Sono peccatore
Sono peccatore
«Chi è senza peccato
scagli la prima pietra»
(Gv 8, 7)
Gesù si è messo con i peccatori. Egli è con noi: non ci vergogniamo perciò nemmeno davanti a dio, ma ci aggrappiamo a Lui!
INDICE
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra»
Il peccato c'è: Dio lo vede
Il primo peccato
Pozzo screpolato
Se sei figlio ...
Che cos'è menzogna?
Come l'arcobaleno
Io sono il Signore Dio tuo
1° Non avrai altro Dio all'infuori di me
2° Non nominare il nome di Dio invano
3° Ricordati di santificare le feste
4° Onora il padre e la madre
5° Non ammazzare
6° Non fornicare
7° Non rubare 8° Non dire falsa testimonianza
9° Non desiderare la donna d'altri
10° Non desiderare la roba d'altri
Grazie
«Chi è senza peccatoscagli la prima pietra»
Non c'è parola che riesca a convincere più di questa. A convincere che nel mio cuore non c'è stato solo il bene, che dal mio cuore non è uscito solo il bene. Dal mio cuore talvolta, spesso, sono uscite anche cose (pensieri, parole, azioni) che non potrebbero stare nel cuore di Dio.
È vero che dal mio cuore è uscito anche il bene, e non poco. Ma talvolta anche il bene che è uscito, è uscito mescolato a cose che, invece di risanare, hanno ulteriormente ferito: come il medico che curasse le piaghe con gli strumenti adatti, ma non sterilizzati.
Il mio cuore è come quella fontana di cui parla l'apostolo Giacomo: fontana da cui esce allo stesso tempo acqua dolce e acqua amara. In natura non esiste una fontana così, ovviamente.
Faccio fatica a riconoscermi peccatore. Proprio come quei giusti che portarono l'adultera davanti a Gesù (Gv 8, 1-9). Prima vedo il peccato degli altri: è sempre più grosso, grave, insopportabile; è un peccato che mi fa desiderare la loro morte; ed ecco, come in una reazione a catena, s'è fatto strada nel mio cuore... il desiderio della morte per qualcuno... Così, senza accorgermi, è entrato il peccato che era... «accovacciato alla porta» (Gen 4, 7). E quando il peccato è entrato, sono entrate le tenebre: non vedo più nulla. Proprio come quei giusti…
Con una trave sull'occhio, una pagliuzza degli altri diventa trave.
Non vedo più nulla nelle sue vere dimensioni. Il peccato acceca. Il peccato confonde. Il peccato rattrista. Il peccato assorda. Il peccato toglie l'amore generoso. Il peccato fa morire, adagio, ma certamente.
Voglio sapere cos'è peccato! perché non voglio esser cieco, né sordo, né senza amore, né triste. Voglio sapere cos'è peccato, per non lasciarlo entrare nel cuore, e - se fosse già entrato - per consegnarlo a Colui «che toglie il peccato del mondo».
Il peccato c'è: Dio lo vede
Gli occhi di Dio sono come quelli dell'aquila, dice una preghiera.
Egli vede dove io non vedo. Egli ha una luce per vedere nel profondo, nel buio, nel passato e nel futuro. Dio vede il bene, che nasce da Lui, e gode. Dio vede il male - vuoto del bene, esclusione del bene -. Lo vede e cerca di riempire quel vuoto con il suo amore.
Bene e male sono come un pozzo. Un pozzo con l'acqua è il bene, pozzo senza acqua è il male. Pozzo con acqua pura è il cuore dell'uomo riempito da Dio. Pozzo senza acqua è il cuore dell'uomo che non ha l'amore di Dio. Non ce l' ha, non perché Dio sia avaro con lui, ma perché il pozzo ha screpolature che lasciano uscire l'acqua che riceve.
Dio vede il peccato.
Anche l'uomo può vedere il peccato: lo vede quando guarda con la luce di Dio. Lo vede bene, lo riconosce, e non si lascia influenzare da esso - presente in se stesso o negli altri - quando guarda con la luce di Dio.
Se l'uomo guarda con la propria lanterna, con la propria ragione o confrontandosi con il comportamento degli altri, allora non vede nulla: proprio come chi, portando la lanterna davanti al volto, ne viene abbagliato e non vede ciò che lo fa inciampare e cadere. Proprio come quel tale che poteva dire: io non sono come gli altri uomini: sono ladri e adulteri, io no. Credeva d'esser santo. Ma lo era? Non si confrontava con il cuore di Dio, si confrontava col peccato. Illuso. Non posso vedere senza luce.
La luce c'è. Dio, la luce l' ha regalata agli uomini perché vedano finalmente ciò che lui vede. Quando arriva la luce non so mai se vedo prima la luce o le cose da essa illuminate. L'una mi fa accorgere delle altre e queste mi danno la sensazione di quella. Dio ha mandato la luce agli uomini:
«La luce splende nelle tenebre»
«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 5, 9).
«Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»
(Gv 8,12).
La luce, quella vera, che non deforma i colori, c'è. È Gesù. Gesù è un «sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte» (Lc 1, 78).
Addirittura la città di Dio - cioè gli abitanti dell'eternità, gli uomini che hanno scoperto che si può vivere fuori dagli interessi del mondo già da oggi, assumendosi le responsabilità del Padre -, «la città non ha bisogno della luce del sole... perché la sua lampada è l'Agnello»... «... non entrerà in essa nulla d'impuro» (Ap 21, 23 ss).
La luce che fa vedere il male e desiderare il bene è l'Agnello. «L'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29) «Portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori» (Is 53,12; 1 Pt 2, 24).
Il peccato c'è, e c'è la luce per vederlo. Anzi, la luce lo porta. Chi guarda a Gesù, quindi, vede la luce e scopre il proprio peccato: lo vede pesare sulle spalle dell'Agnello di Dio.
Questo è l'unico modo di guardare al peccato: guardarlo sulle spalle di Gesù.
Se lo guardi in altro modo rischi di vederlo male e, soprattutto, di lasciarti scoraggiare (se vedi il tuo) o insuperbire (se vedi quello altrui).
Lo osservo sulle spalle di Gesù:
non mi scoraggio, perché Egli lo porta e mi salva!
non insuperbirò, anzi l'aiuterò come il cireneo, perché insieme al peccato altrui sulle sue spalle pesa anche il mio.
Il primo peccato
La Luce c'è, ma per poterla godere occorre accoglierla: il sole splende, ma se non apro le imposte la mia stanza rimane buia. Questo è il peccato dei peccati: chi rifiuta la luce, anche se i suoi occhi sono perfetti, non vedrà nulla. Chi rifiuta la luce non vede le ombre: per lui tutto è ombra, ed egli crede che quella sia la realtà. È l'esperienza di chi rifiuta Gesù, di chi cerca di far senza di Lui: costui non vede più il male da alcuna parte nella propria vita. Forse ancora lo vede negli altri, come uno che in una stanza buia non vede le proprie mani sporche, ma, muovendosi, urta nella sedia del compagno. È capace di arrabbiarsi perciò per gli altri, tutto negli altri gli appare facilmente male: male, inciampo per sé, ostacolo alla propria libertà; così vede le cose chi è senza luce. Non vede peccato. Il peccato lo vede solo chi ha la luce.
Ma questa tenebra è il peccato peggiore. Il più grande, l'unico che porta alla morte.
Chi vive in questa tenebra provoca certamente molti mali, pur non credendolo. E proprio perché c'è questa tenebra non vede e non si libererà dal male.
Questo è il peccato mortale, gravissimo: il rifiuto della luce, il rifiuto di Gesù. Gesù è la vita che Dio ha mandato agli uomini: chi rifiuta la vita non vive, «chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita» (1 Gv 5,12). È morto. È un peso morto in casa, nella società.
«Chi mi respinge e non accoglie le mie parole ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno» (Gv 12, 48).
Noi vogliamo usare questa luce, accendere questo faro sulla vita degli uomini, sulla nostra vita, per scorgerne il male, quello che è peccato: quel male cioè che segna una rottura del rapporto d’amore filiale che l'uomo ha con Dio.
Non tutto il male è peccato: il mal di denti non è peccato. È peccato quel male che rovina la relazione con Dio, che incrina la fiducia, l'amicizia, il rapporto di responsabilità che Egli partecipa agli uomini, come a figli che ne rappresentano l' Esistenza, la Presenza e la Sapienza.
Chiamiamo peccato tutto ciò che deriva da - oppure provoca - un rifiuto ad essere come figli docili al Padre, figli responsabilizzati dal Padre.
Il Figlio docile e responsabile è Gesù. Ciò che ci fa ribellare a Lui, al suo modo di pensare, di fare, di vivere, lo chiamiamo peccato. Questa parola la può usare soltanto chi ha voluto un incontro con Gesù, chi lo ha conosciuto ed amato, chi ne ha conosciuto l'amore e poi se ne è allontanato, si è discostato da Lui o dal suo insegnamento.
Non mi stupisce il fatto che nel mondo non si usi più la parola peccato, che non se ne abbia coscienza: questa parola è solo di chi è credente. Chi non crede ancora, e chi non crede più, vive nella tenebra. Sente il male, ma non vede il peccato.
La luce è Gesù. Le sue parole sono i raggi di luce.
