè le comprendiamo.
Queste realtà sono un cielo che vela e nasconde il volto di Dio.
Può egli essere nascosto là dentro?
Può esserci dentro il suo amore?
Quanti 'cieli' rimangono chiusi, conservando il loro segreto!
Eppure, se guardo Gesù che sale dal Giordano coi peccati del mondo sulle proprie spalle, e se lo contemplo mentre si offre a salire sulla Croce, allora i 'cieli' che mi circondano si aprono, e io ricomincio a vedere un Padre che mi ama e ci ama.
1) Gv 1,51
2) Ebr 9,11-24
3) Ebr 12,1; Ap 7,9ss
4) Ef 1,20
C.
Il Padre che è nei cieli è e rimane 'papà' benché dimori in luoghi a noi sconosciuti e nuovi. Ed Egli rimane padre 'nostro': mi raggiunge col suo amore attraverso i fratelli, e raggiunge i miei fratelli anche attraverso me. Quello che per me è 'cielo' incomprensibile può diventare cielo aperto per qualche mio fratello, e viceversa. Il Padre è nostro, e noi lo contempliamo insieme e ci aiutiamo a vedere il suo amore, anche là dove egli lo nasconde.
Ricordo d'aver letto - non so più in quale libro - un episodio avvenuto in uno dei numerosi campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Un gruppo di donne è condannato alla camera a gas. Una di esse piange disperata e grida. Le si avvicina Suor Maria, una suora ortodossa: ella prova a convincerla con belle parole che oltre la morte il Padre ci attende, che la morte è il momento di passaggio per una nuova vita.
Ma quella donna grida ancor più forte la sua disperazione.
Allora Sr.Maria le dice: "Non credi? Guarda, ecco, vengo anch'io con te nella camera a gas." Quella donna smette di gridare, e il pianto di tutto il gruppo si trasforma in un canto meraviglioso.
Sr.Maria ha aiutato quel gruppo di donne a vedere l'amore del Padre persino là, nella morte, il luogo dove l'amore è maggiormente nascosto.
Non c'è fatto della vita che non porti in sè amore di Dio. S.Paolo lo ha affermato quando ha scritto: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio". (1) Dio redime persino il peccato perché esso diventi strumento di salvezza. Nella Liturgia pasquale la Chiesa canta "felix culpa" pensando che la colpa di Adamo ci permette di godere e scoprire il volto così misericordioso e dolce del Padre. Se non ci fosse stato il peccato non sapremmo quanto grande e buono è il nostro Dio!
Il nostro Padre è nei cieli! Egli nasconde il suo amore perché noi possiamo trovarlo dappertutto; così egli ci può amare di sorpresa, e ci può amare senza che ce ne accorgiamo!
Egli è nei cieli: rimane libero da ciò che succede sulla terra. Egli perciò non è costretto a reagire alle nostre azioni buone o cattive: le può sopportare tutte, può continuare ad amarci dopo le nostre risposte positive e anche dopo quelle negative.
Gesù dice che il Padre fa sorgere il suo sole sui buoni e sui malvagi. Lo può fare perché è nei cieli, e non si spaventa nè si sorprende della nostra incomprensione o del giudizio che noi formuliamo sul suo agire. Egli è superiore a tutto e sa che i nostri occhi sono offuscati e ingannati da ciò che brilla sulla terra.
Nei cieli il Padre può decidere la nostra correzione col silenzio o con l'intervento: e noi non comprendiamo nè l'uno nè l'altro.
Ogni azione di Dio è "misteriosa", comprensibile solo finché nei nostri occhi rimane vivo lo splendore della croce di Gesù.
Persino la nostra "missione" dentro il suo progetto viene decisa e compiuta 'nei cieli': solo dopo un lungo e silenzioso e sofferto amare noi ci accorgiamo che la missione pensata dal Padre per noi non consiste in ciò che si vede, nelle azioni che attirano l'attenzione o il grazie degli uomini, ma nell'amore a Gesù che vi abbiamo 'impastato', nascosto, macinato insieme!
