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Pezzi avanzati

PEZZI AVANZATI

 

“...e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati.”    Mt 14,20

 

Conversazioni tra discepoli di Gesù.

 

Ogni apostolo ha una sporta piena di pezzi di pane. Sono pezzi di pane strappato, spezzato. Sono pezzi ineguali, schiacciati da mani poco pulite. È sempre pane, però. Se non badi alla forma, se t’accontenti della sostanza, potrai esserne saziato. Sono pezzi benedetti da Gesù. Lo puoi ringraziare.

Ricevi queste pagine come riceveresti qualcuno di quei pezzi avanzati.

 

1. DIVERSO DA TUTTI

 

Matteo vuole amare Gesù, e lo vuole amare veramente.

Come fare? Che significa amare Gesù?

In preda a questo interrogativo Matteo trova una strada: «Imiterò quelle persone che per Gesù sono importanti». Egli scopre che Gesù sta dando fiducia, grande fiducia, a Simon Pietro. «Imparerò da Pietro ad amare Gesù». E comincia a tenere d'occhio il discepolo pescatore.

Dopo qualche tempo Tommaso gli dice: «Come stai diventando autoritario, Matteo!». Egli non risponde, comincia a riflettere. «Forse invece devo imitare l'amore di Giovanni. Gesù ama Giovanni, quindi imito i suoi modi di fare».

La cosa non passa inosservata.

Una settimana dopo Bartolomeo, sorridendo benevolmente, osserva: «Matteo! Una volta non eri così sdolcinato! Mi sembra che tu stia assumendo atteggiamenti da ruffiano! Che cosa succede?»

Matteo percepisce amore in queste parole e perciò riesce a confidare il proprio problema. Bartolomeo, con vero spirito paterno oltre che fraterno, lo consiglia: «Matteo, ama Gesù col tuo cuore, seguilo con i tuoi passi. Non immedesimarti negli altri. Se tu guardi gli altri, Gesù stesso non si sente né 'seguito', né amato da te. Il tuo modo di amare è bello, perché diverso da tutti e completa quello degli altri!»

Matteo si sente sollevato.

E lo fu davvero, perché aveva avuto la tentazione pure di cominciare ad imitare Giuda, l'Iscariota: anche a lui Gesù dava fiducia, tanto da consegnargli la cassa!

 

 

2. DA QUANDO HA RICEVUTO LE CHIAVI

 

Filippo si confida con Matteo. “Senti cosa mi succede: non riesco più a sopportare Pietro! Una volta, quando egli mi chiedeva qualcosa, diceva: «Facciamo questo? Cosa ne dici? Se vuoi, facciamo così!». Ora invece, da quando ha ricevuto le chiavi, è cambiato, ha cambiato il suo modo di parlarmi. Egli dà ordini e basta: «Va’, fa’, vieni, prendi, porta!». Questo modo, che sa di autoritario, non riesco a digerirlo.”

Matteo capisce la confidenza di Filippo e lo guarda con amore.

Dopo una pausa di silenzio dice: “Anch’io mi sono accorto del cambiamento del nostro fratello Pietro. A me però non dispiace. Vedo che così egli cerca di obbedire a Gesù, di svolgere realmente il compito che gli è stato affidato. Anche a me pesa sentirmi dare degli ordini, però mi accorgo che in tal modo mi viene data l’occasione di esercitare quello spirito di obbedienza che abbiamo ricevuto dal Signore stesso e di cui egli ci ha dato l’esempio. Credo che Pietro faccia fatica talvolta a dare ordini, e che debba lottare contro la tendenza di cercare approvazione al suo agire dagli uomini. In tal modo invece egli obbedisce a Gesù, cui io pure voglio ubbidire, accogliendo che Pietro giri le chiavi come viene reso capace. Col suo modo di fare Pietro ama Gesù!”

Filippo ascolta e tace. Ha compreso che guardando a Gesù si scoprono aspetti positivi e veri nell’agire dei fratelli.

Guardando a Gesù spariscono il giudizio e la critica e si cresce verso la sua statura, ben diversa da quella dell’uomo comune!

 

3. RELIQUIE DEL MIRACOLO

 

Sono tutti insieme sulla barca. Tutti, tranne Gesù.

Sono tutti sicuri di vedere un fantasma; del fantasma hanno paura. Gridano. Ma il fantasma copre le loro voci: “Sono io, non temete!”

É Gesù? Può davvero essere lui? Si può credere a un fantasma che dice di essere Gesù?

Pietro rompe ogni indugio e si fa coraggioso: “Se sei tu di’ che venga anch’io”.

- “Vieni”!

Pietro ormai s’è compromesso. Appoggia un piede fuori della barca. L’acqua resiste.

Pietro muove i suoi passi sicuri sull’acqua.

Gli altri assistono senza fiatare. Solo Giovanni grida ‘al miracolo’ e corre ad accaparrarsi le ciabatte di Pietro, reliquie del miracolo!

Ma, mentre le cerca, ecco una folata di vento; egli alza lo sguardo e vede Pietro sprofondare gridando: salvami! Gesù lo riporta alla barca tenendolo per mano.

Giovanni, lasciando cadere le ciabatte, abbandona le braccia in un gesto di delusione; e non riesce ad abbracciare Pietro: teme di bagnarsi.

Il commento di Tommaso non si fa attendere: “Troppo presto ti sei entusiasmato, Giovanni! I carismi speciali devono essere provati!”.

E cala il silenzio sulla vicenda notturna.

 

4. PREGARE MEGLIO

 

“Sapete cosa faccio io per pregare meglio?”

La domanda di Tommaso attira l’attenzione di tutto il gruppo, che si protende ad ascoltare.

“Perché la mia preghiera diventi più fervorosa, io guardo il telegiornale. Così posso dire al Signore: «Vedi quelli, Signore? Ricordati di loro. Hai sentito quei poveretti? Soccorrili Signore!» Che bella invenzione, il telegiornale! Mi aiuta a pregare, altrimenti la mia preghiera sarebbe davvero monotona!”

Nessuno aggiunge nulla. Tommaso si convince d’aver comunicato una bella novità che renderà tutti capaci di preghiera profonda!

Ma il silenzio non è sempre approvazione, può essere solo sorpresa. Alla sera, a tu per tu, Giacomo gli sussurra: “Tommaso, ho capito il perché tu di solito sei triste e sorridi solo quando incontri qualcuno. Andando continuamente in cerca delle notizie del mondo ti fai specchio del mondo. Anche nella preghiera ti tieni rivolto al mondo e così non puoi ricevere la luce di Dio!