Pozzo screpolato
Gesù non ha avuto vergogna a raccontare agli amici cose intime della propria vita. E i suoi amici non hanno avuto vergogna a raccontarle a noi, a metterle sulla piazza del mondo. Eccole: le tentazioni del suo cuore. Anche Lui è stato provocato al peccato. Una forza estranea al suo cuore lo voleva convincere, aiutare, incoraggiare ad incrinare il suo amore filiale verso il Padre. Ad incrinarlo e addirittura a rinunciarvi, a interromperlo
Gesù non ha avuto vergogna a dirlo, perché sapeva che quella forza si accovaccia alla porta del cuore d’ogni uomo fin dalla giovinezza, e l'uomo facilmente se ne lascia sedurre. Lui è riuscito a smascherarla, ad assegnarle un nome, ad intuirne le finalità e le eventuali conseguenze profonde per sé e per gli altri.
E non ha usato molta intelligenza. Ha usato invece la sua semplicità ed il meglio che aveva nel cuore: l'amore per i! Padre, per la Parola che il Padre aveva già espresso tramite qualcuno degli uomini precedenti. L'amore per il Padre, Gesù lo esprimeva ubbidendo alle parole degli amici di Dio. E questo atteggiamento lo chiamiamo umiltà. Con l'umiltà semplice Gesù ha smascherato e svigorito una forza tremenda.
Le ha dato il nome «Satana» (cioè «avversario», tradotto in greco dagli evangelisti con la parola «diavolo», cioè il calunniatore o provocatore di discordia e divisione), l'ha smascherato come padre di menzogna e padre delle tenebre. Ha intuito che la sua attività ha come scopo ha la ribellione a Dio e come conseguenza il dominio degli uomini. Satana infatti porta l'uomo a considerare tutti gli altri come suoi avversari, e se stesso come giudice universale del bene e del male, al posto del Padre.
L'umiltà filiale e semplice ha dato a Gesù luce e forza per non accogliere la seduzione. Ma Gesù ha raccontato il fatto - e noi gli siamo riconoscenti - perché nessuno l'avrebbe vissuto come Lui e noi avremmo potuto cadere nella sfiducia all'apparire di forze contrarie e rimanerne abbagliati e vinti.
Ora invece abbiamo la sua furbizia, la sua sapienza e l'appoggio della sua forza.
Gesù dunque ha smascherato il padre delle tenebre come padre di menzogna. Il generatore delle tenebre è generatore di menzogna. Intendiamo con questa parola non solo il dire ciò che non è o il ritenere bene ciò che è male: questo è solo un significato superficiale del termine. Menzogna è tutto ciò che nasconde Dio: che non lo lascia apparire come Padre, come Figlio, come Spirito Santo o lo tiene nascosto del tutto.
Menzogna è ogni forza interiore o esteriore che provoca parole o silenzi o atteggiamenti o gesti che di Dio non dicono nulla, che di Dio non portano nulla, che di Dio non manifestano nulla.
Pensieri, parole, opere e omissioni che nascondono o escludono l'amore di Dio: li chiamiamo peccati o vita di peccato. E vengono dal padre della menzogna, sono frutti della menzogna.
Il pozzo che lascia uscire l'acqua dalle crepe non mostra e non dà nulla di ciò che ha ricevuto. È solo illusione. E chi si ferma per bere muore di sete e di delusione.
Ecco la menzogna: una vita che non mostra e non dà ciò che riceve dall'Alto, non lascia vedere e non dona la pazienza di Dio, la dolcezza di Dio, il disinteresse di Dio, la bontà di Dio, il perdono di Dio, la delicatezza di Dio, la fermezza di Dio, l'umiltà di Dio, la sapienza di Dio, la presenza di Dio, la gentilezza di Dio, la vita di Dio.
Ogni peccato è menzogna, pozzo vuoto. Ogni menzogna è rivelazione di peccato. Ogni atteggiamento senza Dio, o con Dio fuori del posto che Gli compete, è atteggiamento menzognero: e genera guai.
Se sei figlio ...
I tre tentativi dell'«avversario» sono apparentemente diversi, ma provengono dalla stessa bocca e dalla stessa mente. Sono inoltre dello stesso tipo di quel tentativo usato con Eva, così com'è raccontato dalla Bibbia.
Si potrebbero riassumere così: «Fa' la prova per vedere se è vero ciò che ha detto Dio».
Sembra, a prima vista, una cosa innocua; la ragione non trova subito una convinzione da opporre. Se ci si ferma a ciò che la mente capisce, sembrerebbe logico e ben fatto provare: provare la verità di Dio... per essergli più fedeli!
Ma l'uomo non è solo mente. Nel concepire un ragionamento simile si è reso necessario un cambiamento di spirito: dallo spirito di fiducia filiale, d’abbandono semplice, d’amore totale, si passa ad uno spirito di dubbio della verità di Dio, della sua sapienza, della sua onnipotenza, della sua paternità. Non più abbandono di figlio, non più fiducia completa. Anzi, sottopongo Dio ad un giudizio in cui io sarò il giudice: sto a vedere se Dio supera la prova. In tal modo Dio non è più il mio Dio, sono io divenuto pari a Dio, anzi, superiore.
La lotta con l'avversario è a livello spirituale: per ingannare egli fa apparire a livello cerebrale, dove gli sarebbe più facile la vittoria, la lotta dello spirito. È una lotta difficile, interiore. Gesù, attento allo spirito, è vincitore.
L'uomo spirituale, quando è attento allo spirito, vince, con Gesù. L'uomo carnale, quello che non conosce e non dà importanza allo spirito, non riesce a vincere: si lascia attirare con la mente su un terreno svantaggioso: quello della ragione.
Gesù viene affrontato così: «Se sei figlio di Dio...». Che fosse figlio di Dio gli era stato confermato prima di entrare nel deserto: «Tu sei il mio figlio prediletto...». Ora gli viene proposto di fare la prova, perché... potrebbe non essere vero! Ecco il dubbio della Parola di Dio. E poi, in che modo viene suggerita la prova? In due modi falsi, modi che impegnino in maniera straordinaria la potenza divina: trasformare le pietre in pane, gettarsi dalle mura! Obbligare Dio a ciò che umanamente è impossibile. Non credere all'amore che Dio esercita già nei modi cosiddetti «naturali», normali.
La terza tentazione è più spudorata ancora delle altre due. «Ti darò questa potenza... poiché è stata messa nelle mie mani». La menzogna diviene sempre più palese. È vero che l'avversario si è fatto padrone dei regni e della potenza, e che - spesso - è proprio lui a guidarli e trascinarli, ma non è vero che tale potenza gli sia stata messa nelle mani. Se ne è impossessato ogni volta.
Gesù riconosce il padre delle tenebre, menzognero fin dal principio: da sempre e fin dalla prima parola che pronuncia!
Gesù sa che lo Spirito Santo, Spirito di verità, avrebbe parlato diversamente:
se sei figlio di Dio, non preoccuparti! Egli ti è Padre.
Se sei figlio di Dio, godi che ti ha protetto e abbi stima della vita che hai ricevuto da Lui!
Se sei figlio di Dio, lascia che Egli governi cielo e terra e amalo, amalo fino a donargli la tua vita, fino a servire gli uomini che Egli ha creato: così sei vero figlio che compie le opere del Padre!
Gesù, amando il Padre, distingue ciò che non viene da Lui: distingue gli spiriti. Amando il Padre trova le Sue parole che lo rassicurano: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»! «Non tentare il Signore Dio tuo»! «Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto».
Gesù, amando il Padre sopra tutto, trova nell'amore la luce per discernere e la forza per vincere lo spirito di menzogna.
Che cos’è menzogna?
Menzogna è ciò che nega la verità. La verità può essere negata in vari modi: mettendola da parte, ignorandola, affermando il contrario di ciò che la essa dice.
Ma che cos'è verità? Superficialmente si ritiene che verità sia il racconto di un fatto accaduto, o il riferire di una cosa o persona come veramente essa è. Ho detto «superficialmente»; difatti uno stesso fatto può essere vissuto e quindi riferito in modi contrastanti: e tutti pensano d'aver detto verità.
Verità è la vera realtà. La realtà duratura ed eterna è Dio, ed il rapporto che ha Dio con le cose, con le persone e con gli avvenimenti.
Come si può conoscere la Verità? Come si può conoscere Dio ed il Suo rapporto con noi e le nostre cose? Nessuno, se non il Figlio, ce lo può rivelare. E il Figlio lo ha fatto donandoci lo Spirito di verità: «Chi vede me vede il Padre». «La verità venne per mezzo di Gesù Cristo». «Io sono la Verità».
Gesù, Parola di Dio, con la vita, le opere e le parole ci ha fatto conoscere il cuore del Padre e la sua volontà. Gesù è Verità. Lo Spirito Santo, che ci ricorda le parole di Gesù e ci fa riconoscere Dio come Padre, è Spirito di verità. Verità dunque è colui che ci «rivela» il Padre! Partecipazione alla Verità sono quelle persone, quegli. atteggiamenti, quei sentimenti, quelle parole che ci fanno vedere o gustare qualcosa di Dio Padre. Una persona che ama, che perdona, che ha pazienza, che coglie il lato positivo, che è fedele, che dona il meglio di sé, con questo suo agire ci lascia intravedere qualcosa dell'amore, del perdono, della fedeltà di Dio Padre. Una persona che ama e ubbidisce a Gesù, partecipa all'amore del Padre per il suo Figlio prediletto, e lo rivela. Questa persona in qualche misura è Verità.
Menzogna è invece ciò che tiene nascosto Dio!
Lo si può tener nascosto con azioni malvage, ma anche con azioni normali, vissute in modo piatto e ambiguo, con una vita superficiale, con omissioni del bene, con una vita vissuta senza diretto riferimento a Dio. Noi nascondiamo Dio, che è amore, ogni volta che non amiamo. Ogni volta che i nostri pensieri si chiudono nell'egoismo siamo menzogneri. Ogni volta che diciamo la verità senza amore siamo menzogneri. Ogni volta che parliamo bene di Dio, senza amarlo, siamo nella menzogna. Ogni volta che parliamo di un uomo, di uno qualsiasi, senza amarlo e senza vederlo come amato dal Padre, siamo nella menzogna.
