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NU

Vangelo secondo Matteo 07

7

Matteo

Mia madre e miei fratelli

13,1 - 14,36

(Traduzione CEI 2008)

  1. Diede frutto ................................................... (Mt 13,1-9)
  2. Beati i vostri occhi ........................................... (Mt 13,10-17)
  3. La parola del Regno ................................. (Mt 13,18-23)
  4. Tutti dormivano ......................................... (Mt 13,24-30)
  5. Il regno dei cieli è simile a…...................... (Mt 13,31-35)
  6. Il Figlio dell’uomo............................................. (Mt 13,36-43)
  7. Pieno di gioia ............................................ (Mt 13,44-52)
  8. Nella sua patria .......................................... (Mt 13,53-58)
  9. Gesù partì di là ............................................ (Mt 14,1-13)
  10. Recitò la benedizione ............................... (Mt 14,14-21)
    11 Coraggio, io sono ..................................... (Mt 14,22-36)

1. Diede frutto (Mt 13,1-9)

1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

3Egli parlò loro di molte cose con parabole.

E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare.

4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono.

5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò.

7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono.

8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno.

9Chi ha orecchi, ascolti».

1.

Signore Gesù, eri in casa quando ti hanno cercato tua madre e i tuoi fratelli per parlarti.

La casa è il luogo dove ti si ascolta, il luogo di chi ti dona l’occasione di aprire il tuo cuore. Eri entrato in casa per allontanarti dalla folla e per allontanare i discepoli da coloro che ti stavano giudicando e condannando come indemoniato.

Ora tu esci. Che cosa c’è al di fuori?

Non ci sono solo i tuoi fratelli, quelli che ti stanno cercando, ma trovi una folla. Ti vogliono ascoltare non solo quelli che ti seguono già, ma molti altri. Tutti gli uomini hanno bisogno di te. Sei mandato dal Padre per tutti, perché tutti con la tua Parola vincano il tentatore, quello che tu hai messo a tacere nel deserto, ma che continua ad agire: ha aizzato i farisei ad ostacolarti, a giudicarti, a ritenerti addirittura suo alleato. Questo è il suo metodo, terribile, per far perdere la fiducia in te: agirà così ancora, lungo i secoli.

Ti siedi. Ti metti nella posizione di chi dà insegnamenti. Qui anche i tuoi fratelli potranno ascoltarti. Qui, se vorranno, potranno udirti per aderire a te anche coloro che finora si sono manifestati tuoi nemici.

Sei all’aperto: il cielo è il tetto che copre tutti, e orizzonte sono le pareti di questa nuova scuola dove si radunano tutti quelli che vogliono ascoltare. Qui tutti possono udire la tua voce, qui tutti potranno dirsi tuoi discepoli.

Proprio qui, «in riva al mare», avevi chiamato i primi discepoli, ed essi ti avevano seguito (Mt 4,18-22). «In riva al mare» siamo sul confine tra il luogo sicuro dove si può abitare e il luogo instabile dove si può solo transitare su una barca. Esso è il luogo del pericolo, sul quale è in agguato anche la morte. Tu stai sui luoghi di confine, che paiono luoghi di divisione, ma grazie a te diventano uno: tutti infatti siamo creati da Dio, Padre di tutti. E proprio qui, su una barca di pescatori ti poni a sedere. Da qui fai udire il tuo insegnamento.

Non cerchi i luoghi riconosciuti importanti dagli uomini, luoghi di prestigio, come le scuole degli scribi o le sinagoghe, perché tu sei nelle mani sicure del Padre. In quelle mani vuoi rimanere. Sai che non è l’apparenza del luogo e dei titoli che nutrono l’animo umano, ma il contenuto delle tue parole e il frutto che esse produrranno nei cuori.

Davanti a te si raccoglie la folla che ti vuole ascoltare. Tutti sanno che la tua parola è nutrimento per la loro vita, e che la loro vita è il luogo dove la tua parola può entrare e trasformare. Stanno tutti in piedi: non perderanno l’attenzione.

Tu puoi parlare di molte cose, puoi parlare di tutto, perché tutto è stato fatto per mezzo di te e in vista di te (Gv 1,3; Col 1,16). Quanto tu dirai non è rovinato dal peccato, che non è entrato in te, e perciò ogni tua parola è verità luminosa e illuminante.

Inizi così: «Ecco, il seminatore uscì a seminare». Tutti si chiederanno di chi stai parlando. E tutti possono rispondere con sicurezza che stai parlando di te stesso. Sei tu colui che «uscì» per sedere là dove sei seduto ora. Ti presenti come un seminatore soltanto. I discepoli ti ascoltano con qualche delusione: s’aspettano che tu realizzi in pienezza il Regno, che tu sia quel Messia che hanno sempre sperato. E invece intuiscono che ci sarà ancora un tempo di attesa, come si attende la crescita e maturazione della spiga del grano. La realizzazione del tuo Regno infatti non dipende solo da te, ma dalla risposta che la tua Parola riceverà da chi la ascolta.

Sei tu che stai seminando il tuo insegnamento, la tua Parola, il seme di cui il profeta disse: «Così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto» (Is 55,10-11).

Ora parli riferendoti a ciò che tu semini. Sei consapevole che il seme del seminatore cade ovunque. Tu sei un seminatore che non scegli gli orecchi dove entreranno le tue parole. Davanti a te ci sono tutti quelli che vogliono essere presenti. Comprenderanno? Ti accoglieranno?

Il seme del seminatore, di cui stai descrivendo le azioni, cade ovunque. Com’è possibile? Il primo luogo dove il seme cade è la strada, luogo calpestato da tutti, terreno indurito dai passi degli uomini. Quel seminatore spera che anche lì cresca qualcosa? Non è seme sprecato quello? Infatti ci sono gli uccelli in agguato, ad essi non sfugge la possibilità di nutrirsene subito. Quel seme non potrà portare frutto.

Ci sono anche i sassi e le pietre sporgenti. Anche su di essi si posa qualche seme, ma non farà in tempo a spuntare, che il sole l’avrà già bruciato. Il seminatore è distratto, oppure ha una speranza esagerata?

Ci sono i rovi sui confini e vicino alle pietre. Di certo il seme che cade tra di essi non riuscirà a maturare. Il seminatore lo sa, ma non demorde: la sua fiducia supera tutte le evidenze e volutamente dimentica la propria esperienza.

Il terreno buono lo ricompensa. Aveva seminato ovunque per non lasciarsi sfuggire nemmeno una zolla di terreno buono.

E qui ecco il prodigio, la meraviglia, la gioia. Il seme caduto sul terreno buono dà frutto. Non dappertutto nella stessa misura, ma ovunque in modo insperato: «il cento, il sessanta, il trenta per uno»!

Il tuo racconto termina qui. L’evangelista non ci dice come ha reagito la gente, che cos’hanno capito, che cos’è cambiato.

Ora il racconto è entrato nei miei orecchi. Ora il mio cuore è il terreno dove la tua parola si è depositata. Tu ti limiti a fare un invito: “Chi ha orecchi ascolti”.

Ciò significa che c’è un messaggio importante nelle tue parole. Significa che non deve mancare la mia attenzione. Significa che all’ascolto delle parole dovrà seguire la riflessione, un’attenzione interiore che arricchirà i miei pensieri e nutrirà i miei atteggiamenti.

Tu intendi dire che chi ha udito le parole farà attenzione all’invito di Dio, che parla dentro il cuore con l’immagine del seminatore generoso e del seme destinato a produrre altro seme che diventi pane o sia destinato alla prossima semina.

Chi ode la tua parola ascolterà, cioè le offrirà obbedienza. Farà in modo da offrire ad essa terreno buono: la custodirà, come il terreno custodisce per mesi il seme nascosto, finchè porterà il suo frutto.

 

  1. Beati i vostri occhi (Mt 13,10-17)

10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?».

11Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:

Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

15Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano e io li guarisca!

16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano.

17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!

2.

Signore Gesù, sei ancora seduto sulla barca o tornato in casa? I discepoli si avvicinano a te, e sono ormai soli: hanno una domanda da porti. Non ti chiedono la spiegazione della parabola che hai raccontato, ma non capiscono il motivo per cui parli usando parabole. Alla gente, che non è impegnata a seguirti, parli usando similitudini. Ad essi invece, ai discepoli, parli annunciando con chiarezza e semplicità ciò che desideri essi vivano, come hai fatto sul monte. Qual è la differenza tra i discepoli e la folla?

I discepoli ti ascoltano consapevoli che già fai parte della loro vita, e che essi ti appartengono: desiderano ciò che tu desideri, vogliono ciò che tu vuoi. Per loro la tua Parola è di per sé autorevole.