L'amore di Dio non sta in ciò che noi comprendiamo della sua azione, perché è sempre un amore che viene dai cieli: un amore più grande, più puro, più lungimirante di quello che noi pensiamo d'aver capito. Siamo avvolti e travolti da un amore superiore: non ci resta che abbandonarci, e dire con sempre maggior decisione:
Padre nostro che sei nei cieli!
1) Rom 8,28
D.
"Padre nostro che sei nei cieli".
Il suo essere nei cieli ce lo rivela ancor più "papà".
Noi vorremmo talora averlo come padrone: in certe situazioni sarebbe più comodo..., ma egli - proprio perché sa nascondere l'amore - rimane sempre padre: può sopportare i nostri sbagli di responsabilità piuttosto che, togliendocela, privarci dell'amore che ci fa crescere.
Talvolta invece vorremmo averlo come 'servo' che ci ubbidisce, che tien conto delle nostre adulazioni o dei nostri goffi tentativi d'ingannarlo. Egli, tenendosi nascosto, può sfuggire facilmente a queste menzogne.
Egli rimane superiore nell'amore: nascosto sì, ma presente ovunque, come i cieli azzurri sono dappertutto e coprono tutte le nubi. Egli rimane nei cieli aperti: aperti sì, ma non "distrutti".
E' là che noi perciò lo cercheremo.
Egli ci manifesta il suo amore attraverso le realtà visibili, ma noi cerchiamo lui al di là di esse.
Egli ci dona di rallegrarci attraverso le sue creature e di donarci le sue consolazioni in vari modi graditi. Ma noi cerchiamo il suo amore anche dentro ciò che ci fa soffrire, dentro quei fatti personali o sociali che generalmente sono chiamati disgrazie!
Quando diciamo "Padre nostro che sei nei cieli" scompare perciò dal nostro cuore ogni lamentela e ogni brontolio. Non scompare il soffrire, ma sapendo che dentro di esso è celato l'amore del Padre come in un 'cielo', non lo rifiutiamo: piuttosto lo offriamo e cerchiamo luce per vedere quel volto che ci ama, che ci tratta da figli come tratta il Figlio.
"Nei cieli"!
Qui è entrato pure Gesù; anch'egli si è 'nascosto'! E "nei cieli" siamo destinati pure noi (1): "la nostra patria è nei cieli"!
Giungeremo anche noi a vivere fuori di ciò che è visibile e palpabile, comprensibile e afferrabile.
Quando accogliamo l'amore continuo del Padre e ci uniamo a Gesù diveniamo noi pure incomprensibili e inafferrabili. Non ci smuove più l'adulazione, nè la critica o l'offesa; i regali e le privazioni non ci condizionano più. Ci diranno: "hai la testa tra le nuvole", oppure: "non hai i piedi per terra", oppure: "non ami più nessuno"! Noi diremo: "siamo seduti nei cieli", siamo "in patria".
Ma se qualcuno di coloro cui siamo divenuti incomprensibili osserverà con amore Gesù, allora comincerà a vedere l'amore che è nella nostra vita. I cieli sono aperti solo sopra Gesù!
Dato che siamo destinati ai cieli e là possiamo vivere il meglio della vita possiamo cominciare subito a "mortificare quella parte di noi che appartiene alla terra" (2). Lo faremo diventando 'indifferenti' alle cose e ai fatti che succedono.
'Indifferenti' è una parola brutta, perché Dio Padre non è indifferente a nulla. Il suo modo di porsi di fronte a tutto senza scomporsi, senza giudicare e accusare, senza smettere di amare, è visto come indifferenza dagli uomini. Ma indifferenza non è; è un amore più grande, che vuol coprire d'amore e non lasciarsi trascinare fuori dall'amore!
E' l'amore del papà che ama i figli, e li ama tutt'e due, quello che subisce e quello che genera la violenza.