La menzogna è più diffusa in noi stessi di quanto crediamo. Anche molto di quell'amore che crediamo di donare agli altri, parenti ed amici, è menzogna, perché non è l'amore che il Padre ha per il Figlio.
Quando desideriamo per i figli o per altre persone che non abbiano a soffrire ci sembra di amarle: come Pietro che augurò a Gesù di non subire tormento e persecuzione. Ma Gesù riconobbe in quell'augurio la menzogna: «Via Satana! Tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini». Molti dei nostri auguri sono menzogna.
Quando diciamo: «Sono sincero se ti dico così e così...» (es. vado a Messa quando sento veramente ...) siamo menzogna, perché di Dio in tal modo di fare o di dire non si vede nulla. Anzi Dio viene nascosto, viene nascosta la Sua Volontà, il suo desiderio di Padre per noi, desiderio di raccogliere i figli come la gallina raccoglie i pulcini.
Questa menzogna - spirito di menzogna - pervade molti ambienti, molte persone, e molti dei nostri più «normali» atteggiamenti. Ogni peccato è menzogna che diviene concreta. E diviene concreta anche in situazioni che non chiamiamo peccato, ma che ugualmente escludono o accantonano Dio.
L'amore rivela Dio. L'amore di Dio smaschera la menzogna. Per questo il comandamento «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze» è salvezza e dà la vera luce per l'amore del prossimo, per questo motivo questo comando racchiude tutta le legge e tutta la volontà che Dio ha manifestato tramite i profeti.
L'amore è la completezza della legge. Dio è Amore.
Come l'arcobaleno
Dio è Amore. Tutto ciò che non è Amore è menzogna, perché non rivela Dio. Ma io - uomo - molte volte ritengo che siano amore azioni, pensieri e atteggiamenti che non riflettono la Parola di Dio, la sua Volontà: ritengo amore ciò che non è Amore del cuore di Dio. Perché il mio amore sia Amore di Dio o espressione dell'Amore che c'è nel cuore di Dio, devo misurarlo sul Suo, lasciarmi guidare e orientare da Lui, in una parola: «ubbidirlo».
I comandi di Dio non sono ordini, obblighi, sono piste per le varie situazioni della vita, per le varie relazioni umane, piste entro le quali si può esercitare l'amore del Padre, o meglio, piste fuori delle quali siamo menzogna, nascondiamo le intenzioni del cuore di Dio.
I comandi di Dio sono quindi Sapienza, sono un dono fatto alla nostra ignoranza e distrazione e superficialità. Sono come i sette colori dell'arcobaleno, che sommati danno la luce del sole! L'unica luce del sole si manifesta con i sette colori! Se sono vissuti tutti in armonia, i comandi di Dio lasciano trasparire la luce dell'amore del Padre! E a loro volta sono ciascuno una luce che riassume con una parola sola molteplici atteggiamenti del cuore e decisioni di vita.
I comandi di Dio potrebbero essere elencati in una lunga serie...interminabile, perché innumerevoli sono le situazioni in cui ci troviamo a vivere durante l'esistenza. Ma già dall'antichità i profeti e sapienti di Dio hanno cercato di rendere l'elenco breve, a portata della memoria dell'uomo e, del resto, riassuntivo di tutte le situazioni. Gesù stesso ha usato tale elenco, come possiamo leggere in qualche passo del Vangelo.
Sto alludendo all'elenco dei dieci comandamenti, o decalogo, così come Mosè l' ha letto sulle due tavole di pietra. Un elenco di comandi che dice troppo ad alcuni, e troppo poco ad altri. Ognuno di questi comandi è come il capofila di una serie di atteggiamenti che il cristiano vero deve assumere o cercare di evitare: solo il capolista! Per es.: il comandamento - non uccidere - indica la prima di una interminabile serie di azioni da evitare, serie che continuerebbe così: non far del male, non offendere, non danneggiare la salute, non togliere nessuno dal cuore, difendi, esercita la pazienza, perdona...
E, d'altra parte, tutt'e dieci i comandamenti non avrebbero bisogno di essere elencati se si vivesse appieno l'unico comando dell'amore: Amerai il Signore Dio tuo, amerai il prossimo tuo.
Ma per l'ignoranza dell'uomo e le sue continue distrazioni e la sua tendenza costante a lasciarsi ingannare da quel che piace, è stato, è e sarà sempre necessario sminuzzare questo comando in tante piccole norme. La mamma che manda il figlio a far la spesa basterebbe dicesse: «Va' a far la spesa». Ma, conoscendo le debolezze del ragazzo, ella aggiunge: «Non fermarti a guardare le vetrine, non fermarti a giocare, osserva bene prima di attraversare la strada, attento a non perdere i soldi». Il ragazzo si rende conto che ognuna di queste norme sono per lui un'occasione di amore alla sua mamma, e che l'amore che le dà facendo la spesa sarebbe falso se rovinato dalle altre disobbedienze.
L'uomo non dovrà prendere nessuno dei comandamenti come un ordine a sé stante, bensì solo come una indicazione o un ricordo di uno dei campi dell'esistenza in cui va vissuto l'amore.
Pienezza della Legge è l'amore! Pienezza di vita è l'amore!
Io sono il Signore Dio tuo
Prima di donarci le parole della sua sapienza per la nostra vita, i dieci capisaldi dell'esistenza umana, Dio vuole ricordare ancora all'uomo che Egli è Persona, Egli è uno che sta di fronte a noi. «Io sono il Signore Dio tuo».
L'autorità dei comandamenti che pronuncerà non sta nella più o meno comprensibile ragionevolezza degli stessi, ma nella sua persona.
Egli è colui che ci ha creati,
Egli è colui che ci ha salvati,
Egli è colui che ci ama, l'unico che ci dona amore eterno e perciò i suoi comandi sono autorevoli: e sono autorevoli perché Egli ci ama, ci ama davvero.
L'uomo assomiglia sempre a quel notabile, che, incontrando Gesù (Mc 10, 17), gli disse: «Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna»?
L'uomo cioè è sempre alla ricerca di fare per avere: in fondo è una ricerca di se stesso, di potersi dire padrone della propria situazione, di poter vantare qualche cosa o qualche diritto, di potersi fidare di sé, delle proprie forze e della propria bontà. L'uomo è in cerca della bontà: con essa crede di avere qualche diritto su Dio.
Gesù non vuol lasciar equivoci. E pur di non illudere rifiuta Egli stesso l'appellativo di buono. Solo Dio è buono! Nessuno è buono! Nessun uomo in sé può avere la bontà! L'uomo può obbedire, entrare in relazione con Dio - unico buono - con la propria adesione alla sua Volontà. In tal modo Dio stesso sarà presente nella sua vita.
Ciò che importa all'uomo - per entrare nella vita - non è il suo fare, ma la sua relazione con Dio! È una relazione che si manifesterà certamente col fare, ma non inizia né si esaurisce con esso. Riconoscere la bontà è riconoscere la vita divina. Chiamare Gesù «buono» senza seguirlo, equivarrebbe quindi a riconoscere Dio senza adorarlo: proprio come fanno i demoni! Essi riconoscono la presenza divina, ma non tacciono e non si inginocchiano con amore davanti a Lui.
Così l'uomo che riconosce la «bontà» di Gesù senza seguirlo, si autocondanna: con le proprie parole condanna la propria vita. O con la vita smentisce le parole vere che ha pronunciato. Proprio come il demonio che mentre dice: «Io so chi tu sei: il Santo di Dio» coltiva nel cuore ed esprime coi gesti: «Sei venuto a rovinarci!» (Mc 1,24).
Quell'uomo ricco aveva osservato i comandamenti fin dalla giovinezza. Eppure egli stesso si è accorto che tale osservanza non gli aveva dato vita, non aveva costruito in lui l'uomo nuovo, non lo aveva riempito. - «Aveva fatto» ma non «aveva» la vita. Cercava ancora qualcosa da «fare».
Gesù si è accorto: osservare i comandamenti, per quell'uomo, era stato menzogna, inganno. Perché non amava la Persona di Dio al di sopra di tutto. Non aveva donato l'amore, non aveva donato la vita al suo Dio. Aveva fatto qualcosa per avere qualcosa. Il centro dell'attenzione era la propria persona. E così era rimasto nell'egocentrismo, nell'egoismo. Gesù perciò propone il rimedio, un rimedio sicuro: se vuoi essere perfetto, cioè se vuoi essere nell'amore, se vuoi che la tua vita sia immersa in quella di Dio, togliti le illusioni e tutto ciò che ti costringe a pensare a te stesso e ad aver cura di te, vendi cioè tutto e disfatene, poi «vieni e seguimi». Mettiti davanti agli occhi Colui che hai riconosciuto come buono, e seguilo. Una persona davanti a te, non un ideale. Una persona concreta esige amore concreto. L'amore, per esser tale, deve essere concreto. Tu non ti farai, dei comandi o della sapienza di Dio, un idolo, né un ideale, perché Dio stesso è davanti a te: «Io sono il Signore Dio tuo».
1. Non avrai altro Dio all'infuori di me
Ma è possibile? Dal momento che c'è un Dio solo, non si può averne un altro, pensano molte persone. E così credono che il primo dei comandamenti sia proprio superfluo.
E invece è proprio possibile, e succede molto spesso in ambienti cristiani, che esistano altri dèi.