La folla invece ti ascolta come si ascolta un estraneo, uno che non è entrato a guidare i loro pensieri ed è assente dalle loro azioni quotidiane. Sono pronti a giudicare bene o male le tue parole.

La tua risposta non si fa attendere, ed è chiara e immediata. Avevi già detto a tutti che il Padre manifesta i suoi segreti «ai piccoli», mentre li tiene nascosti «ai sapienti e ai dotti» (11,25). Ecco, proprio i discepoli sono i piccoli cui «è dato conoscere i misteri del regno dei cieli», mentre gli altri, che rimangono estranei alla tua vita, non sono in grado di capire, non possono entrare nella comprensione. Per comprendere “i misteri del regno dei cieli” è necessario desiderare di vivere in esso amando te, come dirai ai Dodici nel cenacolo rispondendo ad un’interrogazione di Giuda: «Chi ama me… mi manifesterò a lui (Gv 14,21-24). Chi prende parte alla tua vita e alla tua missione potrà condividere la ricchezza della tua vita.

E continui a manifestare la grande differenza esistente tra chi ti è vicino e chi ti resta estraneo. Chi ha amore per te continua a venir arricchito della conoscenza di te e quindi dei misteri del Regno, mentre chi non ha amore per te verrà privato persino di quanto ha ricevuto e sta godendo: sarà come quel tale che ha ricevuto un talento, e per paura non lo ha usato (Mt 25,18). A lui verrà tolto anche quell’unico talento.

I Capi del popolo e i Sommi Sacerdoti, divenuti tuoi nemici, e chi vuole rimanerti semplicemente estraneo, hanno, come tutto il popolo, «l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse» (Rom 9,4): ad essi il beneficio di questi doni verrà tolto per esser dato ad altri, come dirai loro raccontando la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,43). Farà eccezione il popolo dei poveri e dei semplici, che invece ascolterà i tuoi apostoli e ti seguirà.

Chi è interessato soltanto a se stesso e a salvare la propria vita in questo mondo, non ha come interesse il Regno e perciò non ti può comprendere. Verrà tolto a lui anche ciò che ha, cioè la grazia della predilezione e dei doni di Dio, ma anche il suono della tua voce e la luce del tuo volto: se ne andrà infatti lontano da te perché non accetta che tu gli parli di pane del cielo e di mangiare la tua carne e bere il tuo sangue (Gv 6,66).

A loro tu parli in parabole. Non ti saprebbero ascoltare se parlassi con insegnamenti, perché non ti riconoscono Signore per la sua vita. La parabola, che richiede da loro attenzione e riflessione, possono invece ascoltarla e, grazie ad essa, potranno meditare.

Tu, Gesù, non vuoi forzare nessuno a convincersi. Vuoi che tutti davanti a te si sentano liberi e agiscano con piena libertà. È necessario che ognuno viva seguendo quanto ha compreso, e non quanto viene imposto, come lo schiavo che rinuncia ad avere una propria volontà.

Chi ti ama sa che la tua parola viene dall’amore del Padre e realizza il suo disegno, quindi la può volere con libertà, e, man mano che la vive, aumenta la sua libertà e la gioia di essere partecipe dell’amore del Padre per tutti gli uomini e per tutto l’universo.

Tu ricordi ai discepoli anche le parole del profeta Isaia (Is 6,9-10), incaricato di parlare in modo che il popolo non capisse, se non riflettendo sul proprio comportamento. Non capiva nulla chi non voleva ascoltare Dio, chi non era disposto ad ubbidirgli cambiando vita. Udivano le parole, ma le lasciavano cadere pensando che non erano destinate a loro. Così è il popolo che ora ascolta te, Gesù.

Chi ritiene che la tua Parola non viene da Dio, e quindi è senza autorità, questi ascolta e non comprende, vede il tuo volto, e non s’accorge che è il volto del Padre. Come potranno convertirsi costoro? Continueranno a vivere contenti di sé, del proprio agire, delle proprie opere, ritenendo di essere più che obbedienti quando hanno eseguito solo l’involucro della lettera, che rimane vuota d’amore. Ritengono di amarti senza aver accolto il tuo amore, di aver diritto del tuo premio senza aver accolto il tuo dono.

Gesù, tu godi e ti rallegri invece per gli occhi e gli orecchi dei tuoi discepoli. Essi ti guardano con attenzione e amore, ti ascoltano col desiderio di ubbidirti. Sono perciò beati: sono vicini a Dio, immersi nel cuore del Padre tuo. Beati!

Essi sono più ricchi degli antichi re e dei giusti che nel seno di Abramo già godono la salvezza per l’eternità. Questi non hanno visto te, Figlio di Dio, non hanno udito la tua voce, non hanno camminato dietro a te, perciò invidiano di santa invidia i tuoi discepoli.

Questi ora non si stancano di stare alla tua presenza e di godere della tua voce, anche quando essa annuncia parabole.

Queste li obbligano a pensare, a meditare e riflettere, a confrontare le tue immagini con quelle dei profeti, a comprendere la novità che arricchisce il tuo insegnamento, a scoprire, attraverso di esse, chi tu sei e qual è lo scopo della tua vita e della tua missione.

Ogni parabola sarà una ricchezza anche per loro, anzi una miniera di tesori. Li aiuterà persino ad ascoltarsi l’un l’altro, a confrontare la propria comprensione con quella degli altri, crescendo così nella comunione e nella fraternità.


3. La parola del Regno (Mt 13,18-23)

18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.

19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.

20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.

22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto.

23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

3.

Ora, Signore Gesù, ti rivolgi direttamente solo ai discepoli, dicendo: «Voi dunque». Essi sono quelli che ti amano e quindi hanno la possibilità di comprendere la parabola che hai raccontato a tutti. Possono comprenderla, ma anch’essi hanno bisogno di essere aiutati, soprattutto la prima volta.

«Ascoltate», è l’invito. È un invito solenne, che riprende la tua esortazione: “Chi ha orecchi, ascolti”, ma ripete anche quello che ogni giorno viene rivolto a tutti gli israeliti: «Ascolta, Israele» (Dt 6,3.4). Il fedele che vive con Dio tiene costantemente le orecchie aperte alla sua voce, affinché nel cuore entri la sua Parola.

Da ora i discepoli ascoltano te. Ora “ascoltano” «la parabola del seminatore». Prima l’avevano soltanto udita, come tutti gli altri, adesso possono ascoltarla, con l’attenzione profonda del loro cuore, perché tu ti rivolgi soltanto a loro.

La parola seminata e udita da tutti è «la parola del regno». Quando hai iniziato la tua missione dicevi a tutti che «il Regno dei cieli è vicino». Ora vuoi che almeno i discepoli sappiano qualcosa di questo Regno tanto importante, la cui notizia deve rallegrare tutti e attirare l’attenzione e il desiderio di tutti.

Avevi già detto che esso appartiene ai «poveri in spirito», come pure ai «perseguitati per la giustizia». Tu eri stato annunciato come re a tua madre, Maria. La «Parola del Regno» è quindi importante. È importante conoscere il Regno che viene per sostituire tutti i regni che tu nel deserto ti sei rifiutato di accettare dal tentatore, che pretendeva esserne il padrone assoluto, e ti proponeva di riceverli prostrandoti davanti a lui per adorarlo.

Del Regno parla questa prima parabola, anche se non l’hai detto all’inizio, come farai iniziando le altre parabole. Ogni tua Parola, ogni tuo discorso è da te offerto per edificare il Regno. Ogni tua Parola è Parola del Regno, perché in esso dovremo vivere, e ad esso faremo sempre attenzione. Il Regno dei cieli è tuo, perché il Padre manda te come unico re, e in esso saranno impegnati i discepoli che ora ti stanno ascoltando.

Proprio essi dovranno essere attenti e vigilanti, perché subito dici che a questo Regno è interessato il nemico, «il Maligno», ladro, che vuole portar via ciò che non è suo. Infatti, se uno «non comprende» la Parola del Regno, ecco, essa sparisce subito per opera sua. La porta via prima che arrivi nel cuore dell’uomo.

Chi è che non «la comprende»? È colui che non la fa propria, che ti ascolta come tu fossi un estraneo, uno che non c’entra con la sua vita. Egli ritiene di aver ragioni più valide, che possono sminuire la tua Parola. Chi com-prende la Parola, invece, la prende con sé, la fa diventare il proprio desiderio, la propria volontà, la propria sapienza, non ha altre ragioni e altre finalità se non viverla.