Le nostre ore di preghiera dovrebbero essere, invece, un contemplare il volto di Dio, un lasciarsi illuminare dalla sua luce e riempire della sua pace. Allora diventeremmo specchio di Dio per il mondo! Il Padre non ha bisogno di sapere cosa succede nel mondo: lo sa meglio di tutti! E nemmeno tu hai bisogno di tale conoscenza per poter stare con lui: egli è la nostra gioia e la nostra pienezza! È il mondo, invece, che ha bisogno di vedere la luce e l’amore del Padre! Guardate a lui, e sarete raggianti!”

Tommaso ringrazia per la confidenza, poi, ripensandoci, egli stesso capisce ancora molto di più. Ha occasione di riparlarne con Giacomo la settimana seguente: “Ho riflettuto su quanto mi hai detto. Ho compreso che il telegiornale non mi dice mai quanto Dio fa nel mondo. E mi sono accorto inoltre che dalle trasmissioni televisive non ricevo Spirito Santo, lo Spirito che dà pace agli uomini e comunione e forza per compiere il bene.”

Giacomo gode di questo discernimento spirituale del fratello e ne ringrazia il Signore, mentre quello continua: “Ho già disdetto l’abbonamento. Sono certo che il Padre troverà i modi per farmi conoscere i fatti che, per svolgere bene il mio servizio, è necessario io sappia. Mi fido di lui!”

Giacomo propone di cantare un «Te Deum», riconoscente che Tommaso abbia ricevuto una forza così decisa, così controcorrente!

 

5. SOGGEZIONE DI LUI

 

Giacomo d’Alfeo è molto attento a tutto ciò che succede. Egli è attento alle parole e ai gesti, persino alle smorfie dei suoi... fratelli. Egli ha un intuito eccezionale, quasi un sesto senso che indovina reazioni subconsce e intuizioni segrete. E, naturalmente, non tiene nascosto il suo... discernimento.

“Tu hai detto quelle parole: attento, potrebbero essere interpretate male!” “Tu hai fatto quell’azione: vi hai messo una bella dose di amor proprio!” “Tu hai realizzato quel servizio, ma...”. E avanti di questo passo. Non ne lascia scappare una. Il bello è che ciò che Giacomo dice è proprio vero: ha sempre ragione, tanto che tutti hanno un po' di soggezione di lui, e quando egli si avvicina si diffonde una certa aria di timore, di non libertà.

Un giorno però ritorna Andrea, che era stato assente un periodo per una missione particolare. Egli si accorge di qualcosa: si accorge che Giacomo ha il volto severo, da cui non traspare mai il sorriso mite e umile di Gesù. Dopo aver assistito a qualche suo intervento con cui pensava di correggere i fratelli, Andrea comprende.

Prendendolo in disparte, gli dice: “Giacomo, tu hai un buon discernimento, riesci a cogliere i difetti più segreti dei fratelli: questo è un dono, certamente, ma come adoperarlo? Se continui a fare osservazioni, tu stesso ti fai attento solo al male, diventi collaboratore del Maligno evidenziando la sua opera. Gli altri si trovano male con te e tu diventi pesante, con un volto e uno spirito da giudice, quasi da accusatore.

Quando vedi qualcosa di male nei fratelli, benedicili e prega per loro e non farti diffusore di quel male. Loda il Signore per le buone intenzioni e per le belle realizzazioni: Egli è degno di esser messo in luce e di occupare i cuori!”

Perché nessuno gliel’aveva detto prima?

Giacomo ringrazia Andrea e comincia.

Nel giro di tre settimane riesce a cambiare il modo di guardare all’agire dei fratelli e il modo di ascoltarli. Diviene capace di incoraggiare, di apprezzare quel poco che esiste.

Il clima generale diventa più sereno e tutti sono più fervorosi nel vivere da fratelli e nell’aiutarsi nella sequela di Gesù!

 

6. SCORAGGIATO, QUASI DEPRESSO.

 

“Che cos’hai?” chiede preoccupato Pietro a Simone il Cananeo. Simone infatti è triste, scoraggiato, quasi depresso.

“Sono molto scoraggiato” risponde “perché seguo il Signore già da quindici anni e mi ritrovo ancora peccatore, come all’inizio.”

“Oh povero il mio Simone! Ma non sai che il tuo scoraggiamento è per noi un peso dieci volte più duro da portare che non il tuo peccato? Non lasciare che il tuo peccato porti questo frutto... che ci rende difficile il vivere con te!”

“Come posso fare?” - chiede Simone.

“Se ti scoraggi significa che dai più importanza al tuo peccato che non alla presenza di Gesù. Gesù è in mezzo a noi anche quando tu t’accorgi d’essere peccatore. Tu devi «reagire» alla Sua presenza ed essere contento, e lasciare che questa gioia per Lui superi e copra la tristezza per la tua debolezza e per il tuo peccato.”

“Non so come fare...”

In aiuto a Pietro interviene Andrea: “Senti, Simone, fa’ come faccio io: appena mi accorgo di aver fatto un peccato dico subito: «Signore Gesù, perdonami. Abbi pietà di me e salvami. Io meriterei l’inferno, se non ci fossi tu che a salvarmi!» e basta. Poi continuo la preghiera e dico: «Tu, Gesù, sei degno della mia testimonianza, anche se io sono peccatore. Tu sei degno che io ti faccia far bella figura con la mia gioia e serenità. Sono io il peccatore, non tu! Tu meriti che io sia contento di te, perché tu mi dai speranza e perdono. Sono contento di te davvero!». Dico così e poi sorrido a Gesù e a tutti perché io sono suo, e voglio fargli fare bella figura! Fa’ anche tu, Simone, come faccio io!”.

“Proprio così” conclude Pietro.

Due giorni dopo Bartolomeo incontra Simone, che gli sorride tutto felice. “Cosa c’è, Simone?” chiede l’apostolo di Cana, meravigliato del cambiamento dell’amico. “Oh, nulla! Ho fatto un peccato!”

Bartolomeo rimane stralunato: comprende il comportamento di Simone solo dopo che Andrea gli racconta il colloquio avuto con lui in precedenza!

 

7. PREGO COME MI PARE

 

Tommaso sorprende i suoi fratelli quando, con sicurezza, dice davanti a tutti: “Io prego quando me la sento.”

Egli è più che tranquillo, certo di aver raggiunto un alto grado di libertà e di fare della preghiera un atto più che mai libero. “Che cosa vale la preghiera se non me la sento di farla?”