Santa indifferenza: amore più grande!
1) Ef 1,20; Fil 3,20
2) Col 3,5
E.
Padre nostro che sei nei cieli!
Se i cieli sono il "luogo" del Padre non mi lascerò condizionare dalla terra nei miei rapporti con gli altri cristiani nè con gli altri uomini!
I beni della terra e i fatti della terra potranno essere superati e relativizzati, perché ci sono altre realtà!
Questa parola della preghiera mi fa alzare gli occhi dal visibile all'invisibile.
Il Padre stesso guardando a noi non si ferma all'apparenza, ma va ad osservare il cuore.
E noi, che ci abituiamo a tenere gli occhi rivolti a lui, diventiamo capaci di vedere quello che a prima vista rimane nascosto. Quando guardo una persona, se sono abituato a tenere gli occhi nei cieli del Padre, non rimango più colpito dal vestito, nè dal tono di voce, nè dagli anelli o dalla facilità di usare il libretto degli assegni, nemmeno dai movimenti bruschi di chi si vuol dar sussiego o da quelli depressi di chi vuol tener rivolta a sè l'attenzione: vedo invece la ricchezza o la povertà interiore, la capacità o incapacità di amare, il rapporto vero o falso o inesistente con Gesù.
"Sei nei cieli"! Una parola che mi spinge alla contemplazione, ad un'attenzione diversa, a vedere al di là del visibile.
Quando incontro una persona che mi ama, riconosco il cuore tenero del Padre che mi fa gustare la sua presenza. Quando incontro una persona che mi invidia o mi odia, o mi tratta con noncuranza, vedo il desiderio del Padre che io ami in maniera del tutto gratuita, come lui.
M'imbatto in un contrattempo o in una sofferenza? Vedo in questa inaspettata situazione una chiamata di Dio ad amare in modo nuovo.
Incontro una gioia, un fatto che mi rallegra? Vedo la sapienza del Padre e la sua gratuità!
Dio mi vede sempre dai cieli, ma anch'io posso 'imparare' a vederlo sempre dalla terra! Non mi devo lasciar abbagliare dalle cose, soprattutto da quelle che mi potrebbero far sorgere vanagloria o superbia.
L'umiltà e la piccolezza è la luce che può penetrare ogni presunta oscurità dei cieli.
Quando scompare la luce del giorno che mi dà un senso di autosufficienza e di sicurezza, quando sembra che i cieli divengano più tenebrosi, è proprio allora che essi mi lasciano vedere il brillare delle stelle e le increspature della luna.
L'umiltà è quella situazione apparentemente buia che mi permette di gustare i segreti più profondi e più belli dell'amore del "nostro Padre". Egli ha rivelato "le sue cose" ai piccoli e agli umili! (1)
L'umiltà mi permette di rimanere all'ombra di Gesù, nascosto in lui: Egli è nei cieli che contempla direttamente il Padre! Certo, allora lo vedo anch'io! Godo cioè direttamente il suo amore, e gli rispondo!
Non mi occorre una situazione o una posizione particolare: un punto di osservazione qualunque, un momento qualunque della giornata, un qualsiasi sentimento che sorge in me o una qualunque sensazione: tutto può diventarmi "finestra" per incontrare lo sguardo di colui che mi tratta da figlio, che mi dona responsabilità di fratello, che mi riveste di sentimenti paterni verso tutto il mondo.
Padre, sei nei cieli!
Sei sopra, ma accanto a me! Sei sopra, ma dentro di me, perché anche il mio cuore talora è un cielo... impenetrabile!
1) Mt 11,25
F.
C'è ancora una parola che mi ritorna con insistenza quando penso ai cieli come dimora di Dio. E' una frase che S.Paolo scrive agli Efesini: "Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose". (1)
Viene presentato Gesù. Gesù è disceso: ha reso visibile e palpabile la vita di Dio, il suo amore. Ha comunicato agli uomini, 'quaggiù' sulla terra, l'amore e la capacità di amare del Padre. "E' lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli".