Nella parabola avevi detto che erano gli uccelli che mangiano il seme. Il Maligno è pronto a intervenire come gli uccelli affamati. Il seme caduto in luogo non adatto alla sua crescita è la Parola del Regno che può arrivare là dove è solo udita con superficialità. L’attenzione di chi solo la ode continuerà ad essere attirata dai regni del mondo, che domineranno quel cuore. E là arriva il padrone dell’inferno.

Tu torni alla parabola, che dev’essere compresa. Il seme che cade sui sassi è la Parola che cade in cuori induriti: accolgono la notizia del Regno, ma senza interesse per esso. Fanno bella accoglienza, ma basta poco, l’inizio di una tribolazione o di una persecuzione da parte di chi rifiuta il Regno dei cieli, e la rivelazione è già dimenticata. Quali sono questi cuori? Sono rivolti a ciò che dicono gli altri e da essi dipendono. Sono già presenti nella comunità cristiana? Sono tra quelli che stanno ascoltando? Queste parole li aiuteranno a rivedere la propria posizione e ad essere vigilanti, a non rifiutare la croce?

Il Regno porterà te davanti a Pilato, che si lascerà spaventare dal titolo di re che ti appartiene, tanto da decidere di consegnarti ad essere coronato di spine e portare la croce.

Chi oggi vuol essere tuo discepolo ti chiederà invece forza e coraggio a seguirti come Simone, il Cireneo, per partecipare alla sua fatica.

Tu, Gesù, vedi ancora un gruppo di fedeli che ascoltano la tua Parola. Si mostrano interessati al Regno dei cieli, perciò ti ascoltano. Non hanno però preso una decisione precisa, non sono mossi da amore per te. È per questo che basta una preoccupazione per le cose di questo mondo, per i progetti già pensati, per sogni da realizzare, o per la bella figura o per quel che s’aspettano gli altri, che tutto quanto tu hai detto non riesce a cambiare nulla del loro vivere. Se poi c’entra il denaro, ancora peggio.

Queste realtà soffocano la Parola, come i rovi soffocano lo stelo del seme: esso ha iniziato a crescere, forse anche a maturare, ma il cuore del discepolo è rivolto ad altro. Tu per lui non sei l’unico, non sei tu più importante di tutto, il tuo Regno non è il suo sogno. Quel discepolo è come quell’uomo ricco (Mt 19,16-22) che osserva sì i comandamenti, ma il suo amore per te non occupa tutto il suo cuore, né tutta la sua anima e nemmeno tutte le sue forze (Dt 6,4). Il tuo discepolo e apostolo Paolo aveva tra i suoi uno di cui, con le lacrime agli occhi, ha dovuto scrivere: «Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo» (2Tim 4,10). Tu stesso avrai a che fare con l’amore al denaro coltivato dal tuo «amico» Giuda. Ora anch’egli ti sta ascoltando, ma come mai non fa tesoro delle tue parole?

Infine tu descrivi ai discepoli ciò che succede a chi ti ascolta e com-prende le tue parole. Questi fa propri i tuoi desideri, si unisce a te nel fare la Volontà del Padre, ama il tuo Regno, lo attende e fa di tutto perché si realizzi nel suo cuore.

Là nel suo cuore arriva il frutto, un frutto che ti rallegra, e che rallegrerà tutto il creato. Non solo lui ne godrà, ma tutta la tua Chiesa, e persino chi vive nel mondo sottomesso al Maligno. Tu lo descrivi così: «Il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Come mai queste differenze? Certamente non riusciamo a comprendere tutto ciò che tu con esse volevi significare. Il frutto abbondante c’è comunque, e questo ti dà gioia, e la trasmetti anche a noi.

Verrebbe da pensare che tu vedi dei discepoli disposti a portare la croce per te, e non solo disposti, ma lo faranno sicuramente: ti obbediranno fino al martirio; non si lamenteranno, accoglieranno ogni evento con pazienza: ecco il cento per uno. Ne vedi altri che non avranno occasione di martirio, ma sopporteranno molte sofferenze per il Regno, rinunceranno ai loro averi con generosità, come Zaccheo: ti ubbidiscono con amore con tutto il loro essere. Possiamo paragonare il loro frutto al sessanta per uno? Ci sarà chi ti seguirà con fedeltà, ma non possederà nulla cui rinunciare, e nessuno lo farà soffrire fino a dare la vita per te: il frutto ci sarà ugualmente, come il trenta per uno (cf. Gerhardsson).

La Chiesa che non soffre persecuzione né ha occasione di rinunciare ai beni del mondo, testimonia sì, ma ha poche probabilità di vivere a lungo: i suoi figli godono di una rendita limitata. Il trenta!

La Chiesa che decide rinunce per essere povera, trasmette la fede con decisione, e i giovani la seguono con convinzione. Il sessanta!

Nella Chiesa che soffre il martirio per te la fede si diffonde con sicurezza e generosità per molte generazioni, come ebbe a scrivere uno dei santi padri: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani” (Tertulliano). Ecco il «cento per uno»!

Nel tuo Regno ci sono molti posti, occupati da chi collabora con te, da chi ti ama più di tutto e di tutti, da chi ha consegnato a te la propria vita. Tra di essi vedi anche me?

Grazie, Signore Gesù, che sai adoperare e apprezzare chiunque rimane unito a te, come hai promesso: «Chi rimane in me porta molto frutto» (Gv 15,5).

 

4. Tutti dormivano (Mt 13,24-30)

24Espose loro un’altra parabola, dicendo:

«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.

27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”.

28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.

E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”.

29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

4.

Signore Gesù, vedi i discepoli attenti ad ogni tua parola. Sai che una sola parabola non è sufficiente a descrivere la complessità e la ricchezza del Regno dei cieli, iniziato con la tua presenza e destinato a crescere e portar frutto nel mondo. Ne proponi delle altre, ognuna destinata a mettere in luce un aspetto diverso del Regno o a rispondere ad eventuali domande. Chi infatti inizia a seguirti nella tua Chiesa e a vivere la tua Parola insieme con gli altri tuoi discepoli, incontra situazioni diversificate, e queste diventano problemi o pongono interrogativi che richiedono spiegazione o decisioni sapienti.

Con la nuova parabola ci presenti un uomo che semina il grano buono, come quello della parabola che hai già spiegato. Succede però un fatto increscioso: il nemico, di nascosto, nella notte, nello stesso campo fa la stessa cosa col seme della zizzania. Approfitta del sonno di tutti per compiere questo lavoro. Nessuno infatti lo vede e nessuno riesce a impedirglielo. Passa il tempo, e la messe fiorisce. Solo adesso si può notare il danno, mentre prima nessuno se ne accorgeva.

È «il nemico», quello che ti avrebbe voluto consegnare tutti i regni del mondo quando eri nel deserto. Ti proponeva ‘solo’ di inginocchiarti per adorarlo. Quello è il «nemico», che vuole essere adorato dagli uomini al posto di Dio.

I servi si accorgono che nel campo non cresce solo il grano. Quando essi riferiscono al padrone la loro scoperta, pare che questi sapesse già, anzi, che se l’aspettasse. Egli sapeva che c’è il nemico, e che il nemico non sta in ozio, che lavora di nascosto, nella tenebra, perché sa di fare il male: egli vuole impedire che tra gli uomini s’instauri il Regno dei cieli. Sapeva che il nemico usa la zizzania per portare veleno, che se verrà mescolato con la farina, provocherà danno alla vita di chi mangerà il pane, e attribuirà la colpa al pane!

Signore Gesù, tu vedi la nostra vita, vedi in che ambiente vivono i tuoi discepoli. Li vuoi aiutare a comprendere come mai vivono difficoltà e sofferenze. Sanno che tutto il male viene dal nemico: saranno perciò attenti a non offrire a lui la propria adorazione.

Quando i tuoi discepoli ti ascoltavano c’erano uomini che avrebbero voluto impedire a te di parlare e avrebbero voluto distogliere i tuoi stessi discepoli dall’ascoltarti. Avevano già tentato di metterti in ridicolo per farti perdere la stima di chi aveva iniziato ad amarti. Ti ponevano tranelli per metterti in imbarazzo, e ti accusavano di non essere osservante della Legge di Mosè, che tu invece sei venuto a portare a compimento, vivendola con l’amore di un figlio e non con la paura di un servo (9,11.34; 12,2.14.24).