“Il signorino! Tu preghi quando te la senti! A chi ubbidisci tu? Hai smesso di ubbidire a Gesù? Gli hai detto «mio Signore» e adesso non ubbidisci più a lui!”. Le parole di Filippo sono chiare, ma Taddeo aggiunge: “Non ubbidisci a Gesù, ma ubbidisci ai tuoi sentimenti. È una libertà relativa, la tua, una schiavitù agevolata.” Tommaso, che credeva di ricevere approvazione da tutti, rimane costernato: “No, no, io voglio obbedire a Gesù!”.

“Allora prega quando lui te lo chiede, e non quando tu te la senti!”.

“Avete ragione”, si umilia Tommaso. “Però, almeno, lasciatemi pregare come pare a me. Voi invece, quando avrei il desiderio di fare una preghiera spontanea alzando le braccia, mi piazzate là una liturgia di salmi e di altre preghiere già fatte; quando sono pronto e in vena di cantare salmi, ecco che mi organizzate un incontro di preghiere spontanee, risonanze e altra varietà!”

“Oh, povero Tommaso!”, interviene Andrea. “Ascoltami: la preghiera migliore non è quella che piace a noi, ma quella che piace al Signore!”

“Certamente! È lui che deve ricevere gloria anche dal nostro pregare”: di questo Tommaso sembra convinto.

“E allora?” riprende il fratello di Simone. “La preghiera più bella non è quella che piace a noi, ma è la preghiera dell’obbedienza. Quando Gesù ti vede obbediente, ti riconosce simile a sé, ti sente diventare uno con lui. Puoi tranquillamente accettare il modo di pregare che ti viene proposto. Anche se a te non piace, a Gesù piacerà certamente l’amore obbediente che vi impegni.”

Tommaso non interviene più.

Riconoscente ai fratelli, ha compreso il valore dell’obbedienza e ha iniziato a metterla in atto non solo per ciò che riguarda la preghiera, ma anche per i vari lavori e impegni che riempiono la giornata.

“I lavori e le occupazioni che piacciono a Gesù non sono quelle che riescono bene, né quelle che portano il frutto desiderato: sono piuttosto quelle per le quali impegno un amore obbediente.” Così si esprime l’apostolo il cui dito e la cui mano hanno toccato le piaghe del Signore.

Ora le sue dita e le sue mani non fanno più ciò che egli vuole, ciò che a lui piace, ciò che gli sembra bene, ma ciò che gli viene chiesto: ora Tommaso vuole solo obbedire!

E quando l’obbedire è morire, egli pregusta già la gioia del risorgere!

 

8. UNA FORMA INCONSCIA DI EGOCENTRISMO

 

Bartolomeo è l’uomo degli entusiasmi. Se vede qualcosa di bello si entusiasma; se ha qualche successo nel ministero apostolico si entusiasma. Anche se agli altri capita di accorgersi dell’opera di Dio che accompagna la loro predicazione, Bartolomeo si entusiasma.

E quando si entusiasma fa udire la sua voce gioiosa! Tutti si girano a vederlo. Qualcuno persino lo cerca, perché la sua vicinanza rende il vivere meno monotono.

Così passano i mesi. Se non succede nulla di particolare, Bartolomeo è tentato di vedere lo straordinario dentro l’ordinario, perché ormai sa e sente che tutti attendono le sue «simpatiche» manifestazioni d’entusiasmo.

Ma Bartolomeo non s’accorge di ciò di cui s’accorge Giovanni.

Questo fratello mite e semplice, conscio continuamente d’essere amato da Gesù, vorrebbe rimanere sempre rivolto al suo Signore. Gli scoppi entusiastici di Bartolomeo gli piacciono, ma a lungo andare gli pongono qualche interrogativo. Egli s’accorge che le esclamazioni e le risate invece di aiutare a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, lo distraggono. È così che egli, con delicatezza, interviene.

Ed eccoli insieme durante una breve passeggiata tra gli olivi.

- “Ti volevo dire una cosa, Bartolomeo, se accetti!”

- “Come no! È una gioia per me ascoltare la tua saggezza!”

- “Ecco, vedi: sono sicuro che tu ami Gesù; e ti ringrazio! Ogni volta infatti che viene raccontato qualche suo prodigio tu ne gioisci. Il tuo modo di gioirne però è così esteriore che chi ti vede o ti sente deve girarsi verso di te e il suo spirito viene distolto da Gesù, così ottieni l’effetto contrario a quello desiderato. L’entusiasmo è un po’ come la depressione: attira l’attenzione degli altri su di sé.”

- “Una forma inconscia di egocentrismo, vuoi dire?”

- “Anche, ma soprattutto un atteggiamento che impedisce a Gesù di essere al centro dell’attenzione. Un modo «innocuo» di nuocere alla vita spirituale, al rapporto sereno e profondo col Signore. “

Bartolomeo ha capito. Ringrazia, e continua in silenzio la passeggiata. Un silenzio pieno d’amore. Incontrando gli altri non gesticola e non grida espressioni di gioia o di scherzo, tanto che essi se ne meravigliano.

Egli stesso poi ha occasione di spiegarsi: “Vi chiedo perdono, fratelli. Con le mie manifestazioni entusiastiche ho dato spazio alla menzogna, a quell’atteggiamento che nasconde Gesù. Ogni volta che esplodevo, anche se simpaticamente, mettevo me davanti a lui. Voi eravate costretti a vedere me e non più lui. Lui rimaneva nascosto. Ve ne chiedo perdono. E vi chiedo di aiutarmi, perché di certo incapperò ancora in questa debolezza. Mi sono così abituato...”

Giovanni sorride. Pietro ringrazia il Signore. Qualcuno straluna gli occhi: non aveva mai pensato che l’entusiasmo potesse essere distrazione e che potesse chiamarsi menzogna.

Giacomo, con tono umile, dice ad alta voce: “Bartolomeo, ti perdoniamo nel nome di Gesù. E Gesù stesso ti perdona, egli che è mite e umile di cuore.”

Bartolomeo d’ora in poi gode ancora delle opere di Dio, ma in modo silenzioso.

Strano, comincia a vederne molte di più!

E quando le vede si esercita a dire tra sé e sé: questo tuo intervento, Signore, è molto bello. Ma io sono contento di te! La tua presenza è motivo di gioia più grande che non le tue stesse opere!