Non solo Gesù entra nei cieli, ma "ascende al di sopra di tutti i cieli".
Mi sembra che queste parole ci vogliano condurre ad una contemplazione più pura.
Gesù, il Figlio di Dio, è al di sopra di tutte le realtà create, visibili e invisibili. Egli è al di sopra di tutto ciò che ci possiamo persino immaginare come dimora o manifestazione di Dio. Egli supera tutte le nostre fantasie più belle, e tutte le situazioni - anche quelle a noi incomprensibili e inspiegabili - non lo condizionano.
Gesù è nel regno della libertà piena: può esercitare il suo amore senza poter essere fermato da qualcosa. Egli può addirittura amare senza bisogno di cose o gesti o segni visibili o invisibili.
Egli è asceso al di sopra di tutti i cieli "per riempire tutte le cose".
Le cose devono essere riempite? e di che cosa?
Tutte le realtà sono considerate come dei recipienti: i recipienti possono essere vuoti o pieni.
Con quale "sostanza" il Figlio di Dio vorrà riempire tutte le cose?
Non c'è dubbio, Egli riempie tutto di amore, Egli fa sì che ogni cosa - ogni creatura - sia un dono, un oggetto carico di amore desiderato e cercato non in sè, bensì per l'amore di cui è portatore, ogni cosa strumento e dono del Padre, ogni cosa ci orienta al Padre.
Ora che il Figlio è "al di sopra di tutti i cieli" non consideriamo più le realtà divise in realtà terrestri e celesti: tutto è pieno, tutto è dono, tutto è degno di attenzione e d'accoglienza. Non c'è più il poco e il molto, il meno e il più, il brutto e il bello, il dolce e l'amaro. In ogni cosa, sia che essa appaia piccola o grande, c'è la Pienezza!
Non desidero più nulla di diverso di quanto io già sono o di quanto io già posseggo: entro nella pace e nell'abbandono.
Anch'io dal Figlio di Dio sono riempito.
Anch'io sono segno e dono di Colui che è Padre, Padre nostro, che i cieli e la terra non possono contenere, benché Egli si degni di abitare i cieli e di fare della terra "lo sgabello per i suoi piedi"!
"Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti". (2) La pienezza con cui Gesù crocefisso, risorto e asceso 'sopra tutti i cieli' riempie tutte le cose è questa presenza del Padre veramente plenaria: è "Padre di tutti": tutti lo devono ringraziare come propria fonte e tutti perciò devono a lui fare riferimento!
"E' al di sopra di tutti": nessuno si può confondere con lui, nessuno può diventare Dio al suo posto o presumere di poter far senza un rapporto con lui!
"Agisce per mezzo di tutti": nessuno è povero, nessuno è disprezzabile, nessuno è sotto un altro, poiché il Padre può adoperare le mani e la volontà e il cuore di ogni essere umano, compresi il più piccolo, il più debole, il più emarginato.
"Ed è presente in tutti": davanti ad ogni uomo chiniamo il capo e davanti ad ogni uomo sacrifichiamo i nostri progetti e le nostre regole, perché in ogni uomo compare l'onnipotenza, la misericordia e la domanda d'amore del nostro Padre.
Quanto sono grandi e quanto sono piccoli i cieli in cui abita il Padre nostro! Persino colui che mi passa accanto sul marciapiede o nell'automobile, persino lui è un 'cielo': "è presente in tutti"!
Padre nostro che sei nei cieli!
Ti amo, ti amo insieme a Gesù, ti amo sempre.
Amo te che mi ami dovunque,
amo te che incontro ogni giorno,
amo te che ti nascondi
e quando intuisco che sei nascosto
già ti vedo dentro un fatto o dietro gli occhi delle persone che incontro!
E tutto grazie a Gesù!
1) Ef 4,10
2) Ef 4,6
Nulla osta: Mons. I.Rogger, Trento, 30/1/1994
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