Com’è difficile vivere insieme a loro! Essi vogliono, o pretendono, di essere partecipi del Regno dei cieli, e corrono ad ascoltarti insieme ai veri discepoli: lo fanno però cercando il proprio benessere e la propria vanagloria. Anche tra i discepoli qualcuno rimpiange il fatto di non poter mai dire d’essere a posto con Dio per aver osservato ogni particolare dei precetti di Mosè. E qualcuno vorrebbe possedere denaro, avere sicurezze, come le aveva prima di seguirti, avere una casa e un cuscino dove posare il capo. E poi anche il desiderio di primeggiare, di essere al centro o al di sopra degli altri continua a rimanere radicato nel cuore di molti. Sono le situazioni che fanno soffrire la Chiesa di Dio in ogni epoca.

Nella notte, mentre tutti dormivano e nessuno si accorgeva di ciò che succedeva, il nemico godeva della propria invidia e dava compimento alla propria gelosia e alla propria cattiveria.

Il nemico! Nel Regno dei cieli agisce di nascosto il nemico. Per questo tu hai avvertito i discepoli, e non ti stanchi di sollecitarli alla vigilanza, alla prudenza, al discernimento.

Signore Gesù, continui la tua parabola. I servi propongono una soluzione alla difficoltà che ti hanno presentato. Essi stessi si offrono a sradicare la zizzania dal campo. Perché non accogli con gioia questa fatica che essi vogliono offrirti?

Tu sai anche che un po’ di zizzania c’è nel cuore di tutti. Tutti quelli che ti seguono e ti amano sono campo in cui, di quando in quando, mentre nessuno si accorge, entra il nemico. Egli è riuscito a entrare anche nel mio cuore: tu lo sai Gesù prima che io me ne sia accorto. E ci proverà ancora, perché la sua invidia è costante.

Tu rispondi ai tuoi discepoli con decisione: «No!». Chi sradica la zizzania può sradicare o danneggiare le radici del grano buono.

Tu sai infatti come è il nostro cuore. Abbiamo bisogno della tua pazienza e di gustare il tuo amore. Il cuore dell’uomo è un campo dove il seme cattivo può venir soffocato da quello buono, e dove le radici della zizzania possono essere trasformate quando ricevono amore divino. Nel tuo Regno è possibile la conversione (Ef 5,8; Col 3,5-7)!

I tuoi servi dovranno pazientare, attendere, lasciar crescere il grano buono vicino a quello cattivo, e persino permettere anche a questo di arrivare a maturazione (Ef 4,20-32; Col 3,12-14).

Solo alla mietitura avverrà la separazione. E questa è una fatica che non spetterà ai servi che hanno seminato, ma ai mietitori. Saranno altri, non noi, incaricati di operare il discernimento e di bruciare la zizzania in fasci e di riporre il grano nel granaio del padrone.

Gesù, tu ci lasci nel mondo, ci vuoi veder crescere e agire col tuo amore nelle difficoltà procurate dal nemico del tuo Regno (Gv 17,15.20).

È in questa situazione che saremo tuoi testimoni, che realizzeremo i tuoi progetti di salvezza per l’umanità.

Sai che la tua Chiesa non sarà mai libera del tutto dal peccato. Essa non potrà mai vantarsi di perfezione alcuna, non potrà mai innalzarsi sopra nessuno, nemmeno sopra il mondo nemico. Esso tenterà di trovare il modo di penetrare nelle relazioni dei tuoi discepoli, per cercare di impedire che tra essi si sviluppi e si manifesti la tua vita divina, la tua unità col Padre, e si edifichi il tuo Regno.

Il nemico impedirà l’obbedienza umile degli uni agli altri. Proprio questo suo lavoro nascosto ci sarà di stimolo ad essere sempre vigilanti, e ci darà occasione per vivere nell’umiltà, quella che ti rallegra, nonostante il peccato e le delusioni che ti procuriamo.

 

5. Il regno dei cieli è simile a… (Mt 13,31-35)

31Espose loro un’altra parabola, dicendo:

«Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

33Disse loro un’altra parabola:

«Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

5.

Signore Gesù, il Regno dei cieli è mistero grande e complesso, che non puoi descrivere nemmeno con molte parabole. È però un mistero che tu ritieni fondamentale, decisivo. È importante che i tuoi discepoli, ma anche le folle, ne conoscano la bellezza e la profondità. Non è facile per loro né comprenderlo né accettarlo, perché la mentalità corrente, quella diffusa dalle attese anche politiche del popolo, fa da ostacolo alla novità di un Regno che si presenta anzitutto spirituale, pur ricco di forza trasformante per la realtà sociale di tutto il mondo.

Il tuo Regno è una politica nuova! I tuoi racconti, anche le parabole, sono come comizi, non elettorali, perché gli uomini non dovranno eleggere né il re né i suoi servi, ma presentazione della novità di vita che l’ascoltare te e l’obbedire al tuo amore comporta.

Terminata la parabola della zizzania seminata tra il buon grano, continui raccontando altre parabole, brevi, ma ricche di novità. Con la prima ci porti in un campo o in un orto. Qui un uomo semina soltanto un granello di senape.

Seminare è nascondere sotto terra, e il seme di senape è tanto piccolo che è difficile afferrarne uno da solo, ma quell’uomo proprio questo fa. Tu stesso fai notare che quel tipo di seme è il più piccolo di tutti. Che cosa farà quel seme sotto terra? Non ingrosserà per diventare più visibile, ma, come tutti sanno, morirà. Lo dirai anche tu quando parlerai di te stesso: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore». (Gv 12,24-26).

Queste tue parole ci aiutano a comprendere ciò che avresti voluto capissero i tuoi discepoli grazie alla parabola che hai raccontato. Il seme che muore ha una forza e una vitalità tale, che da esso nasce e cresce la vita, una vita che diventa utile a «gli uccelli del cielo», che faranno il nido tra i rami dell’arbusto che germoglierà e crescerà.

È impressionante la differenza spropositata tra l’inizio e la fine, tra la piccolezza del cominciare e la grandezza e l’utilità per molti che sarà.

Il profeta Ezechiele aveva profetizzato che da un ramoscello sarebbe cresciuto un alto cedro magnifico (Ez 17,22-23) per la gioia degli uccelli del cielo, che rappresenterebbero tutti i popoli pagani, secondo l’insegnamento dei rabbi giudei. Tu, Gesù, usi le immagini dei profeti, perché anche tu sei profeta: ci trasmetti, con le parole e con i fatti, i misteri del Regno di Dio.

Questa parabola ci introduce e ci prepara a comprendere la tua vita, la tua presenza tra noi uomini. Sei uno solo, e sarai seminato nel campo, ove rimarrai, nascosto, fino al terzo giorno. Dalla tua morte inizierà la vita di una Chiesa che crescerà fino a divenire dono di Dio per tutti i popoli del mondo, e benedizione per “tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3), come è stato annunciato ad Abramo. Così ti riveli ancora come colui che realizza le promesse e le profezie.

I tuoi discepoli non dovranno scoraggiarsi quando s’accorgeranno di essere un numero insignificante di fronte alle grandi folle e al gran numero di popoli ai quali tu li manderai per annunciare il vangelo e la gioia del tuo Regno. E quando essi verranno seminati nel terreno per morirvi, anche allora rimarranno nella gioia, perché saranno l’inizio di una nuova realtà che darà vita e salvezza a moltitudini.

Breve la parabola del seme di senape, ma fontana di speranza, che vincerà ogni tentazione di tristezza e scoraggiamento con cui il nemico cercherà di sopraffare i tuoi discepoli. Allora essi comprenderanno l’uomo che semina e il seme che cresce sorprendendo tutte le attese.

Questa immagine li aiuterà pure a superare la contrarietà delle attese di un Messia dominatore e di un suo regno simile ai regni del mondo. Il tuo Regno, quello che hai assicurato essere vicino, è «regno dei cieli», quindi profondamente diverso da quelli mondani.

Ecco perché è diverso, ora lo sappiamo, e ne godiamo.

Gesù, tu racconti un’altra parabola, in cui è in azione una donna. Nel tuo Regno le donne avranno un ruolo importante, e una dignità bella, da iniziatrice, a cominciare da tua Madre. Del resto è lei l’albero da cui tu sei stato colto come germoglio e seme del Regno.

Una donna lavora in casa, e prepara il cibo, il pane. La moglie di Abramo, Sara, ridendo preparò il pane per i tre ospiti. Impastò tre misure di farina (Gen 18,6), la stessa quantità della tua parabola. Con tre misure di farina il pane preparato è la quantità necessaria per un banchetto di cento uomini. Sara preparò così la festa per la nascita del figlio del suo ridere, Isacco. Era uno solo il figlio che sarebbe nato da lei, ma ad Abramo il Signore disse: «Diventerai padre di una moltitudine di nazioni» (Gen 17,4).