 

9. UN NOME VELOCE

 

Filippo ha un nome veloce: amico dei cavalli! E difatti egli ha fretta. Ha fretta di vedere i risultati delle sue fatiche. Va a predicare? Il giorno seguente vorrebbe tornare per vedere se qualcuno s’è convertito. Fa una catechesi ai ragazzi? Li vorrebbe cambiati subito, durante il momento di gioco che segue. Annuncia il Vangelo in un ambiente ateo? S’aspetta che qualcuno lo approvi, gli dica: “hai parlato bene, grazie!”

Un giorno per davvero Filippo chiede a Pietro di potersi recare nel paese dove la sera precedente aveva avuto dei colloqui «apostolici», e motiva così la sua richiesta: “Vorrei vedere se è nato qualcosa, se è avvenuta la conversione di quella persona.”

Pietro rimane un attimo in silenzio. Poi chiede a Filippo: “Hai seminato l’insalata, Filippo?”.

Che domanda strana!

“Sì, la settimana scorsa: era luna calante.” - risponde Filippo.

“E sei andato a controllare se ha messo radici?”

“Ma sei matto? Se scopro i semi adesso, essi non attecchiranno! E poi, a suo tempo spunteranno le foglie!”

“Così è per il seme della Parola che hai annunciato ieri. Va’ a riposare tranquillo. Quella Parola, se era Parola di Dio, Parola viva, metterà radici e a suo tempo darà i suoi frutti. Andare subito a vedere, aspettare in fretta i risultati, potrebbe intralciare il lavorìo dello Spirito.

Sii contento d’aver potuto servire il Signore annunciando la sua Parola: e non occuparti d’altro che di continuare a servire il Signore come lui ti chiede. La Parola seminata da te è ancora sua ed egli manderà di certo qualcuno ad annaffiare e a mietere. Il tuo cuore rimanga attento a lui solo!”

Filippo ubbidisce e rinnova il suo amore a Gesù, a Gesù solo.

Nella sua fretta di vedere risultati si nascondeva di fatto anche un po’ di... amor proprio, di ricerca di gratificazione e di ambizione. Pietro, fin troppo delicato, non gliel’aveva detto. Ma egli - dopo aver obbedito - ha ricevuto luce anche su quest’aspetto del proprio cuore!

 

10. IL BENE DA FARE

 

Andrea si fa forte del proprio nome che significa: uomo, uomo maschio, maschio forte! Egli sa d’essere uomo, ma, purtroppo, come gli uomini, pensa che essere maturo significhi agire con indipendenza, non domandare nulla a nessuno, sapersi gestire tempo ed energie.

E così succede che, con sempre maggior frequenza, egli giunge in ritardo agli incontri comunitari. Il ritardo diviene sempre più lungo finché Andrea... non arriva nemmeno più. Per lui gli incontri comunitari divengono perditempo. Egli ha qualcosa di meglio da fare.

Così trova giustificazione di fronte al silenzioso punto interrogativo che appare sul volto di Giuda e su quello di Matteo. Quando poi il fratello Pietro lo ferma davanti alla porta per chiedergli ragione del suo nuovo modo di vivere, Andrea non manifesta alcun tentennamento: “Ho trovato del bene da fare. Ogni volta trovo del bene da fare: non posso esimermi dal fare il bene.”

La curiosità di Pietro è appagata, la maturità di Andrea è dimostrata.

Ma Pietro non trova pace. Qualcosa non va, c’è qualcosa che non lo lascia tranquillo. La parola chiave di suo fratello è «il bene da fare». È proprio questa frase che tiene occupato lo spirito e la mente di Pietro.

«Il bene da fare»! Una parola mai udita sulla bocca di Gesù. Da dove viene?

E Pietro, dopo vari ripetuti ripensamenti, arriva a comprendere. Questa frase è vecchia, viene dal discorso del serpente, quello che ha fatto cadere Eva e poi Adamo. Il bene che si vede da fare è ciò che trae in inganno, è ciò che - vestito di luce - nasconde in sé la tenebra, è ciò che convince l’uomo a ragionare invece che lasciarlo obbedire.

Se l’uomo si mette a ragionare trova mille ragioni per non obbedire, cioè per fare quello che vuole. Gesù non si è presentato nel mondo come colui che ragiona sul bene da fare, ma come colui che obbedisce al Padre. Pietro è arrivato alla chiarezza, grazie alle frasi di Andrea.

E la chiarezza più grande gli è venuta di notte, nell’insonnia procuratagli dall’atteggiamento di superiorità del fratello: l’uomo maturo è Gesù!

L’uomo veramente maturo è il Figlio di Dio, quel Figlio che mai si vergogna d’essere e di rimanere «figlio», che continua cioè a dipendere e obbedire al Padre!

L’uomo maturo, maturo spiritualmente, maturo nel suo rapporto con Dio Padre, è l’uomo che realizza in pieno il proprio essere figlio!

Gesù si è occupato delle cose del Padre suo scegliendo la sottomissione a Maria e a Giuseppe: così egli è cresciuto in età e grazia. E noi siamo incamminati a crescere verso la statura di Cristo!

Per Pietro tutto diventa chiaro. Gli riesce però difficile trasmettere tutto questo ad Andrea: difficile trovare le parole, difficile trovare il momento adatto. Gli dà coraggio una preghiera per il fratello condivisa appositamente con Giovanni, l’amico con cui quegli aveva seguito Gesù all’inizio.

Ora Andrea sembra aver compreso. «Il bene da fare» è spesso occasione per non morire a se stesso, anzi, per trovare gratificazioni e concessioni al proprio «io». Ora egli trova l’obbedienza ai suoi fratelli un «bene» molto più grande, che realizza quell’unità che è sacramento della presenza di Gesù stesso, il Salvatore. È Gesù che salva l’uomo e non il «bene» che io faccio.

Andrea s’impegna a cercare l’unità, costi pure obbedienza difficoltosa! E si ritrova dentro una maturità nuova, che sconfina nel divino: nel divino dello Spirito di Gesù, l’Obbediente. Il «bene» che proviene ora dal suo vivere è molto più grande, raggiunge dimensioni più profonde e spirituali, produce «vita eterna»!

Andrea ha davvero capito: non arriva più in ritardo!

 

11. UNA MALATTIA

 

Giacomo soffre di scrupoli. Non si dovrebbe fare il suo nome, per delicatezza, ma egli stesso, preoccupato che questa sua malattia non appaia, non riesce a nasconderla. Chi non se ne accorge?

Un giorno, a tavola, il discorso cade sulle malattie spirituali.

Bartolomeo rivolge la sua domanda a tutti, e tutti tengono un silenzio stretto, timorosi che Giacomo si sia già offeso o che si offenda per la possibile risposta.