Cos'è «dio»? Con questa parola designiamo ciò su cui si basa la vita di un uomo, ciò su cui una persona appoggia le decisioni, le scelte, ciò che ispira i moti del suo cuore, ciò a cui un uomo ubbidisce ciecamente.
Dio, il Signore, lo sapeva che l'uomo è capace di avere altri dei. E noi pure lo sappiamo, perché lo vediamo. Vediamo persone ubbidire ciecamente alle leggi dell'economia (cioè dell'aumento del denaro nel proprio portafoglio), altre che appoggiano scelte e decisioni sulla sete del potere e della carriera, altri che vivono fidandosi del "comodo", molti che ubbidiscono al «come fanno tutti», e quei tutti sono solo i più in vista e i meno fidati.
Sono alcuni dèi moderni (ma abbastanza vecchi ed esperti).
Ci sono quindi altri dei. E chi se ne fa servitore rimane schiavo: non conoscerà la libertà né la gioia. Rimane schiavo di leggi assurde: arriverà all'imbroglio, all'omertà, al chiamare bene ciò che gli procura del male perché quel che fanno tutti non gli procura il bene della libertà e della gioia profonda. Con questi dèi così infidi, sicuri solo della paura che procurano continuamente (paura della povertà, paura del giudizio altrui, paura dei clienti, paura dei colleghi, paura del pericolo, paura di... tutto), l'uomo è attratto verso cose che promettono una sicurezza maggiore, anche se irragionevole: oroscopi, superstizioni, riti magici, profezie di maghi, di donne che leggono mani e carte, ecc.
E l'uomo diviene sempre più schiavo.
E sempre più menzognero e tenebroso: non manifesta nulla della vita di Dio Padre: in lui, nella sua vita, non si può «leggere» o «vedere» nulla dell'amore disinteressato del Padre, perché tutta l'esistenza è tesa verso di sé.
Se voglio sbarazzarmi di questi dèi, o idoli, e non avere nessun altro Dio all'infuori del Padre di tutti, devo coltivare un rapporto d'amore con Lui. Coltivare! Se il rapporto d'amore non è coltivato, non cresce, né vive.
Come si può coltivare un rapporto d'amore?
Generalmente chi si ama cerca di avere relazioni frequenti; si cerca, si visita, si telefona, si scrive. Queste relazioni, con Dio, le chiamiamo preghiera.
Con questo primo comandamento siamo perciò richiamati ad un amore verso Dio che si fa ricerca di Lui, preghiera, ascolto, adorazione, attenzione alla Sua volontà, lode e ringraziamento.
Una persona che lasci passare una giornata senza trovare il tempo di stare col suo Dio, puoi dire che lo ami sopra tutte le cose? La preghiera è per il credente un dovere quotidiano; se mancasse, la sua vita sarebbe menzogna a se stesso, significherebbe che egli ha di certo un altro dio, qualcosa di più importante di Dio.
Difficilmente chi non si tiene unito a Dio con costanza saprà rimanere libero dagli dèi del mondo!
Se una persona vuole rimanere nella verità e manifestare con la propria vita qualcosa della vita di Dio dovrà desiderare l'unione con Lui in ogni momento: l'unione del cuore e l'unione della mente! Non si accontenterà quindi di recitare preghiere, di dire più o meno in fretta alcune formule a memoria: questo non è pregare! Cercherà invece di entrare col cuore nel cuore di Dio, con la mente nei suoi pensieri, perché l'amore non si accontenta di dire «ti amo», ma ama per davvero e desidera trasformarsi per piace-re all'amato.
Chi ama Dio si appoggia su di Lui e si fida di Lui: «Non angustiatevi per nulla». «Il Padre sa ciò di cui avete bisogno»!
L'agitazione e le preoccupazioni sono un'offesa al Padre, come non ci fidassimo di lui, che ci stima e si occupa di noi più che dei passeri, ai quali non manca nulla. La tristezza e la noia sono altre offese alla presenza di Dio, come se Egli non valesse nulla per il nostro cuore.
La rabbia, le arrabbiature quotidiane, sono ancora un'offesa a Dio, che sa contare i capelli del nostro capo. Egli sa usare tutto, anche le cose che vanno storte, per il bene di chi lo ama. Perché arrabbiarsi? La rabbia nasconde l'amore di Dio, è menzogna. E spesso provoca la bestemmia e l'ira... Un grave peccato la rabbia: segno di idolatria.
2. Non nominare il nome di Dio invano
Il nome di Dio, nessuno lo conosce! Almeno si può dire che nessun uomo può con le sue labbra pronunciare il nome di Dio; l'uomo non può dare a Dio un nome adeguato, perché non conosce Dio in modo adeguato. L'uomo può conoscere Dio per quanto riguarda il reciproco rapporto che Egli ha stabilito e rivelato. Già l'affermare quindi di conoscere il Nome di Dio è un'usurpazione, una bestemmia! Quando Dio stesso si è rivelato ha dato alle labbra umane dei nomi che, se da un lato dicono qualcosa di lui, d'altro lato Lo nascondono ancora più!
Il famoso nome rivelato a Mosè «Io sono colui che sono» («io sono colui che salva») dice che l'uomo può affidarsi a Dio del tutto, ma non dà delle sillabe con cui chiamarlo. E il «nome» che Gesù ci ha messo nel cuore non è un nome, ma solo un termine di relazione che ci aiuta ancora più a realizzare l'abbandono e la fiducia piena di amore: Padre! Abbà!
Tuttavia gli uomini vogliono un nome di Dio sulle labbra. A loro serve. A loro serve non tanto per lodarlo o parlargli (cosa che si può fare senza «nomi»), quanto per distinguersi dagli altri uomini, per distinguere il proprio «gruppo religioso» dagli altri.
È il caso tipico dei Testimoni di Geova, che usano questo nome per proclamarsi gli unici conoscitori di Dio e non avere nulla in comune con nessun'altra fede religiosa, vantandosi superiori a tutti. Agli uomini poi, purtroppo, il nome di Dio serve anche per esprimere e sfogare scatti d'ira e di rabbia; ed allora si accontentano anche del nome comune «dio»! E infine agli uomini serve il nome di Dio per giustificare le proprie azioni, non importa se contrarie all'amore di Dio.
E così è successo che durante la guerra un esercito proclamava a se stesso «Gott mit uns», Dio con noi! per togliere dal cuore dei soldati gli ultimi residui di dubbio sulla verità e «bontà» delle loro conquiste e battaglie. Caso limite, questo, ma frequente nelle piccole dimensioni personali: di chi, ad es., con la propria fede giustifica il proprio arrabbiarsi con gli altri, o la propria ironia e mormorazione.
In ognuno di questi casi è riconoscibile l'azione del maligno, che vuole farsi uguale a Dio, anzi superiore: vuole dominarne il nome, e in pratica tratta se stesso da suprema divinità. In ognuno di questi tre casi non viene riconosciuta alcuna divinità al di sopra di se stessi, non ci si ritiene doverosi di adorazione, di amore, di ubbidienza e abbandono fiducioso al Padre. E tutto questo avviene abusando dei nomi che noi uomini attribuiamo al nostro Creatore e Salvatore e che abbiamo consacrato solo a Lui.
Chiamiamo generalmente questo modo di... parlare o di agire col nome di bestemmia! Ancora il nome di Dio viene usato «invano» o chiaramente senza amore per Lui quando si giura superficialmente e senza reale grave necessità o quando si fanno voti senza senso o senza approvazione.
Pronunciare il nome di Dio in questi modi e a queste condizioni è chiaro che a Lui non dà gloria e di Lui non manifesta nulla, anzi, manifesta di Dio ciò che di Dio non è. L'uso del nome divino per giustificare le guerre è il caso più lampante: si vuol attribuire a Dio ciò che invece ha origine dal maligno. Altro esempio è la domanda retorica frequente «come mai Dio permette le uccisioni, il male ecc...» quando sappiamo bene che Dio non le approva.
Chi si sfoga nella rabbia con il nome di Dio, attribuisce - anche involontariamente - al Signore il male che lo adira. E così ogni bestemmia è una grossa menzogna! Ed è un grosso scandalo, perché - ripetuta - penetra nelle menti e nella memoria di chi l' ascolta anche contro volontà: nella mente, a lungo andare, può diventare ossessione e «scappa fuori», procurando assuefazione o sofferenza spirituale enorme, a seconda della delicatezza o meno della coscienza.
Ogni bestemmia, volontaria o involontariamente detta, sa più di diabolico che di umano. Tutte le forze devono essere impiegate per vincerla: le forze della volontà e le forze spirituali, fino a ricorrere alla benedizione o all’esorcismo.
La nostra voce, le nostre parole devono essere solo portatrici di lode, di ringraziamento, di adorazione a Dio e di serenità, di sapienza e di pace agli uomini.
3. Ricordati di santificare le feste
Un comandamento per la memoria. Ricordati...!
Qualcuno ebbe a definire l'uomo come «l'animale che dimentica», contrariamente alla usuale definizione «animale che ragiona»! Le dimenticanze dell'uomo infatti sono molte. Ce ne sono di innocue, ma ce ne sono di fatali.
Che l'uomo dimentichi il significato della propria esistenza, la sua origine ed il suo destino è una delle dimenticanze peggiori. È una dimenticanza che porta a conseguenze di vita menzognere e ingannatrici a livello personale e sociale. Il ricordo invece di tali princìpi è più che mai salutare, aiutando l'uomo a crescere nella direzione esatta della propria pienezza.