I modi di fare di Dio sono sempre gli stessi. Uno, Isacco, per generare una moltitudine, e uno tu, Gesù, per salvare tutti gli uomini. Il pane di Sara è il pane della donna che tu ci fai osservare al lavoro per impastare la farina con il lievito. È pure il pane occorrente a Eliseo per sfamare cento uomini affamati: il lievito di quel pane fu la fede del profeta (2Re 4,41). Il lievito della donna viene nascosto nella farina: ecco il segreto del Regno, il nascondimento, come nascosto era il seme di senape nella terra del campo dell’uomo. La forza del lievito, benché pochissimo rispetto alla grande quantità di farina, è tale da cambiare tutto!

La gente capirà le parabole quando nel silenzio rifletterà sulle immagini entrate nella mente e nel cuore. Quando capirà da sola, supererà l’impedimento forte di ciò che veniva tramandato dalla mentalità terrena e dagli insegnamenti, frutto di ragionamento degli scribi.

Solo in parabole parlavi, Gesù. Così rispettavi tutti e tutto, ma davi l’occasione di riflettere, perché il tuo Regno venisse alla luce nel rispetto della libertà di ognuno.

Il salmo (Sal 78,2) profetizzò la tua venuta e il tuo modo di parlare con amore rispettoso: «Aprirò la mia bocca con una parabola, rievocherò gli enigmi dei tempi antichi».

E profetizzò pure che ciò che tu riveli alle folle e ai discepoli sono le «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo», cioè fin dalla chiamata di Abramo. Tu ne sei la rivelazione e il compimento. Il mondo è stato creato per ospitare il Regno dei cieli!

Il nostro grazie e la nostra meraviglia accompagnano sempre più il nostro ascolto della tua voce e ogni passo con cui seguiamo il tuo camminare sulle strade degli uomini.

 

6. Il Figlio dell’uomo (Mt 13,36-43)

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli:

«Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».

37Ed egli rispose:

«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli.

40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro.

Chi ha orecchi, ascolti!».

6.

Signore Gesù, finora hai parlato all’aperto, dove tutti potevano udire la tua voce. Solo la spiegazione della parabola del seminatore l’hai donata in modo riservato ai discepoli. Ora offri il tuo saluto alla folla, e poi entri nella casa, luogo di intimità, dove ti è concesso riposare, dove sei accolto come fratello o come padre o come figlio. In casa ci sono rapporti di comunione che ti danno libertà e serenità, che tu d’altronde vivi sempre, anche fuori casa: ogni luogo per te è casa del Padre tuo, come il deserto, dove lo hai amato e dove ti sei nutrito della parola della sua bocca, come del pane necessario per la vita!

Con te vengono i discepoli. Essi non ti lasciano mai. Sono qui e si avvicinano. Non hanno compreso, o non del tutto, che cosa intendevi rivelare raccontando la parabola della zizzania, oppure essa ha suscitato in loro una serie di domande o lasciato incertezze, tanto che volentieri desiderano che tu ne parli ancora. Oppure immaginano che tu avessi altro da dire, che non avevi potuto raccontare alla presenza di tutti gli estranei.

Tu ricordi bene la tua parabola e cominci subito a rispondere alla loro richiesta. Inizi con una spiegazione particolareggiata di ogni parola che hai usato. «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo»: è importante sapere chi è il protagonista principale: è il Figlio dell’uomo. È l’uomo vero, colui che incarna l’amore del Padre. È l’uomo, amato dal Padre e portatore del suo amore, a cui preme la sorte di ogni uomo creato da Dio. È colui di cui Pilato ha potuto dire a tutti: «Ecco l’Uomo!». Abbiamo compreso: sei tu il «Figlio dell’uomo»!

È «il Figlio dell’uomo» che ha in mano il buon seme da spargere. Egli vuole che il mondo, il campo del suo lavoro, sia tutto abitato dai figli del Regno. Suo desiderio e sua volontà è che tutto il mondo sia occupato dal Regno, che finora hai sempre chiamato «Regno dei cieli», un Regno che sostituisca i regni del mondo.

Il mondo è occupato dai regni umani, regni che agli uomini fanno soffrire la schiavitù e l’oppressione, regni dove chi sta al primo posto viene posseduto e guidato dal principe di questo mondo, il diavolo. Proprio questi potenti che dominano con la forza soffrono le carenze peggiori: ad essi infatti manca la misericordia e la bellezza dell’umiltà, manca loro la mitezza che rende amabili, possiedono invece l’avarizia e la cupidigia, manifestano la superbia che genera cattiveria, vivono l’impudicizia che rovina e distrugge tutte le loro relazioni personali. Questi tu li chiami con un nome orribile e repellente, «figli del Maligno», e li identifichi con la zizzania.

Questa è seminata nel campo dal diavolo. Ecco in quali mani si trovano i figli del Maligno. Il diavolo li sparge nel mondo per impedire al buon grano di crescere e di portare frutto di amore e santità.

Nella parabola hai parlato di mietitura, il momento in cui interverranno i mietitori incaricati di separare la zizzania dal grano. Essi non saranno i discepoli. Questi non riceveranno il compito di giudicare né di condannare.

Mietitori infatti saranno «i suoi angeli». Dio stesso cioè si occuperà di questo lavoro delicato, coraggioso e difficile. Manderà gli angeli dal cielo: gli uomini potrebbero sbagliarsi, potrebbero seguire qualche loro istinto di egoismo oppure di falsa misericordia. Saranno invece gli angeli a mietere e a separare il buon grano dalla zizzania cresciuta nel campo del mondo. Non sarà solo la Chiesa il campo di lavoro degli angeli, ma tutto il mondo!

Quando si compirà la mietitura? Solo «alla fine del mondo», quando si compirà la volontà del Padre per gli uomini. Allora si alzeranno le fiamme che bruciano la zizzania: noi non vedremo nulla, non saremo spettatori come avrebbe voluto essere Giona, il profeta senza misericordia (Gio 4,5). Noi saremo già «nel granaio», il Regno del Padre. Nel Regno del Padre entrerà solo il buon grano, i figli del Regno.

Gli angeli saranno mandati dal Figlio dell’uomo: è il suo Regno il luogo della decisione, il luogo del giudizio, dove avverrà la separazione degli «scandali» e di quelli che «commettono iniquità». Questi sono ancora presenti nel Regno del Figlio dell’uomo.

Che cosa comprendono i discepoli? Che cosa comprendiamo noi?

Noi siamo Regno del Figlio: vicino a noi, anzi, talora dentro di noi c’è lo scandalo e in mezzo a noi chi commette iniquità. Talora il nostro cuore è diviso e ama le cose del mondo e i sentimenti del mondo: vanagloria e orgoglio, ira e avidità, impudicizia e pigrizia. Sì, purtroppo persino nella Chiesa che vive nel mondo c’è chi si fa chiamare discepolo, ma è intento a distogliere da Gesù l’attenzione degli altri per attirarli a sé.

Ad essi è riservata «la fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti». Questa immagine, che richiama la Geenna, la valle dove bruciano in perpetuo le immondizie di Gerusalemme, è spaventevole: chiunque, piuttosto che essere buttato là, accetta il peso di fatiche grandi, la fatica dell’umiltà, dell’obbedienza e della concordia.

«I giusti», coloro che sono stati fedeli e obbedienti al Figlio dell’uomo, inizieranno a vivere la gioia del Regno del Padre «nel granaio»: non ci saranno più accanto a loro i figli del maligno. Luce splendente sarà il luogo della loro vita, e luce splendente brillerà dal loro volto!

Di nuovo ripeti l’invito con cui avevi concluso la prima parabola: «Chi ha orecchi, ascolti!». Per comprendere le tue parole è necessario il nostro impegno, la nostra riflessione e la nostra vera, umile e decisa obbedienza. Le tue parabole possono rimanere racconti insignificanti e inutili, ma colui che sa che tu ci ami, le fa diventare punto di partenza dei propri desideri, dei propri pensieri, discernimento dei propri sentimenti, e finalmente stimolo per il proprio agire.

 

7. Pieno di gioia (Mt 13,44-52)

44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.

49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

51Avete compreso tutte queste cose?».

Gli risposero: «Sì».

52Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

7.

Signore Gesù, racconti altre tre parabole per avvicinarci alla comprensione del mistero del Regno dei cieli, così in tutto ce ne avrai donate sette. Con le prime quattro ci hai mostrato il Regno come frutto del lavoro di semina o di impastare la farina, con queste altre tre ce lo presenti come dono, sorpresa, meraviglia, fonte di grande gioia, che esige opera di discernimento, di decisione e di scelta attenta.