“In che senso la scrupolosità è malattia?”

Ora la domanda è nell’aria e non può rimanere senza risposta. Chi è più adatto a rispondere? Pietro pensa sia Giovanni, che ha trascorso un periodo con questa sofferenza. Con uno sguardo lo invita a rompere il silenzio.

“A me sembra che la scrupolosità sia il sintomo di una malattia, più che una malattia. Il vero male, nascosto, è la mancanza di fede. Lo scrupoloso è attento fino all’inverosimile alle proprie azioni, ai risvolti interiori delle proprie azioni, ai pensieri che ne conseguono, quelli veri e quelli immaginati tali. Lo scrupoloso ha il terrore del peccato, di aver commesso il peccato, di aver perso la grazia di Dio, l’amore di Dio. Non trova mai pace e continua a ripensare al proprio aver fatto, aver detto, ad essersi forse sbagliato; si ostina a non dire per paura che gli scappi una sillaba in più, forse non vera. Soffre e dimagrisce, perché non ha mai tregua in questa girandola di pensieri tutti rivolti attorno a sé. Egli non si affida all’amore del Padre. Ritiene se stesso «salvatore di sé».”

Giacomo cerca di difendersi dietro un volto appositamente sereno per far credere che non è questa la sua condizione.

Giovanni continua: ”L’attenzione dello scrupoloso è così rivolta a se stesso che egli può diventare molto permaloso: è sempre pronto a difendersi e a giustificarsi. Non è difficile comprendere come questo atteggiamento derivi da una sostanziale mancanza di fede. Lo scrupoloso è convinto che tutto dipenda da lui: la paura del peccato commesso, la paura di averne aggiunto un altro non confessandosi bene, non è forse mancanza di fede nel cuore misericordioso del Padre? Non è forse un ritenere che l’uomo giunge a salvezza con le proprie virtù e con i propri comportamenti senza errore, e non invece per la grazia che riceve dal Padre che guarda il sacrificio di Gesù per noi?

Lo scrupoloso vuole - in fin dei conti - essere perfetto, non aver bisogno di perdono, non essere sempre debitore. E questa è superbia. Lo scrupoloso vuole difendersi da Dio: non lo vede Padre, ma giudice implacabile. Per questo ha paura di lui.”

Tutti ascoltano silenziosi. Giacomo si sente sempre più allo scoperto.

“Lo scrupoloso non si guarisce con la compassione, né con l’accontentarlo dicendogli: «ma no, questo non è peccato!». L’unico modo di aiutarlo è portarlo alla fede, a dar fiducia al Padre che ci vuole bene, che ci ama e ci salva per il sangue di Gesù e non per la nostra perfezione.

Fiducia in Dio Padre dunque e ridere di sé; accettare l’inferno procurato dal nostro agire e accogliere il Paradiso come dono. Si potrebbe arrivare persino a consigliare allo scrupoloso di disobbedire appositamente a certe regole inoffensive di comportamento per esercitarsi a confidare in Colui che ci ama, non perché siamo seri o severi o perfetti, ma perché Egli è buono!”

“Può bastare” dice Pietro a Giovanni. E Bartolomeo aggiunge: “Non credevo che la cosa fosse così seria.” E Matteo: “Tra i discepoli di Gesù una malattia del genere è davvero brutta, perché impedisce la testimonianza che la salvezza viene dal Signore.”

“Perdonatemi!” È Giacomo che parla.

Tutti ascoltano con sorpresa.

“Vi chiedo di perdonarmi nel nome di Gesù: io ho tenuto lo scrupolo in me quasi come una ricchezza, pensando che l’ostinazione di non voler accettare di essere peccatore fosse salvezza più grande di quella che Gesù dà al peccatore. Mi sono ingannato e vi ho ingannato. Mi abbandono alle braccia del Padre, affido i miei peccati e i miei sbagli al sangue di Gesù.

Grazie, Bartolomeo, per la tua domanda. Grazie, Giovanni, per la tua risposta.”

Un sospiro di sollievo passa da uno sgabello all’altro.

E Pietro si alza ad abbracciare Giacomo, che non riesce a frenare una lacrima di umiltà. Una lacrima che prima la superbia gli impediva di versare.

 

12. SEMPRE SUL GIROSCALE

 

Giuda Taddeo sembra non essere mai soddisfatto. Quando i suoi «fratelli» ragionano di cose materiali e di cose spirituali egli interviene sempre con un «sì, ma però...».

E i suoi interventi sono facilmente riassumibili in questi termini: “Sì, sul piano spirituale è così; sul piano umano, bisognerebbe invece...” oppure: “Sì, sul piano umano le cose stanno così, ma sul piano di fede dobbiamo tener conto che...”.

Un bel giorno Filippo, stanco di rincorrere Giuda da un «piano» all’altro, sbotta umoristicamente: “Caro fratello, non si sa mai dove sei. Sei sempre sul giroscale che sali e scendi da un piano all’altro. Devi aver le gambe stanche! Fermati, una buona volta!”.

“Io, per conto mio - aggiunge Giovanni - sto sempre sul piano di fede; tengo conto sempre dell’opera del Padre che sa curarsi persino del cibo e del vestito dei suoi figli. Non mi pare possa esistere più un «piano umano»”.

Giacomo Boanerghes completa l’insegnamento del fratello: “A me sembra che sul piano umano lavori intensamente il principe di questo mondo. Egli riesce a riversarvi sentimenti e reazioni umane, e a giustificarle. Sul piano di fede invece non riesce a metter piede. Nell’atteggiamento che dà fiducia al Padre è all’opera lo Spirito Santo! Io voglio restare sempre su questo piano con i miei ragionamenti e col mio discernimento.”

Giuda resta persuaso. Non mescola più i due piani, e quando Pietro lo cerca per una decisione importante d’economia lo trova saldamente trasferito, con tutti i suoi mobili e con tutto il suo vestiario, sul piano di fede!

 

13. CRISI DI IDENTITÀ

 

Andrea sperimenta una forte crisi di identità. Questa non è un’invenzione recente, nonostante la si chiami con questo termine da un tempo relativamente breve.

Dunque Andrea, ritornando da una missione impegnativa, si confida: “Non capisco più quale sia il ruolo del cristiano nel mondo. Che ci stiamo a fare noi cristiani in questo mondo? Mi sono fatto - con tanta fatica - assumere come infermiere in un ospedale. Ero convinto che un cristiano dovesse svolgere questo lavoro meglio di chiunque altro. Chi più del cristiano ha rispetto della persona umana?