L'uomo deve cercare i modi più semplici e più belli per ricordare a se stesso e aiutare la memoria degli altri a non dimenticare quale è lo scopo della propria vita. Il modo più bello è... non relegare il fine della vita alla fine della stessa, ma piuttosto anticiparlo e pregustarlo!
Scopo della vita è far festa con Dio, far festa in Dio, nella sua amicizia! Solo il raggiungere questa meta darà alla vita la sua realizzazione piena!
Oggi non si può vivere di feste: chi non lavora non mangia! Però oggi già si deve ricordare che alla festa siamo destinati, e alla festa con Dio. Dobbiamo ricordare che la nostra festa sarà con Dio e che perciò le cose, il denaro, il lavoro non sono il tutto della vita, non sono la pienezza dell'uomo. Per ricordarlo non basta dirlo, è necessario farlo, esprimerlo concretamente! Ci è così facile lasciarci prendere dall'ingranaggio del lavoro e del guadagno, fino al punto da diventare schiavi di ritmi e occupazioni incalzanti, tali che non lasciano all'uomo la possibilità di gustare la gioia di vivere, di essere uomo, di avere relazioni disinteressate con gli altri uomini!
Ed ecco il comandamento che... obbliga l'uomo a far festa! Sembra un controsenso, che l'uomo debba esser "comandato" anche a questo! Eppure, ne costatiamo la necessità. Chi osserva questo «ordine» vive un ritmo lavoro-riposo che gli permette anche psicologicamente e fisiologicamente una vita sana e serena. L'attenzione non è però solo al corpo e alla psiche: anche lo spirito ha bisogno di un suo riposo, che può ricevere solo a contatto con Colui da cui è venuto; ed ecco il giorno di festa diventare l'occasione privilegiata per nutrire il cuore con la Parola di Dio, con la lode e il ringraziamento, col ricordo delle opere dell'amore del Padre, col rivivere la Cena del Signore in unione e armonia con gli altri cristiani.
Un cristiano non santifica la festa dormendo tutto il giorno o divertendosi tutto il giorno. La santifica solo se vi mette dentro cose sante: preghiera, amore gratuito del prossimo, dei sofferenti, celebrazione dei misteri di Dio, ascolto della sua Parola, cura dell'unità della famiglia... Chi alla domenica o alle feste vede solo sé stesso e adopera il tempo per i propri divertimenti, anche se non ha lavorato, non ha santificato il giorno del Signore! Si è illuso! La sua non è stata una festa. Ha escluso Colui che solo dà senso alla vita e gioia all'esistenza. Chi pensa al proprio divertimento non trascorre il tempo col Dio dell'amore!
Tralasciare il lavoro è l'occasione che viene data e ricevuta per avere il tempo di diventare dono, di compiere l'opera di Dio che è l'amore per Lui e per il prossimo. Chi non arriva a questo alla domenica, è caduto nella menzogna! È rimasto all'egoismo. L'egoismo non fa festa, non vede né tocca Dio.
E anche colui che alla domenica bada al proprio sentimento - se non se la sente, non partecipa all'assemblea cristiana (la Messa) - anche costui esprime egoismo e idolatria: ubbidisce più a quel che "sente" la sua coscienza che agli inviti del Signore: «Venite a me voi tutti»! «Fate questo in memoria di me»! «Non disertate le nostre riunioni come alcuni hanno l'abitudine di fare» (Ebr 10, 25). Costui non manifesta d'avere un Dio al di sopra di sé! Il Dio che crede di adorare se lo tiene "sotto"!
«Ricordati di santificare le feste» equivale a «Fa' qualcosa di concreto, perché la tua vita sia preservata dagli idoli e giunga invece a gustare il riposo e la festa eterna, cui sei destinato, con il tuo Dio e con tutti i suoi figli; a gustarla in modo tale da alimentare nel tuo spirito il desiderio di essere sempre orientato al Padre che è nei cieli, e la certezza di esser già ora guidato da Lui».
4. Onora il padre e la madre
Onorare non è propriamente sinonimo di obbedire! L'uomo non deve imparare ad obbedire ai genitori, deve imparare ad obbedire a Dio! e difatti dal ragazzo, dal giovane che ubbidisce a Dio i genitori ricevono onore! L'uomo che fin dalla giovinezza avrà imparato ad ubbidire a Dio saprà onorare degnamente anche la sua nazione, la sua comunità umana e politica: chi rende onore ad una nazione e alle autorità di una nazione se non le persone che vivono obbedienti a Dio ed esigono tale obbedienza anche da coloro che hanno il compito di rappresentarne ed esercitarne la giustizia?
E nella Chiesa avviene la stessa cosa: fanno onore alla santa madre Chiesa quei suoi figli che ubbidiscono a Dio in essa! e così sono un aiuto, richiamo e sostegno anche per coloro che hanno compiti di guida e paternità. San Paolo ha onorato la Chiesa quando ha rimproverato Pietro, che riconosceva suo superiore, per la sua non chiara e decisa testimonianza al Signore Gesù. E Pietro, pur umiliato e sofferente - umiliato dallo scoprirsi così infedele - s'è sentito onorato d'avere un fratello di fede così attento alla volontà di Dio e capace di rimproverarlo.
Gesù, ragazzo dodicenne, ha onorato i genitori con la sua... disobbedienza. «Bravi» si potrebbe dire, «genitori che hanno saputo educare il loro figlio ad un'attenzione tale al Padre dei cieli»! Ai bambini e ai ragazzi diciamo che il Signore vuole che essi ubbidiscano ai loro genitori. E diciamo bene: ragazzi che sanno obbedire, essere attenti alla volontà altrui, essere docili, hanno garanzia di mantenere tale docilità e attenzione anche nei confronti di Dio. Ma non possiamo dire ai ragazzi di obbedire ai genitori senza dire, prima ancora, ai genitori di obbedire a Dio! Se questa ubbidienza non ci fosse, dovremmo dire ai ragazzi di disobbedire! Così non si può dire ai membri di una nazione o di una comunità umana o di un ambiente di lavoro di obbedire alle autorità civili o ai propri superiori e capi senza aver prima ottenuto da loro che obbediscano a Dio! E nella Chiesa stessa vescovi e sacerdoti possono chiedere obbedienza ai fedeli solo se essi stessi sono nell'obbedienza alla Parola e alla Grazia di Dio: e per averne garanzia esercitano una grande disponibilità all'unità tra di loro. Ad un vescovo che non sia in unità con gli altri vescovi non puoi obbedire! E ugualmente ad un prete che non sia in unità col suo vescovo.
«Onora il padre e la madre»: fa' attenzione alla persone che sono incaricate di esercitare il servizio dell'autorità su di te, nella tua comunità familiare, sociale, ecclesiale!
Onorarle comporta certamente rispettarle, riconoscere il loro servizio, aiutarle con amore perché lo svolgano come servizio e non come potere; significa aiutarle a dare attenzione ai veri bisogni delle persone di cui devono occuparsi.
E se il padre perde il senno? Onorarlo ancora, dice la Bibbia. La persona di cui Dio s'è servito per darti la vita o per rendertela matura e preziosa e ordinata è sempre degna di ricevere il tuo grazie! E se uno esercita bene il servizio dell'autorità? A costui doppio onore, dice san Paolo.
E il padre e la madre, i superiori e le autorità quale rapporto coltiveranno con i loro figli e inferiori?
Essi sanno di svolgere un servizio che è stato loro affidato e lo esercitano con le doti e le capacità che hanno ricevuto. Terranno gli occhi rivolti al Padre, per cogliere da Lui qual è il modo vero d'esser padre e madre, per sapere da Lui qual è il vero bene individuale e sociale dell'uomo.
«Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino»! (Col 3, 21), «ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6, 4).
Voi, padroni, non fate diventare macchine i vostri operai!
Voi, sindaci o consiglieri comunali, non ritenetevi despoti della comunità dei vostri fratelli!
Voi, membri dei comitati di gestione di società o cooperative, non consideratevi autorizzati a sfruttare il vostro prossimo!
Voi, albergatori, trattate con uguale amore e attenzione ospiti e dipendenti!
Voi, capi di società sportive, sappiate che i ragazzi sono più preziosi delle coppe!
Voi, capiofficina, date il lavoro e non l'abitudine alla bestemmia! Voi, maestri e professori, date la sapienza dei secoli e non le vostre scoperte anarchiche! Attirate all'unico Maestro, non a voi stessi!
Ognuno eserciti il proprio compito verso gli altri con l'energia ricevuta da Dio, con l'amore che Lui nutre verso tutti!
5. Non ammazzare
Caino ha dato l'esempio a molte persone. E Pilato non s'immaginava di esserne un seguace: di essere strumento dello spirito di Caino presente in centinaia e migliaia di uomini.
L'ammazzare, il gesto che mette termine a una vita, è solo l'ultimo gesto provocato da una serie di atteggiamenti precedenti, e il primo di una nuova serie che ne scaturisce.
L'acqua non bolle se prima non hai acceso un fiammifero e messo la legna nel fuoco. Se non vuoi arrivare ad ammazzare devi smorzare molti sentimenti che nascono nel segreto del cuore. Quali?
Tutti quelli che tolgono vita al prossimo, tutti quelli che potrebbero essere impedimento al pieno svilupparsi e maturarsi della vita umana di un'altra creatura di Dio.
I tuoi pensieri di superiorità limitano la libertà interiore del tuo prossimo e quelli di inferiorità non ti permettono di donare il frutto delle tue doti ai fratelli. I sentimenti di antipatia ti portano a non accoglierli e i sentimenti di simpatia li legano a te, non li lasciano pienamente liberi.