Con la prima di queste ci porti in un campo dove un servo lavora alacremente. La sua fatica, normale per tutti quelli che lavorano per altri, viene premiata inaspettatamente. Non sono gli uomini che la premiano, non è il padrone del campo che apprezza il lavoro del servitore. È Dio stesso, provvidente, che vede e ama quest’uomo!

Egli scopre un tesoro. E usa la sua sapiente furbizia. Lo nasconde di nuovo, come tu nascondi la preziosità del Regno nelle parabole, perché nessuno se ne appropri senza una necessaria decisione. La sua gioia è già grande, e tutto quello che decide ora è mosso da quella grande gioia, che somiglia a quella di Giovanni Battista quando ha sentito la tua presenza in grembo a tua madre, o alla gioia dei Magi quando hanno rivisto la stella, o a quella di Simeone quando ti ha preso in braccio, o a quella dei discepoli, quando subito hanno lasciato la barca, le reti e il padre o il posto di lavoro per venire dietro a te.

La gioia dona al servitore il coraggio di vendere tutti i suoi beni: per quanto bello e buono, utile e pregiato, tutto quanto egli possiede non ha un valore paragonabile al tesoro nascosto che ha intravisto e di nuovo nascosto perché nessuno se ne appropri, e lui ne rimanga privo.

Già Giobbe conosceva un tesoro prezioso, la sapienza di Dio, quando diceva: «Non la eguagliano l'oro e il cristallo né si permuta con vasi di oro fino» (Gb 28,15-19). Pure Salomone sapeva che «La sapienza è più preziosa di ogni perla e quanto puoi desiderare non l'eguaglia» (Pro 3,15; 8,11).

La gioia per questa novità, che cambia la vita all’uomo, gli permette di privarsi di tutto ciò che possiede. Tutto è nulla in suo confronto: così fece il falegname di Nazaret, Giuseppe, quando seppe chi era colui che era presente, pur se nascosto, nel grembo di Maria: non tergiversò più, anzi, esultò di gioia e «prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24).

Anche il ricco mercante, quando nella sua ricerca di perle pregiate, ne vede una che supera in valore tutte le altre, decide subito e, senza dir nulla a nessuno, va, rinuncia «a tutti i suoi averi e la compra».

I tuoi discepoli, Gesù, comprendono benissimo: non hanno bisogno di spiegazione. Queste parabole rivelano quanto essi stessi hanno già vissuto: hanno trovato te, ricco della sapienza di Dio, dono del Padre agli uomini, agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, e hanno rinunciato a tutto per seguirti, senza cercare l’approvazione di alcuno. Divenuti poveri per te, sono beati, ricchi della gioia divina.

Ora essi godono ancor più sentendo queste parabole: comprendono che tu apprezzi la loro decisione di seguirti e la proponi come esempio a tutti gli altri che, lungo i secoli, ti incontreranno.

In queste due parabole, Gesù, sottolinei la gioia che accompagna i tuoi discepoli. E ricordi loro che tu sei l’unico tesoro, l’unica perla che rimane nella vita. Sia l’uomo che lavora nel campo che il mercante, rinunciano a tutto per poter possedere il nuovo tesoro.

Chi non comprende che nel cuore del tuo discepolo non trova posto null’altro, nessun altro amore o affetto che possa sminuire quello che tu meriti, ripiomberà nella tristezza, come il giovane che osservava tutti i comandamenti, ma non rinunciò ai suoi averi per camminare libero e ricco solo di te (Mt 19,22). Sei tu la gioia della vera e piena libertà dai desideri e dai poteri di mammona! Grazie, Gesù, che ci accogli nella tua ricchezza divina. Tutti quelli che fanno parte del tuo Regno hanno nel loro sorriso questa gioia!

La terza parabola che fai udire ai discepoli tiene conto, finalmente, del duro lavoro che occupava alcuni di essi prima di seguire te. I pescatori gettano in mare la loro rete. Quando con fatica la tirano a riva ecco, non ci sono solo pesci buoni da mangiare, ma ce ne sono anche di quelli immondi e di quelli non commestibili. Nuovo lavoro per i pescatori: fare la cernita, con cura e competenza.

Di cernita avevi già parlato a proposito della zizzania raccolta alla mietitura del grano. Ora spieghi ciò che significa il lavoro dei pescatori. La rete era stata gettata nel mare: non hai detto chi l’ha gettata. Chi ha fatto il pescatore lo sa. E tu sai che gettare la rete sarà la fatica che proprio essi faranno, essi che tu hai chiamato ad essere pescatori di uomini, quando annunceranno a tutti i popoli il tuo nome e la tua presenza di risorto dai morti.

Chi accoglierà il loro annuncio? Ci saranno buoni e cattivi. Ci sarà chi ti ama al di sopra di tutti, e sono i buoni, e ci sarà anche chi conserverà amore al denaro o amore ai campi o amore disordinato a qualche persona cara. Ci sarà il discepolo che, prima di seguirti, preferisce attendere la morte dei parenti, chi sarà falso profeta in veste di pecora, chi offrirà frutti privi della tua presenza, chi userà il tuo nome per i propri interessi, chi sarà conquistato da trenta denari, chi nasconderà parte del ricavato della vendita del campo come Anania e Saffira (At 5,3ss). E molti altri che conserveranno amore a se stessi e rinunceranno a portare la propria croce. Buoni e cattivi nella stessa rete, nella stessa Chiesa!

Come avvenne per il grano e la zizzania, anche la cernita dei pesci sarà lavoro riservato agli angeli. Questo compito non spetterà ai discepoli, ma Dio lo riserva a sé per incaricarne i suoi angeli. E come la zizzania finirà nel fuoco, così anche i discepoli «cattivi».

Gesù, ti preoccupi che i tuoi discepoli abbiano compreso i misteri del Regno dei cieli che hai rivelato, pur se in modo misterioso, attraverso le parabole. Sì, hanno capito, o almeno a loro pare di aver compreso.

Tu aggiungi una nuova rivelazione: lo scriba del Regno si distingue dagli altri scribi, perché non ripeterà soltanto quanto ha udito o ricevuto o studiato nelle Scritture, ma anche le nuove rivelazioni che riceverà da te e le nuove esperienze che egli stesso vivrà con te.

Tu stesso sarai oggetto dell’insegnamento degli scribi del Regno, tu e quanto tu avrai avverato e portato a compimento della Legge e dei profeti. Questo è ciò che proprio l’evangelista Matteo sta facendo: egli ci manifesta la novità della tua persona e del tuo vangelo accanto alle profezie che lo hanno preannunciato e che tu hai realizzato.

Ti benediciamo, Gesù, nostro Signore e maestro. Ti ringraziamo perché non solo ci aiuti a comprendere il Regno che stai iniziando, ma anche perché adoperi noi a viverlo e diffonderlo sulla terra assetata di amore e di verità.

 

8. Nella sua patria (Mt 13,53-58)

53Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

54Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? 55Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?».

57Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua».

58E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

8.

Signore Gesù, il tuo evangelista ha terminato di raccontarci le tue parabole. Alcune di esse le avevi rivolte alle folle, altre solo ai discepoli. Li hai aiutati a conoscere il Regno dei cieli, e quindi a comprendere come alcuni aspetti della vita cambieranno profondamente per chi cammina dietro a te.

Essi ti seguono, benché Matteo non ce lo faccia notare. Da Cafarnao sali a Nazaret, luogo dove sei stato allevato, dove sei cresciuto e, quindi, conosciuto. Sei conosciuto al modo con cui riescono a conoscere gli uomini, in base alle relazioni che hanno stabilito con te e in base alle azioni da te compiute sotto i loro occhi.

Ti affacci all’edificio, chiamato sinagoga, dove tutti hanno l’abitudine di radunarsi in giorno di sabato, e ubbidisci alle loro consuetudini. Anche tu, come molti altri, ti alzi a leggere passi delle Scritture e a parlare comunicando spiegazioni, rivelazioni riguardo ai disegni di Dio, che si realizzeranno attraverso di te, o esortazioni utili alla vita di ogni giorno sia per i singoli che per la famiglia o per la convivenza nel villaggio.

Ti ascoltano con attenzione. Anzi, con stupore. Nessuno si sarebbe aspettato da te parole tanto sapienti e ricche di saggezza, vere e profonde, aderenti alle Scritture proclamate: queste dalla tua voce ricevono significati nuovi e santi, dai quali tu stesso puoi essere conosciuto in modo nuovo. Nei loro cuori sorgono domande, che diventano commenti a voce alta da parte di molti.

Anzitutto si chiedono: dove hai preso o chi ti ha dato una tale sapienza?