E invece... ho trovato degli infermieri migliori di me. Io talora m’innervosivo alle richieste assurde di qualche paziente o al costatare l’assenteismo di qualche dottore. Ho trovato altri colleghi invece, non cristiani, con un cuore molto più grande del mio, e con una competenza che supera quella che io mi sono guadagnato con molto sacrificio.

Mi sono fatto maestro elementare. Ero sicuro che in questa professione nessuno potesse eguagliare un cristiano, e invece anche là ho costatato l’esistenza di insegnanti migliori di me.

Che ci sta a fare il cristiano nel mondo?”

“Non sei diventato lo spazzino comunale. Anche là avresti trovato che qualcuno ti batte in competenza e disponibilità.” È intervenuto il fratello, Pietro, che continua così: “Il nostro Signore e Maestro non ci ha mai detto che dobbiamo essere migliori degli altri. Egli non ci ha mandati nel mondo perché nel mondo mancano bravi lavoratori, bravi politici, bravi dottori. Gesù non ci ha mandato per migliorare nulla. Egli ci ha raccolti attorno a sé e ci ha inviati perché noi portiamo il suo Nome e il suo Spirito nel mondo!”.

Andrea guarda il fratello con un volto che via via si rasserena.

“Noi non abbiamo il compito di migliorare, ma di rinnovare. E rinnoviamo quando portiamo in noi la vita nuova, lo Spirito di Dio.

Tu, nel reparto d’ospedale, non devi portare competenza: come infermiere sì, ma come cristiano devi portare quello Spirito Santo che ricevi qui, nella preghiera, nella celebrazione Eucaristica, nella comunione d’amore dei tuoi fratelli di fede. Chi porta lo Spirito Santo a contatto dei bidelli e dei maestri e dei ragazzi, se non il cristiano che entra in quell’ambiente come uno di loro?

Questa è la nostra identità, fratello mio!”

Sembra che la crisi sia già sparita dal volto di Andrea, man mano che scopre, o riscopre, che l’identità del cristiano è quella dello Spirito dalla cui unzione ha preso il nome: «cristiano», infatti, è colui che è «unto» della stessa «unzione» di Gesù, il Cristo per eccellenza!

E Giacomo, che ha seguito il colloquio, completa: “Lo Spirito Santo ci fa «cristiani», ci unisce in un popolo nuovo capace di chiamare Dio «Padre»! L’identità del cristiano è la vita di comunione e di fraternità che egli vive nella Chiesa, dove si trova inserito per grazia, per dono dall’Alto!”

Andrea ringrazia Pietro, e con Giacomo si prepara alla grande celebrazione che li introduce nella gioia e nella luce celeste!

 

14. CAPACE DI VINCERE

 

Simone lo Zelota: lo sapeva, il Signore, che il suo carattere era così impulsivo, quando lo ha chiamato?

Simone non ha peli sulla lingua. “Io sono sincero. Quello che ho da dire lo dico. Quello che ho dentro lo butto fuori. Se mi fanno arrabbiare lo dico subito. Chi se la merita se la merita...”.

E davvero Simone reagisce con impulsività, impulsività che talora rasenta la violenza, - verbale s’intende - ai comportamenti non sempre felici dei fratelli. E questi, da tali reazioni non sono aiutati ad aver molta confidenza con lui. Egli rimane piuttosto solo... La salvezza di Dio rischia di non manifestarsi come comunione attraverso di lui.

Pietro, che ha avuto esperienza personale d’impulsività, si sente in dovere di aiutare Simone.

L’occasione gli si presenta un giorno in cui questo fratello sta vantandosi della propria “sincerità”.

“Io preferirei esser vittorioso!” dice Pietro.

Questa frase lapidaria colpisce Simone: “Che significa « essere vittorioso »? “

“Io vivo l’impulsività come una tentazione, la tentazione che m’impedisce di discernere lo Spirito Santo dagli altri spiriti e mi fa cadere in balìa di arrabbiature, di giudizi affrettati, di violenza. L’impulsività non lascia spazio a quel frutto dello Spirito che è il dominio di sé e all’altro che si chiama mitezza e a quello definito pazienza. La sincerità di cui tu ti vanti mi sembra essere più cedimento alla tentazione che non vittoria su di essa. L’amore è paziente e sa attendere, sa soffrire e sopportare. La tua sincerità elimina l’amore, elimina lo Spirito Santo e perciò non dà origine a comunione! Se vuoi, Simone, preghiamo insieme, invochiamo il nome santo di Gesù perché ti doni di essere vittorioso, e in tal modo risplenda la verità dell’amore di Dio e della sua pazienza anche nel tuo modo di comportarti con noi!”.

“Eccomi:” - dice Simone -, “quanto dici è verità e ti ringrazio. Preghiamo pure, perché il dono che devo ricevere è grande, e se non lo ricevo dal Signore non sarò mai capace di vincere!”

 

15. MOLTA DIFFICOLTÀ A CONFESSARMI

 

L’incontro sta per volgere al termine. Sono tutti sereni, perché si sono aperti a raccontare ognuno quanto ha visto dell’agire di Dio nella propria vita e nel proprio ambiente. Il clima si è fatto così familiare che ci si ferma volentieri ancora insieme. E Simone, Pietro, si sente incoraggiato ad aprire il cuore ai fratelli: “Per parte mia ho sempre molta difficoltà a confessarmi. Quando è il momento mi vengono tanti ragionamenti che mi vorrebbero distogliere da questa grazia: raccontare i miei peccati ad un uomo? A uno che forse è peggiore di me? A uno di voi che già mi conosce? Certi miei peccati potrebbero meravigliare o scandalizzare il fratello cui li racconto! E mi viene anche vergogna a dire tutto, proprio tutto. Si fa avanti anche la tentazione di tacere qualcosa. Insomma, è grande fatica!”

Qualche sospiro di sollievo. Nessuno si meraviglia. Che sia una fatica condivisa? Si crea un attimo di silenzio, senza imbarazzo. Viene rotto da Giovanni.

“Anch’io ho avuto per molto tempo questa difficoltà, finché mi è venuta alla mente una parola del Signore con cui egli ci invita a fare tutto per suo amore. Allora mi sono chiesto: ma tu, ti confessi per amore? O ti vai a confessare per egoismo? Mi sono accorto che il mio confessarmi era mosso dal desiderio di sentirmi a posto, dalla voglia di non sentire più rimorsi, pesi sul cuore. Mi confessavo perché amavo me stesso, non per amore di Gesù.”