La tua curiosità fa chiudere il cuore del fratello, e la tua indiscrezione lo blocca nell'intimo.
Le tue rabbie fanno star male chi vive con te, che è obbligato ad attenzioni esagerate nei tuoi confronti.
Il tuo alzar la voce rovina la salute fisica e psichica sia tua che degli altri.
La tua invidia e gelosia rendono il tuo occhio offuscato e non ti lasciano vedere con amore.
Il tuo bere alcolici manda in rovina il fegato del tuo corpo e l'economia familiare, ti toglie la possibilità di fare elemosina con larghezza, e corrode la lucidità e prontezza del tuo spirito.
Il fumo delle tue sigarette, oltre ad alimentare in te l'illusione di una sicurezza psicologica inesistente e menzognera, obbliga gli altri a respirare male e sgradevolmente.
L'esagerata attenzione alla tua salute ti fa essere poco sensibile alle necessità altrui! E la poca cura del tuo corpo obbligherà gli altri a stare al tuo capezzale.
Le distrazioni in macchina e la voglia di correre sono un pericolo per te e per gli altri.
Qualche divertimento chiamato sport s'avvicina troppo al suicidio e all'omicidio: ne porta qualche connotato (qualche forma di alpinismo estivo o invernale, pugilato...).
Non ammazzare! Non togliere spazio vitale, né fisicamente né psicologicamente, a nessuno! Nemmeno a te stesso.
Tu sei chiamato e sei dotato per dare! per donare la vita! Se le tue forze ed energie, se la tua presenza, invece di essere fonte di gioia e di bontà e di pace, diviene occasione di inquietudine, di ansia e di blocco per i tuoi fratelli, allora tu sei nella menzogna: non riveli il volto di Dio, né doni i segni della sua bontà.
Dio è paziente, Dio è comprensivo, è fedele ed è pacifico, è mite e umile, è semplice e benigno. Se vuoi donare vita e contribuire alla vita dona anche tu questi atteggiamenti. Altrimenti doni morte! Se sei attento a questi «piccoli» atteggiamenti o, meglio, alla grande possibilità di esprimere e donare la vita di Dio - che è il suo amore -, certamente starà lontana da te la tentazione dell'ammazzare o dell'approvare, anche solo nel cuore, che venga arrecato del male agli uomini, buoni o cattivi che siano. Starà lontano da te anche il pericolo di approvare che la vita nascente nel grembo della madre sia bloccata. Riconoscendo che la tua vita è iniziata nel grembo di una madre, non ti lascerai prendere da «compassioni» che portano ad uccidere gli inizi dell'esistenza di chi potrà essere tuo fratello e figlio di Dio!
Se, soprattutto, sei attento al Padre dei cieli, datore di ogni vita, che ama tutti i viventi, ti guarderai bene anche dall'usare la maldicenza e la mormorazione. Anche se il male c'è realmente nel cuore e nelle azioni del tuo prossimo, non ti incaricherai di farlo conoscere. Facendolo, infatti, ne accresceresti l'importanza ed inoltre offenderesti la vita di coloro che lo hanno compiuto. Ad essi basta la sofferenza di essere stati vittima del maligno, senza divenire ancora oggetto di scherno da parte degli uomini! Semmai li aiuterai a vincere la loro lotta spirituale, con il tuo consiglio o con la tua preghiera, perché possano uscire dalle tentazioni da cui finora non sono stati capaci di difendersi. Non accontentarti di non ammazzare: aiuta a vivere, e uscirai dalla menzogna!
E, se ne avrai l'occasione, aiuta anche i tuoi parenti ed amici ad affrontare coscientemente il momento della morte, senza togliere loro, col tuo silenzio, la possibilità di offrire la vita e presentarla con amore a Colui da cui l'hanno ricevuta!
6. Non fornicare
Adamo ed Eva, appena hanno tolto a Dio il suo posto di Padre nel loro cuore, hanno avuto bisogno di vestiti. I loro occhi non riuscivano più ad amare l'altro, ma solo a vedere nell'altro uno strumento del proprio piacere.
Era necessario difendersi, come si poteva, da questa tentazione di strumentalizzare il proprio e l'altrui corpo. Hanno trovato il vestito come un aiuto. Aiuto superficiale, necessario sì, ma superficiale, perché gli occhi, se non sono dominati da un cuore puro, penetrano anche i vestiti: é il cuore che deve essere cambiato!
L'uomo che ama Dio e gli uomini, e che ha un vero amore per se stesso, cambia il proprio cuore. Il cuore cambiato porta gli occhi a vedere ciò che Dio vede, a contemplare il corpo dell'uomo con l'amore puro ed eterno e profondo del Padre.
Il Padre gode d'aver dato all'uomo la capacità e il compito di dar vita ad altri uomini: di dar origine alla loro vita, di crescerla e svilupparla fisicamente, psicologicamente, spiritualmente. La vita, dono suo, è nelle possibilità dell'uomo! Ed il Padre gode che l'uomo in questo compito, oltre alle difficoltà, trovi anche gioia e piacere che glielo rendono attraente. E gode ancora, il Padre che sta nei cieli, di aver nei padri della terra una possibile immagine di sé per i figli degli uomini.
Tutto ciò di cui il Padre gode, quando viene messo nelle mani dell'uomo, rischia di esser rovinato. Ed è il caso anche dell'istinto sessuale: se non è rapportato costantemente alla destinazione datagli dal Padre Creatore, diviene trappola per l'uomo. Egli crede di trovarvi gioia e pienezza ed invece vi trova inganno, menzogna, turbamenti psichici, annebbiamento spirituale e anche rovina fisica.
L'uomo deve sempre riservare alle cose l'uso per cui sono state previste: questo vale anche per le proprie doti e capacità. Per quanto riguarda l'istinto sessuale, il cuore dell'uomo s'accorge, caso mai, di uscire dalla via di Dio, dalla verità; difatti, allora, preoccupazione principale diviene il nascondere, anzi, cercare di nascondere (perché l'uomo non può mai nascondere nulla dei propri sentimenti e pensieri!) le azioni a cui l'istinto sessuale, usato egoisticamente, porta. Di qui viene anche il termine arcaico «non fornicare»: non nascondetevi dietro i fornici! Fornici erano serie di colonne di porticati ed edifici, che fornivano angoli bui ai «giochi sessuali» di ragazzi e giovanotti. Non nascondetevi! La vita dell'uomo deve svolgersi alla luce. Se cominci a nascondere entri nel buio: la tua vita inizia un cammino di menzogna per te stesso e per chi incontri, e t'illudi di amare.
«Quanto alla fornicazione e ad ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolatri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare» (Ef 5, 3-5.10-12).
La parola «amare» viene usata - purtroppo - anche col significato di... possedere sessualmente, oppure di... provare piacere sessuale insieme a qualcun altro. Usare così la parola «amare», indicare con essa egoismo, è ulteriore menzogna per sé e per gli altri. Il matrimonio non risolve tutti i problemi. Il matrimonio fa diventare «dovere» ciò che è anche piacere. Ma gli sposi che non sono riusciti a vivere nella luce e nella verità da giovani e da fidanzati, si ritroveranno il proprio egoismo anche nella propria camera da letto. Credendo di amarsi reciprocamente, ameranno ciascuno se stesso. Ed il loro istinto sessuale non diventerà un aiuto all'unità del cuore, alla condivisione della vita, alla generosità nella procreazione, alla partecipazione all'educazione dei figli. Il loro istinto sessuale rimarrà un pericolo per la fedeltà, con conseguente nascita di gelosie, incomprensioni, pretese, divisioni, sofferenze, strumentalizzazioni. L'uomo obbligherà la donna ad imbottirsi di pillole o a modificare altrimenti i ritmi della vita, la porterà ad ammalarsi psichicamente, perché lui, il suo istinto sessuale non ha mai saputo dominarlo e orientarlo e integrarlo nell'armonia dell'amore vero.
Non fornicare significa, in fondo, «educatevi all'amore vero», all'amore che rispetta gli altri come figli di Dio, e se stessi come tempio dello Spirito Santo. Se gli altri sono figli di Dio non prenderò nessuno con me, finché Dio non me lo/la consegni da amare e non mi dia il compito di dare insieme con lui/lei la vita ad altri figli di Dio.
Se io sono tempio di Spirito Santo, Spirito d'amore, non terrò in me desideri e pensieri che siano solo egoismo sessuale. E non permetterò che altri, uomini o donne, attraverso film, TV, giornali, discorsi, barzellette, alimentino in me una visione della sessualità estranea a quella della mente e del cuore del Padre dei cieli.
7. Non rubare
Da ragazzino giocavo con... l'eco! e mi avevano insegnato a chiedergli: «Come si fa a far roba?» e l'eco, immancabilmente, rispondeva: «Roba!». Non c'erano alternative! Qualcuno, difatti, deve aver scritto, già molti secoli fa, che i ricchi sono tali perché hanno rubato. Lo scrittore era nientemeno che s. Agostino!
Generalmente i ricchi non pensano d'avere la coscienza sporca!
E, forse, non ce l'hanno. Ma sta di fatto che Gesù deve aver detto che i cammelli hanno una probabilità in più dei ricchi…
La ricchezza, che cos'è? È nientemeno e niente più che... i beni di questo mondo ammucchiati. C'è chi se li trova già ammucchiati e chi se li ammucchia, in vari modi, onesti e disonesti. I modi disonesti li distinguono tutti: rubare, frodare, imbrogliare, speculare...
I modi «onesti» sono onesti. Eppure, anche i modi onesti di ammucchiare sono un impedimento al Regno di Dio. Il guaio sta nell'ammucchiare. Che siano onesti o disonesti i modi, già il fatto di voler ammucchiare è indice di una non sana posizione del cuore. «Là dove è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore».