Ovviamente pensavano non fosse tua, perché ti avevano sempre conosciuto come il figlio di un operaio artigiano che lavorava con loro e per loro. Ti conoscevano come uno che sa usare le mani, ma non la mente, tantomeno il discernimento spirituale. Sanno che sei il figlio di Giuseppe, e che tua madre si chiama come la sorella di Mosè, Maria. Questi tuoi genitori non avevano studiato e non si erano distinti nel villaggio come persone particolarmente capaci di parlare, di fare discorsi, di insegnare.

Si chiedono che scuole puoi aver frequentato, ma le scuole esistenti non erano riuscite a dare una sapienza simile nemmeno ai loro scribi e a tutti quelli che di solito si alzavano a parlare nella sinagoga.

Quindi, che origine può avere la tua sapienza con la possibilità di far miracoli, come era stato raccontato e testimoniato da persone venute da Cafarnao? Si dovrebbe concludere che Dio stesso agisce in te, ma ciò non è possibile, perché sei «fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Simone e di Giuda». E anche le tue sorelle erano spose di qualcuno di loro. Giacomo e Giuseppe erano figli di Maria di Cleofa, quindi anche tu, con i tuoi genitori, appartenevi ad un clan numeroso con molti cugini e cugine che vivevano insieme, abituati a trattarsi e chiamarsi fratelli e sorelle.

Questa conoscenza precisa e dettagliata che avevano di te li teneva prigionieri dei comuni pregiudizi maturati tra la parentela. Non riuscivano ad ammettere che Dio avesse potuto servirsi di uno di loro per manifestarsi e parlare alla gente.

Dimenticavano che Dio si era manifestato ad Abramo, un pastore nomade, a Mosè, pure mentre faceva il pastore, fuggito perché ricercato per un delitto, a Davide, anch’egli pastore di pecore lasciato al pascolo quando è arrivato il profeta Samuele in casa del padre. Persino tra i profeti c’era un certo Amos, di Tekoa, allevatore di pecore. Dio non chiede il permesso ai benpensanti, né ai parenti, nemmeno ai potenti, per scegliere a chi affidare un compito delicato e difficile, importante e decisivo per realizzare i suoi disegni.

La tua persona stessa, Gesù, o meglio il fatto che tu eri vissuto con loro nella semplicità e povertà, nascosto nell’anonimato, era motivo di scandalo, ostacolo cioè ad accoglierti come dono di Dio, mandato da lui a beneficarli e invitarli ad entrare nel suo Regno.

Gesù, tu non ti spaventi e nemmeno ti meravigli di questa accoglienza diffidente delle persone cui ti sentivi legato da affetto. Li avresti voluti legati a te dall’obbedienza a Dio, che ami anche per loro.

Ti ricordi un proverbio antico, usato molte volte, che diviene attuale oggi per te: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua».

Questo è motivo di tristezza, perché ti obbliga a tener chiusa la bocca: non puoi affidare loro il vangelo della gioia, non puoi contare su nessuno di loro perché collaborino con te alla salvezza del popolo e del mondo.

Non puoi compiere prodigi per loro, perché i prodigi avvengono dove si manifesta la fede e l’obbedienza della fede. Questa è tipica dei piccoli e dei poveri che ti ascoltano con semplicità e fiducia nella potenza di Dio operante in te.

A Nazaret, piccolo villaggio, si manifesta invece l’orgoglio derivante dalla propria conoscenza limitata di colui che invece ha dato loro i segni della presenza in sé di un Dio potente e misericordioso.

Abbi pietà di noi, Signore Gesù! Ci hai già invitati a imparare da te l’umiltà del cuore. Concedila a me, tu che sei amico di Dio.

 

9. Gesù partì di là (Mt 14,1-13)

Cap. 14

1In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. 2Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!».

3Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo.

4Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!».

5Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.

6Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode 7che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. 8Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».

9Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data 10e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. 11La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre.

12I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.

13Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città.

9.

Signore Gesù, abbiamo sentito finora quanto tu hai detto e operato, e attorno a te abbiamo visto discepoli e folle. Hai annunciato e descritto il Regno dei cieli: ci chiediamo come vivono gli uomini nei regni del mondo? Dove sono e cosa fanno coloro che guidano le sorti dei popoli? Ora il tuo evangelista ce li fa conoscere da vicino. Quanto avviene, grazie a te, è stato raccontato a Erode Antipa, il tetrarca, uno dei figli di colui che aveva deciso la tua morte quando eri bambino.

Che cosa riesce a pensare quest’uomo? Egli ha sulla coscienza un delitto, e questo rimane come stimolo per le sue considerazioni e per le sue spiegazioni dei fatti, misteriosi per lui, che stanno avvenendo attorno a te: miracoli, prodigi, raduno di folle attente ad ascoltare la tua sapienza.

Matteo ora ci racconta il suo delitto. Egli aveva paura delle folle che si riunivano attorno a Giovanni, come ora dietro a te. E da Giovanni si sentiva rimproverato perché la sua condotta famigliare non era conforme ai comandamenti sapienti di Dio. La sua passione lo aveva trascinato all’adulterio, come Davide, anzi, addirittura all’incesto. Giovanni, con la sua condotta e con la sua parola, era un continuo rimprovero e un costante ammonimento.

Il tetrarca era interiormente combattuto: non voleva essere contraddetto da alcuno, ma le folle dei suoi sudditi amavano e veneravano Giovanni come profeta, tanto da non potergli impedire di parlare, come avrebbe voluto. Ci pensò Erodiade, la donna che si era portato in casa disobbedendo chiaramente a Dio: era sua parente e già moglie di uno dei suoi fratellastri, Filippo.

L’occasione venne durante un banchetto, banchetto i cui invitati parteciparono sapendo di far piacere al tetrarca re, che festeggiava il compleanno. Venne introdotta la giovane figlia della stessa Erodiade per danzare alla presenza di tutti gli invitati.

Questi la ammirarono, e lui, Erode, pensò di ricompensarla con un impeto di generosità, strana per lui, che non aveva mai pensato di ricompensare Gesù per i grandi benefici da lui arrecati ai suoi sudditi. Le fece grandi promesse. Avrebbe accontentato incondizionatamente tutti i suoi desideri, tutte le sue richieste. Che cosa può chiedere una ragazza ad un re? Una ragazza che vive nella reggia, che già è accontentata in tutto da tutti, che cosa può desiderare ancora?

Ella, spontaneamente, chiede consiglio a colei che l’ha viziata, a sua madre. E questa non ha dubbio alcuno: ella ha una smania, anzi una terribile cattiveria. Nemmeno chiede alla ragazza se potesse farle piacere. Chi accontenta i propri vizi impone con prepotenza il proprio egoismo e assoggetta ad esso tutti gli altri, comprese le persone che s’illude di amare, e che invece domina con violenza. La cattiveria gli pare una virtù, e la misericordia una debolezza da evitare con cura.

La volontà di questa donna prepotente gode della possibilità di approfittare ora della figlia. Le fa domandare un delitto, le fa chiedere come dono e premio per le sue danze un gesto di cattiveria inaudita: il disprezzo del profeta, uomo di Dio, e la sua uccisione.

Questo delitto chiesto come premio, rimarrà sempre nella mente e nel cuore e nella coscienza di quella ragazza. Noi lo possiamo immaginare, benché l’evangelista non ce lo dica esplicitamente.

Ed ecco la testa di Giovanni: il re e tutti i dignitari la vedono. È là su un vassoio, uno dei tanti che sono stati posati sui tavoli degli invitati.

Ora il silenzio.

Un silenzio doppio, quello degli uomini e quello di Dio. È il silenzio dell’orrore e del turbamento degli uomini, che si ritengono padroni di tutto e di tutti, persino della vita che appartiene a Dio soltanto. Ed è il silenzio della voce profetica.

Chi farà udire, a chi non è abituato ad ascoltare i suggerimenti divini della propria coscienza, le parole sante e sapienti del nostro Padre?

Tu comprendi, Gesù, che ora è rimasta a disposizione di Dio solo la tua voce, per far arrivare agli uomini la sua Parola.

Il sepolcro di Giovanni rimarrà testimone dell’amore di Dio, che vuole istruire e guidare alla santità gli uomini peccatori. E ancora, rimane come testimonianza che proprio chi è a disposizione di Dio per far giungere il suo amore ai fratelli, dovrà essere pronto a dare la propria vita, a perdere la vita in questo mondo perché essi trovino la strada del cielo.