“Beh? È normale, io non trovo altre motivazioni che mi portino a confessarmi!” è Giuda che interviene con spontaneità. Ma Giovanni continua: “Ho cominciato a cambiare quando uno di voi mi ha detto: «Con i peccati sul cuore non sei più un buon testimone della salvezza di Gesù. I peccati frenano la gioia dello spirito, frenano la generosità verso i fratelli. Questo male non ti permette di essere uno strumento adatto nelle mani del Signore per il suo Regno!» Allora mi sono rivolto a Gesù così: «Per amor tuo, Gesù, vengo da te e mi lascio perdonare. Grazie del Sacramento del perdono, con cui tu, per la voce e la mano del tuo ministro, mi risollevi e mi rinnovi la luce e la forza del tuo Santo Spirito! Se tu mi perdoni io sono di nuovo adatto a servire nel tuo Regno, di nuovo testimone della tua salvezza, e ancora di nuovo aperto e generoso verso i fratelli!» Con questi suggerimenti e con questa preghiera riuscii a vincere la tentazione della vergogna e tutti gli altri ragionamenti che tentavano di impedirmi di incontrare Gesù misericordioso!”

“Grazie, Giovanni!” Pietro è davvero riconoscente per questa luce nuova che illumina uno dei momenti più preziosi della vita, uno degli incontri con Gesù maggiormente ostacolati dal Nemico dell’uomo e di Dio.

“Ti ringrazio anch’io!” esclama Matteo. Egli, chiamato alla sequela di Gesù mentre era circondato da peccatori, si era dimenticato che l’amore del Signore è sempre misericordia, è un amore che incontra solo uomini peccatori e bisognosi di continuo perdono. Egli pensava che, divenuti discepoli, non si potesse più peccare,... e viveva oscurato da un certo orgoglio...: per questo non si confessava mai. Ora la luce donata dalla risposta di Giovanni a Pietro è per lui stimolo a rivedere tutto, a umiliarsi, a vedere le proprie imperfezioni.

Egli cerca subito Pietro e si apparta con lui. Rinasce!

Gesù è ancora salvatore, anzitutto per i suoi!

 

16. LE DISTRAZIONI NELLA PREGHIERA

 

“Io, fratelli, non verrò più all’ora di adorazione!”

Chi è colui che manifesta una decisione così drastica? È Matteo. Nessuno se l’aspettava da lui. Tutti rimangono perplessi, in attesa di spiegazione. “Non meravigliatevi. Ho grande stima della preghiera e dell’ora di adorazione. Proprio per questo ho deciso. Per me quell’ora è un grande tormento, perché sono continuamente distratto. Desidero adorare il Padre, invece una distrazione si accavalla alla successiva: non faccio in tempo a riprendermi da una che me ne sorge un’altra. Non vi voglio ingannare. Non voglio ingannare me stesso.” Bartolomeo guarda Giovanni. Filippo tende l’orecchio per sentire se Pietro comincia a parlare. Giacomo si fa pensieroso, e altrettanto Andrea. Simone sembra distratto, mentre l’altro Giacomo sfoglia il libro dei Salmi per preparare appunto la prossima ora di adorazione. Taddeo sembra spensierato, ma non lo è. “Se fosse per questo” dice con serenità “non direi nemmeno le preghiere del mattino.” Matteo rimane deciso nella sua convinzione.

“Un tempo ho avuto anch’io questo pensiero”, continua Taddeo. “Poi però ho iniziato a vedere le distrazioni nella preghiera come... un dono!” Tutti lo guardano incuriositi. “Sì, io mi sono accorto che ogni distrazione diventa l’occasione per un nuovo atto d’amore a Gesù. Quando mi viene un pensiero che mi distoglie dalla preghiera, prima o poi me n’accorgo. Subito allora consegno il pensiero a Gesù e gli dico: adesso torno a te! E questo è un atto d’amore per lui! Durante un’ora di adorazione posso avere fino a cinquanta distrazioni: ma si trasformano in cinquanta atti d’amore. Se non avessi distrazioni... un solo atto d’amore!” Il volto di Pietro, dapprima preoccupato, ora si rasserena.

“Caro il mio Matteo, coraggio! Un po’ di umiltà! Gesù apprezza anche i piccoli atti d’amore con cui cerchi di superare le distrazioni. Li apprezza più delle grandi cose, che forse servono solo a soddisfare il nostro orgoglio che cerca di approfittare anche della preghiera per gonfiarci e allontanarci così dal Dio-Amore!”

Matteo, dopo un momento di silenzio, chiede a Giacomo, intento ancora al libro dei salmi: “Quando si comincia?”

 

17. SE UN FRATELLO MI CHIEDE PERDONO...

 

Filippo sorprende Giuda Taddeo mentre risponde a Bartolomeo: “Ma no, non è niente, non mi sono nemmeno accorto!” Filippo non sa cos’è successo, ma s’accorge che non c’è serietà in quelle parole dell’amico. Si ferma guardando i due con evidente desiderio di sapere di più.

Bartolomeo lo accontenta: “Ho chiesto a Filippo di scusarmi perché ho commesso una sgarbatezza nei suoi confronti.” “Ed io - aggiunge Giuda - non so nemmeno perché lui mi chieda di scusarlo; non mi sono accorto di nulla.”

Filippo resta pensoso e serio. “Cos’hai, Filippo? C’è qualcosa che non va?”

“Sì, mi pare che qualcosa non vada. Se un fratello mi chiede perdono, io devo ascoltarlo seriamente. Se io non ho visto il suo peccato, ciò non toglie che lui possa averlo commesso. Se io non lo perdono, il peccato rimane come qualcosa che impedisce la perfetta comunione e la pienezza della gioia. Quindi tu, Giuda, devi perdonare a Bartolomeo ciò di cui lui ti chiede perdono, non ciò di cui tu ti sei accorto. Anzi, quando noi perdoniamo, perdoniamo sempre nel nome di Gesù. È lui l’unico Agnello di Dio che ha preso su di sé i nostri peccati. Non c’è altra possibilità di perdono vero. Perciò, Giuda, perdona al fratello dicendogli: Ti perdono volentieri nel Nome di Gesù! In questo modo tra te e lui rimane la grazia e la luce del santo Nome e cresce la vostra unità nel suo Spirito!” Giuda si mostra contento e rassicurato da queste parole e sta per rivolgersi a Bartolomeo, ma Filippo ha ancora un’ osservazione. “M’è parso di sentire che tu, Bartolomeo, hai chiesto scusa del tuo peccato. Nemmeno questa parola mi pare ci sia nel vocabolario dei discepoli di Gesù. Chiedere scusa non equivale a chiedere perdono. Chiede scusa chi suppone di aver offeso involontariamente, o meglio, chi pensa che l’altro si sia offeso ingiustamente. Noi abbiamo imparato l’umiltà, abbiamo imparato a chiedere perdono; Gesù stesso non è entrato tra i peccatori nel Giordano, benché in lui non ci fosse stata ombra di peccato?” Bartolomeo ascolta in silenzio, poi con evidente gioia ringrazia Filippo: “Non avrei mai pensato da solo a tutto ciò che hai detto. La vita spirituale è davvero profonda e illumina tutto e porta novità in ogni aspetto della nostra comunione. Sia lodato il Signore Gesù, che accetta persino l’occasione del nostro peccato per essere invocato e per salvarci.”