Se li mio cuore è in Dio, se il mio cuore è dato al Padre, non cercherà la sua gioia nel possedere, nell'avere sicurezze per questa vita. Il Padre nei cieli è la sicurezza più grande. Chi ammucchia ripone fiducia nei beni materiali, e toglie man mano fiducia al Padre: non accetta e non desidera che Egli si occupi della sua vita. Chi ammucchia proclama una sicurezza falsa: quella di vivere ancora di certo un anno, due anni, cinque anni...! ma chi gli ha dato questa sicurezza?
Qualcuno mi dirà che bisogna essere previdenti, che non si può «tentare Dio» lasciando a Lui ogni preoccupazione. Anch'io cerco di essere previdente, ma vedo che, più aumentano le «previdenze», più aumentano le preoccupazioni ed il bisogno di nuove previdenze. Le mie previdenze devono essere limitate all'essenziale! Non voglio tentare Dio, ma nemmeno escludergli la possibilità di dimostrarsi padre tenero e premuroso per me!
«Tu, che non hai figli, fai presto a parlare!». È vera anche questa osservazione. Un papà di famiglia deve avere molte più previdenze di me, prete. Ma un papà di famiglia deve anche sapere che fa crescere e maturare di più i suoi figli un atto di fede in Dio che qualche milione in banca. Un papà cristiano deve educare al risparmio e ad una sana economia, ma soprattutto e anzitutto alla generosità, alla povertà, alla lealtà, alla fede concreta.
La sete del portafoglio, l'avidità del denaro, il desiderio di arricchire, oltre ad avere così malsane e menzognere radici, ha pure - ovviamente - altrettanto menzognere conseguenze. Consideriamole per un attimo: evasione fiscale (quella che sembra più innocua!), cambio dei pesi; aumento dei prezzi... di poco, ben s'intende, quel poco... che mi faccia far giornata! sfruttamento delle ore straordinarie... (non si denunciano), periodi di cassa integrazione trascorsi con un altro lavoro, giornate di cassa malattia non necessarie, imbrogli alle assicurazioni, lavoro d'ufficio lasciato al giorno dopo..., doppio lavoro! Col doppio lavoro guadagni di più e onestamente! Ma, onestamente, col doppio lavoro non rubi un posto di lavoro ad un disoccupato? e col doppio lavoro non rubi il tempo che devi donare alla moglie e ai figli, ai poveri, ai comitati di quartiere o parrocchiali? Col doppio lavoro non rubi forse energie al lavoro che ti viene pagato? e non rubi ancora il tempo alla tua persona che deve anche riposare e trovare tempo per pregare e istruirsi?
Veramente la sete del portafoglio diviene micidiale, e non solo per il proprio cuore, ma anche per la famiglia e per la società stessa!
Basti dire che, talvolta, è proprio la sete del portafoglio che fa vedere come legittima la limitazione delle nascite, addirittura tramite aborto, perché un figlio in più è una spesa in più!
Questa stessa sete del portafoglio poi fa fare delle spese veramente inutili e che sono una provocazione all'ira di Dio: cambio di macchina per motivi... di prestigio, cambio di mobili ancora buoni, cambio di vestiti, spese esagerate per il divertimento proprio o di altri, case sfitte o affittate in modo strozzino, ecc. ecc...
Non so se hai capito: chi ammucchia qui, non ammucchia là. E quando andrà al di là si troverà nudo, coperto solo dalla pece della vergogna: perché l'ammucchiare ricchezze è la menzogna che nasconde la paternità del Padre nostro che è nei cieli.
8. Non dire falsa testimonianza
Ho detto bugie! È una confessione frequente, soprattutto tra i bambini. E poi i grandi, confessandosi, ripetono: ho detto bugie. E non dubitano che l'ottavo comandamento possa contenere ulteriore sapienza per la vita.
Dire bugie è veramente una situazione antipatica. Dire ciò che non è, affermare d'aver fatto ciò che non si è fatto o viceversa è indice di poca serietà di vita. Talvolta affermazioni bugiarde diventano offesa per qualche persona, quando non addirittura calunnia. E la calunnia è parte di omicidio.
La bugia generalmente è volontà di nascondere. Non c'è bisogno di nascondere il bene, di solito si nasconde li male. La bugia è il segno che s'è sbagliato e non si vuole rimediare.
Dio è luce, ci dice s. Giovanni, e in Lui non vi è tenebra alcuna. Mettere qualcosa della nostra vita nelle tenebre della bugia significa uscire dalla luce, dalla luce di Dio. Di solito la bugia va a braccetto col furto e con la frode, o con la fornicazione. Talvolta si accompagna all'omicidio. Non di rado con tutti questi insieme. C'è, a volte, una bugia integrata così bene nella vita da non accorgersi d'averla sulla bocca. Capita agli alcoolisti con naturalezza.
Ma io ritengo che ci sia una falsa testimonianza ancora peggiore delle bugie. Provo a spiegarmi. Io sono figlio di Dio. Egli stesso mi ha scelto per questo. Ora succede che io, se vivo da figlio di Dio, se compio le sue opere e coltivo i suoi pensieri, allora do testimonianza vera della Sua vita. Se invece non agisco secondo l'opera del Padre, se nella mia vita non si può leggere l'amore e la pazienza, e il perdono e la purezza e la generosità del Padre, allora io do una testimonianza falsa. Tutti sanno che i figli assomigliano un po' ai genitori. La mia testimonianza sarebbe falsa se chi cercasse nella mia vita i segni della vita di Dio, mio Padre, trovasse invece segni falsi, che conducono su strade sbagliate. Attraverso di me si arriverebbe a conoscere un Dio che non è quello vero. Di qui comprendo quanto sia importante vivere una vita secondo Dio, questo non solo per amore della mia onestà e della mia santità, ma soprattutto per amore di Dio stesso, perché Egli possa esser riconosciuto com'è in verità, e per amore dei fratelli, perché siano aiutati dalla mia vita ad amare e conoscere il Padre di Gesù Cristo.
Comprendo perciò anche l'importanza di ascoltare e meditare la Parola di Dio. Se la mia vita deve manifestare il suo Amore, devo cercare con insistenza e decisione la sua Parola. È l'unica Parola di cui mi posso fidare.
Le parole degli uomini difficilmente sono testimonianza vera. Generalmente gli uomini sono spinti a parlare da sentimenti vari e superficiali, magari anche negativi, carichi di egoismo e di odio, di curiosità e di vanità. Le loro parole vengono «dall'abbondanza del cuore». Le parole degli uomini sono parola vera quando riflettono la sapienza di Dio.
Io devo abituarmi a discernere le parole degli uomini, a distinguere cioè la vera dalla falsa testimonianza, le parole che mi arricchiscono dell'amore di Dio da quelle che me lo vorrebbero togliere dal cuore.
E devo abituarmi a operare un discernimento anche sul mio spirito per non permettere a me stesso di divenire diffusore di parole che non escono dalla bocca e dal cuore di Dio.
Dovrò discernere con attenzione se il mio spirito è nell'amore oppure se è nella vendetta, nella curiosità, nella vanità, nell'orgoglio, nella critica, nella superficialità, nell'ironia, nella diffidenza, nel sospetto, nell'impurità, nell'avidità, nella pigrizia. La verità si accompagna solo all'amore. Dovrò discernere, e lo potrò fare se la Parola di Dio si è diffusa in tutte le dimensioni della vita.
Se la Parola di Dio diviene carne in me, se trova occasione di esser vissuta con decisione, la mia vita continuerà a dire e a dare testimonianza vera.
9. Non desiderare la donna d'altri
Si può intervenire sui desideri? I desideri vengono senza volerli, ma se si vuole, non restano. L'amore vero nasce nel cuore, proprio là dove nascono anche i desideri. I desideri infatti potrebbero essere definiti la spinta del cuore verso ciò che si ama.
Se nel cuore c'è amore vero, ci sarà il desiderio di donare se stesso, come nel cuore di Gesù, in cui c'era amore, c'era il desiderio di dare se stesso, di offrirsi per il bene di molti.
Quando il cuore non sa e non vuole amare, allora cerca se stesso, cerca il proprio compiacimento, è egocentrico. Davanti a tutto c'è l'io. In un cuore così l'istinto sessuale agisce facendo desiderare anzitutto che il proprio corpo serva ad accontentare il piacere. E a questo si vuole che serva anche il corpo degli altri. L'uomo - in tal caso - vede le altre persone come strumenti per soddisfare il proprio istinto.
L'uomo deve imparare a discernere i propri desideri, a esaminarli per vedere se e quanto combacino con i desideri di Dio.
Per quanto riguarda i rapporti tra uomo e donna conosciamo con chiarezza il desiderio di Dio, e sappiamo anche da esperienza secolare che il desiderio di Dio è il vero bene dell'uomo.
«L'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due non saranno più due, ma una carne sola». «Ciò che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi» (Mt 19, 4-6). «Avete udito che fu detto: non commettere adulterio, ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5, 27-28).
Chi lascia la radice della gramigna nell'orto sa che prima o poi la gramigna spunterà. Chi lascia vivere i desideri nel cuore, deve sapere che, prima o poi, questi porteranno il loro frutto. Ma già il desiderio malvagio coltivato allontana il cuore dalla luce, impedisce di vedere Dio e di crescere interiormente. é un... tumore, qualcosa che cresce fuori posto e toglie vitalità alle buone qualità.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio! Desiderio dei figli è vedere il Padre! Se sono vero figlio di Dio, coltivo il desiderio di vederlo: i puri di cuore lo vedranno! Tengo perciò il mio cuore libero da altri desideri che appagano il corpo o il bisogno di affetto, mentre mi tengono inesorabilmente lontano dalle gioie di Dio.
In me inoltre deve crescere «l'uomo interiore», «l'uomo nuovo» creato secondo Dio nella santità, nella verità e nella giustizia.
Questa crescita viene favorita soltanto dal distacco dalle creature (santità), dalla volontà di essere figlio per il Padre (giustizia) e dal desiderio di portare nella mia vita i segni di somiglianza a Lui (verità).
Ora il desiderio di essere amato o di donarmi ad una donna è santo e vero e giusto se Dio me lo manifesta come sua volontà e mi dà la benedizione per realizzarlo. Altrimenti diventa ostacolo. Amare una donna semplicemente perché mi piace esprime ancora solo egoismo. Amare una donna che mi piace, ma che ha già il compito di amare un altro uomo, è volerla distogliere dalla sua missione ed è rubare a quell'uomo ciò che gli spetta. Amare una donna che mi piace quando ho già un compito d'amore verso quella cui ho promesso fedeltà e condivisione di vita è ingiustizia grande verso la mia famiglia, figli compresi, quando ci fossero. Ed è chiara disobbedienza al Padre. Lo Spirito Santo non può regnare né produrre frutto nel cuore di chi desidera diversamente dai desideri di Dio. San Paolo nella sua lettera ai Romani lo dice con una chiarezza decisa: «I desideri della carne portano alla morte» (8, 5). «I desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio» (8, 7-8).
Tutto sta nel decidere: dove voglio andare? Voglio camminare verso il Padre? Allora prenderò la strada che mi porta là.
Nella tua decisione terrai presente l'esperienza di vita che hai già accumulato, come ha fatto sant’Ignazio di Loyola; egli ha osservato il proprio cuore: quando leggeva romanzi cavallereschi e pensava ai suoi amori, si esaltava ed aveva gioia fintanto che il suo pensiero rimaneva là, poi la gioia scompariva e tornavano la noia e la tristezza. Quando leggeva vite di santi e il Vangelo, invece, la gioia era più mite, ma rimaneva a lungo e permeava le ore della giornata. L'esaminare con sincerità questa situazione ha portato Ignazio a scegliere ciò che gli dava di più!
Essere furbi in questo senso vuol dire saggezza! Mettere nel cuore i desideri dello Spirito di Dio non è solo salutare per l'al di là, è formarsi un uomo interiore, è scegliere una vita diversa, ma l'unica che porta a maturità tutto l'uomo e tutte le doti di cui egli è ricco.
Se poi ti venisse il desiderio di depositare o investire il tuo bisogno e le tue capacità di amare completamente ed esclusivamente per il regno di Dio, sappi fin d'ora che è un desiderio santo che può venirti solo da Dio! San Paolo ne godrebbe (1 Cor 7, 32-35) e Gesù si sentirebbe capito (Mt 19, 10-12).
10. Non desiderare la roba d'altri
Un altro comandamento per i desideri! Si sa, veramente i desideri ricoprono una funzione decisiva nella vita dell'uomo, per questo vanno scrutati, incanalati bene, sottomessi ad un'intelligenza sana e piena.
Il desiderio di avere, di possedere è uno di quei desideri - come quello d'accontentare l'istinto sessuale - che può orientare la vita intera, e la può incanalare in direzioni aberranti. Perciò da questo desiderio bisogna difendersi, altrimenti esso diventa così forte da separare definitivamente la vita da Dio e dagli uomini. Il desiderio di avere, se trova compiacenza nel cuore, separa da Dio: non te lo lascia più vedere come Padre buono, capace di provvedere ai suoi figli più che ai passeri! Non ti lascia più vedere gli altri come fratelli, ma solo come clienti, o come concorrenti, come possibili... vacche da mungere.
In tale situazione ti troveresti isolato da tutti, solo! E non si troverebbe solitudine peggiore: ti sentiresti responsabile della tua vita in modo pesante. E nemmeno ci sarebbe più, per la tua vita, la luce giusta: ti sembrerebbe di dover vivere per almeno cent'anni ancora, senza tener più conto che forse già stanotte potresti dimenticare di respirare…!
Preferisco non precipitare così, dove ci si precipita volontariamente e gridando, come se fossero gli altri ad aver provocato la rovinosa caduta! Conosco una strada ripida, ma che sale a libertà sempre maggiore. È la strada della piena fiducia nel Padre. Egli provvede al pane per oggi, provvederà a quello del domani: con questo pensiero nel cuore, i desideri di avere non restano e non producono i loro frutti di morte…
Il mondo dice: «Non è giusto fidarsi così di Dio! Oggi può andar bene, ma domani?» Il mondo ti dice ancora: «Aiutati che Dio t'aiuta». E quell’«aiutati» contempla un «fa' tutto tu, Dio non sa fare nulla». Ebbene, proprio in questo mondo dico: «Affidati a Dio, getta su di Lui ogni preoccupazione, non angustiarti per nulla, non attaccare il cuore alle ricchezze anche se abbondano»!
Vorrei quasi fare una scommessa con qualcuno... solo per aiutarlo a capire, non per vantarmi. Posso vantarmi solo d'avere un Padre buono e fedele, che mantiene le sue promesse.
Tu cerchi di avere, di possedere, di prevedere il domani e il dopodomani. Io mi occupo del regno di Dio, e non mi curo d'avere conti in banca.
Vediamo, chi di noi due avrà un cuore più generoso?
Chi di noi due saprà creare amicizia tra gli uomini?
Chi di noi due saprà agire da disinteressato?
Di quale di noi due si fiderà di più il povero e il sofferente?
Chi di noi due potrà dire una parola libera a tutti?
A chi di noi due il Signore affiderà l'amministrazione dei suoi beni?
Chi di noi due manifesterà qualcosa del cuore di Dio?
Questo è il mio desiderio: fidarmi solo del Signore. Sono peccatore, e spesso il mio desiderio non si realizza. Ma mia volontà è coltivare questo desiderio: ne ho scoperto la bellezza e la grandezza. Lo propongo anche a te: non desiderare la roba, desidera essere pienamente figlio del Padre dei cieli. La libertà del figli ti alzerà il capo, ti illuminerà gli occhi, darà vigore e sicurezza alle tue mani, sosterrà il tuo cuore.
Nulla è più bello e vero per l'uomo, in nulla egli può trovare pienezza se non nell'esser figlio. Ma un figlio non è figlio se non si abbandona al padre e alla madre, se non permette loro di occuparsi di lui, di vestirlo, di nutrirlo, di... amarlo.
Ti propongo, man mano che s'allontanano da te la paternità e la maternità umana, di lasciare al Padre dei cieli di esserti papà e mamma. Hai tutto da guadagnare. T'accorgerai che Egli ti lascerà lavorare, ti lascerà responsabilità, ma con Lui nulla sarà più pesante. Il lavoro e le responsabilità diventeranno amore, occasioni di amore. Il portafoglio sarà meno gonfio di adesso, in compenso sarà pieno e traboccante il cuore: traboccante di pace, di gioia, di gloria! Non è questo che cerchi? Se mancassero la pace e la gioia, cosa ne faresti del mondo intero?
Aiutami anche tu, con il tuo esempio, ad essere figlio, e ad arricchire le famiglie, il paese, il mondo di figli di Dio!
«Tutto è nulla all'infuori di Me» (Isaia).
Grazie
È grande cosa aver scoperto d'esser peccatore!
Il primo passo per guarire una malattia è scoprire di che malattia si tratta. Ringrazia quindi il Signore se hai scoperto in te peccati che nemmeno pensavi ci fossero, se hai scoperto che stai vivendo una vita menzognera. Ringrazialo, perché la luce ha raggiunto angoli nuovi della tua vita!
Ma non disperare e non ti scoraggiare: Dio è contento di perdonare! Non aspetta che questa occasione! Egli è contento di perdonarti, ed è felice di rivestirti di una forza nuova, e di un nuovo amore che trasforma la vita.
Dio ama i peccatori. Ha mandato Gesù per loro. Il suo amore è così forte che trasforma la vita dei peccatori in vita di santi. Se t'affidi a Gesù, egli potrà compiere questa sua opera anche in te.
Quando avrai ricevuto il perdono sarai capace anche tu di perdonare perché avrai a cuore l'onore del Padre tuo che è nei cieli! Sarai capace di perdonare e di desiderare la salvezza dei peccatori, perché potrai riconoscere che i peccatori non devono essere oggetto di odio, né di vendetta, né di rancore. Essi sono stati vittima del male, male che, forse, attraverso di loro, s'è scatenato anche contro di te, ed hanno perciò bisogno di essere risollevati, aiutati a uscire dalla tentazione. Il Signore può chiedere a te di portare la sofferenza della croce che li salverà, può farti partecipe dell'amore dell'Agnello che porta i peccati del mondo.
A nome di questo mondo io ti dico grazie! E anche a nome mio, perché porti la sofferenza di Gesù anche per i miei peccati. Non ti ringrazio a nome di Dio, perché voglio lasciare solo a Lui la gioia di farlo. Tu sai che chi offre anche solo un bicchier d'acqua per suo amore non rimarrà senza la sua ricompensa… quanto più se porti la sofferenza del peccato del mondo, tanto da diventare una cosa sola con Gesù crocifisso!
don Vigilio Covi
Nihil Obstat: mons. Iginio Rogger, Trento, 18.03.1983
Sul perdono, vedi l'opuscoletto: «Sono perdonato».
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