E i tre concludono il loro incontro occasionale, anzi occasionato da una sgarbatezza, recitando insieme a voce alta la lode del Dio uno e trino, lodato e benedetto dai Cherubini e dai Serafini e dal cuore umile degli uomini!

Prima di lasciarsi Bartolomeo dice, rivolto a Giuda: “Chiedo perdono a Gesù e a te per la mia impazienza e la mia sgarbatezza.” E Giuda: “Ti perdono volentieri nel nome di Gesù, perché anche lui ti perdona, fratello!”

Filippo sorride. La pace del nome di Gesù riaccende i cuori.

 

18. ANNUNCIARE VALORI

 

Tommaso e Giacomo stanno scambiandosi varie impressioni ed esperienze dopo uno dei loro viaggi missionari, che li ha portati ad incontrare uomini di varie culture e civiltà differenti.

“Il pensiero che più occupava la mia mente incontrando quel popolo era l’ammirazione per l’alto grado di rispetto che vi regnava. Mi pareva di notare un grande amore per la vita, per la pulizia, per il rispetto della natura, per la libertà delle persone. È molto sviluppato pure il senso dell’ospitalità, ritenuta sacra. In qualche momento mi pareva di aver poco o nulla da dire a quella gente, anzi, credevo di dover imparare molto!”

“Com’è bello! Certamente ovunque lo Spirito del Dio Creatore e Padre ha seminato germi di vita che preparano ad accogliere il Verbo della Vita, il Signore Gesù!” Giacomo aggiunge questa sua riflessione alle notizie di Tommaso. E questi, sollevato: “Sì. Ti confesso che in qualche momento ho fatto un bel po’ di fatica e mi dovevo tenere aggrappato a questa luce per non soccombere. Era forte la tentazione di vedere quei valori, innati per quel popolo, o acquisiti in seguito a forte e secolare educazione, come il meglio, come il tutto. «Il vostro Vangelo - mi diceva qualcuno - non insegna l’uguaglianza e la giustizia? E il rispetto per la vita e la pace? E la libertà? Ebbene, noi già viviamo questi valori.»

Se non fosse stato vivo in me il nome di Gesù avrei ceduto. Lo Spirito del Signore continuava a suggerirmi nell’intimo: «Tu non sei mandato ad annunciare valori, ma a far conoscere Gesù. Il Padre non ha mandato Gesù a predicare valori, ma a morire per noi, a sollevare il nostro peccato, a darci il Pane della vita!»

Grazie allo Spirito di Dio rimanevo fermo in Gesù; per il mondo è necessaria la sua Persona. Senza di lui l’uomo rimane nel peccato e non conosce la comunione dello Spirito Santo. In quel popolo, in quella cultura bella e vivace, mi sono reso conto come i valori possano essere trappole, inganni del Maligno che non smette di vestirsi da pecora, pur di impedire che gli uomini incontrino il vero agnello!”

Tommaso riscuote il consenso di Giacomo.

E il loro colloquio continua: essi si confrontano con serenità, trovando equilibrio, sia nell’apprezzare quanto già nella cultura e civiltà dei popoli può essere dono di grazia e segno dell’amore del Padre, e sia nel riconoscere quella sete di verità e di luce e di amore che giustifica il mandato di Gesù: «Andate!».

Giacomo, ascoltato con attenzione da Tommaso, dice: “Il Signore non ha detto: andate tra quei popoli che mancano di valori, ma ha detto: «Andate in tutto il mondo! Fate mie discepole tutte le nazioni!» Fin tanto che l’uomo non accoglie Gesù non gode salvezza. I grandi valori, se ci s’accontenta di essi, possono rendere schiavo l’uomo e impedirgli di gustare la gioia d’essere figlio di Dio, possono fungere da idoli.”

Tommaso e Giacomo concludono il loro colloquio: “Gesù ci mette in guardia dal vestito del lupo. La pelle di pecora è sempre bella e soffice e calda. La pelle di pecora o di agnello attrae per la sua «bontà», chiunque sia colui che la indossa! Essa però è inganno e tranello se non è vestita da una pecora o da un agnello. Così è per i valori!”

“Hai proprio ragione. I nostri fratelli cristiani sono tratti in inganno dalle cose belle e buone e finiscono per assimilare il loro vivere a quello del mondo senza Dio, così si ritrovano senza fede. Spesso e con chiarezza parla di questo anche tuo fratello Giovanni: la pecora si distingue dal lupo non per ciò che indossa, ma per ciò che mangia. Chi non mangia la carne del Figlio dell’uomo, finisce per divorare l’uomo.”

 

19. PATERNITÀ

 

Termino qui il mio incontro con te. Avrei avuto desiderio di riferire anche il colloquio di Matteo con Pietro sulla paternità spirituale, ma lo ritengo ormai superfluo. Risulta già evidente che il discepolo di Gesù ha bisogno d’un altro discepolo di Gesù per avere luce, per ricevere forza, per orientarsi e districarsi tra le varie tentazioni e i molteplici sentimenti e pensieri che insidiano maggiormente chi vuol essere fedele. Dio stesso mette le sue parole e la sua forza sulle labbra degli uomini per comunicare la sua vita. Egli è sempre Padre che dà la vita, e colui da cui ricevo le sue parole vivificanti è per me segno e dono della sua paternità, benché egli sia un fratello che a sua volta cresce verso la statura del Signore Gesù con l’aiuto dei fratelli.

Ti saluto col bacio santo. Ti affido alla Chiesa del Dio vero e di Gesù suo Figlio.

Guardati dai falsi dèi!

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Nihil Obstat: D. Iginio Rogger, cens. Eccl., Trento, 23 maggio 1996