Tu, che hai già istruito i discepoli sulla necessità di essere semplici come le colombe, ma anche prudenti come i serpenti (cfr. Mt 10,16) che si nascondono alla vista di un pericolo, ti allontani dai luoghi vicini alle residenze del tetrarca. Questi certamente non gradisce vedere che attorno a te ora si radunano le folle. Tu allora cerchi per te e per i tuoi discepoli luoghi silenziosi e appartati.

Ma proprio le folle accorrono. Non ti possono lasciare. Chi potrà nutrire la loro vita interiore, la loro fede, il loro desiderio di comunione, se non tu, rivestito e riempito dell’amore del Padre?

Gesù, corro anch’io là dove tu ti nascondi, e rimarrò nascosto con te.

 

10. Recitò la benedizione (Mt 14,14-21)

14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare».

16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare».

17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!».

18Ed egli disse: «Portatemeli qui».

19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.

20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.

21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

10

Signore Gesù, con i discepoli sei arrivato in luogo deserto, come Mosè quand’è fuggito alla ricerca del faraone. Nel deserto egli ha incontrato il Dio dei Padri, che gli parlò dalle fiamme del roveto, gli manifestò la sua misericordia per il popolo oppresso dagli egiziani e lo chiamò a realizzarla. Così qui ora tu incontri Dio Padre che ti chiede di rivelare e donare la sua misericordia alla folla che ti cerca e ti raggiunge persino con i malati.

Quando i tuoi occhi vedono le folle oppresse dalla avidità arrogante di Erode e dall’ignoranza in cui sono lasciate dai capi, il tuo cuore sente compassione. Riversi sulle loro piaghe l’olio del tuo amore col tocco della tua mano e con la parola, frutto del tuo amore al Padre, e i malati guariscono. Il Regno di Dio si manifesta in tutta la sua bellezza. La gioia si diffonde: la guarigione dei malati è sollievo, consolazione e speranza per tutti.

Arriva intanto la sera, ed è già passata l’ora in cui si è soliti mangiare. Se ne preoccupano i tuoi discepoli, che te lo fanno osservare. Non chiedono a te cosa fare, ma essi stessi ti consigliano di congedare tutta quella gente, che vada a cercare il cibo nei villaggi.

Gesù, tu sei il pastore di tutte quelle pecore bisognose. Il pastore non abbandona le proprie pecore a se stesse: egli si occupa di condurle al pascolo quando sono affamate e assetate. Come mai i tuoi discepoli non lo sanno ancora? Hanno anch’essi bisogno di cambiare i loro modi di pensare e di essere pronti ad offrirsi.

Essi non conoscono altra soluzione che andare a comprare, a usare il denaro, cioè tornare a quel mondo che la gente ha lasciato per stare con te. Ma in quel mondo ci saranno solo tentazioni, e soluzioni fondate sull’intelligenza umana, mescolata col peccato che li ha oppressi e continua ad opprimerli, intelligenza che dà peso e posto a mammona. No, tu non puoi accettarlo. Tu indichi una nuova via per rispondere alle necessità degli uomini. «Voi stessi», dici tu, date loro il necessario. Il Regno dei cieli non ha bisogno dei regni umani e dei loro metodi. Voi, discepoli del Regno dei cieli, possedete altre soluzioni ai problemi della vita quotidiana.

I tuoi discepoli non capiscono. Impareranno oggi da te, anche se è tardi. Essi sanno dirti soltanto che quanto possiedono è insufficiente. Ti ripetono le tentazioni con cui Mosè cercava di rifiutarsi a realizzare i compiti che Dio gli affidava: non sono capace, non so parlare, ho paura, non mi crederanno. Temeva la fatica, l’incomprensione e l’inimicizia del popolo. Non contava sulla potenza stessa di quel Dio che lo inviava, che gli metteva in mano le sue soluzioni, le sue parole e la sua potente energia liberante.

I cinque pani e i due pesci a disposizione sono pochissimi agli occhi degli uomini, ma non all’amore del Padre. Cinque sono i libri della Legge, pochi per l’ignoranza e la debolezza dell’uomo, ma se quelle parole saranno accompagnate dall’osservanza dei due comandamenti, quelli dell’amore di Dio e del prossimo, allora quelle parole sono sufficienti e abbondanti per servire alla vita di tutti i popoli.

Quei pochi pani e pesci devono arrivare nelle tue mani. Le tue mani hanno dato vita a chi era morto, salute a chi era malato, speranza a chi era disperato. Anche quei pani riceveranno vigore.

Prima di prenderli, vuoi vedere l’obbedienza da parte di tutti. Vuoi che si sdraino sull’erba, che si mettano a tavola tutti. Quello che stai per fare si ripeterà nei secoli, quando i discepoli prenderanno in mano il pane della benedizione.

Quando tutti hanno obbedito, tu prendi nelle tue mani quel poco che ti viene offerto. Il tuo sguardo si alza al cielo, da dove viene l’aiuto agli uomini. I tuoi occhi così portano i cuori di tutti quei poveri ad attendere il cibo dal Padre. È lui infatti che «Dà il cibo a ogni vivente» (Sal 136,25). Tu stesso sai che tu e il Padre siete uno (Gv 10,30), e perciò quanto tu vuoi il Padre lo fa.

E la tua bocca pronuncia le parole della benedizione. Benedici il Padre che ti ha mandato a compiere la sua opera, a manifestare il suo amore salvando gli uomini dalle conseguenze del peccato e a liberarli da colui che li vuole trascinare nella disobbedienza. Tu benedici il Padre perché è lui che fa crescere il seme, è da lui che riceviamo quanto è necessario.

Ora quei cinque pani non appartengono più a coloro che te li hanno portati. Ora sono pane che viene dall’amore del Padre. E l’amore del Padre non è mai insufficiente per gli uomini.

Le tue mani spezzano i pani, e questi, per tuo volere, arrivano in quelle dei tuoi discepoli. Sono essi che li distribuiscono agli affamati. Tu rimani a guardare. Le loro mani sono strumento delle tue. La loro fatica è gioia per te e per loro e per tutti i cinquemila uomini. Anche le donne e i bambini mangiano il pane della tua benedizione: questi sono i piccoli e i poveri che non contano, e non vengono contati da chi ne farà il conto. Essi, ai tuoi occhi e per il tuo cuore, sono come tutti gli altri che vengono contati.

Tutti i tuoi gesti sono quelli che ci preparano ad accogliere e a mangiare quel pane di cui tu stesso dirai: «Questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Anche quello lo riceveremo dalle mani dei tuoi discepoli, e lo riceveremo come dono di Dio e come strumento di comunione con tutti i poveri e i piccoli.

Tutti sono ora sazi, grazie a te. Nulla manca, e nulla mancherà, a chi ti cerca e ti ubbidisce. Sono saziati, e ne avanza. Ognuno dei discepoli, che, obbedendoti, raccolgono quanto è avanzato, riempie una cesta. Dodici ceste! Andremo da loro per gustare ancora la tua generosità, il frutto della tua fede e della tua preghiera e il frutto della condivisione dei fratelli.

Gesù, sei il Re del Regno dei cieli, il Regno in cui tutti vivono dell’amore gli uni degli altri. Non hai bisogno dei regni del mondo, non usi gli stessi metodi. Con forza puoi ripetere: «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» (Gv 17,14). E perciò godi quando ubbidiamo allo Spirito che ci esorta: «Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra» (Col 3,5)!

 

11 Coraggio, io sono (Mt 14,22-36)

22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.

24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.

25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura.

27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».

28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».

29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

34Compiuta la traversata, approdarono a Gennesaret. 35E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati 36e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti.

11

Signore Gesù, tutti sono saziati quando sta arrivando la notte. Tu vedi che i tuoi discepoli, che hanno visto la folla sfamarsi con il pane della benedizione da essi stessi distribuito, e di cui hanno raccolto poi i pezzi avanzati, sono tentati di unirsi agli uomini per acclamarti. Tu sai che è pericolosa tentazione riconoscerti come colui che rende facile la vita con i miracoli. Già nel deserto avevi vinto la tentazione di usare la potenza divina per avere il pane senza fatica, trasformando le pietre con un miracolo. Costringi perciò i discepoli a salire in barca per allontanarsi e partire, mentre tu da solo congedi la folla.

Essi, i discepoli, faranno esperienza di cosa significhi e cosa comporti essere nel mondo soli, senza di te, Gesù.

Mentre essi si allontanano, tu sali sul monte, torni nel deserto per incontrare il Padre e offrirgli il tuo amore e la tua obbedienza. Sia i discepoli che tutta la folla sapranno che è l’amore del Padre che agisce in te, e che tu non vivi senza di lui, e che tu vuoi compiere solo il suo volere. Lassù prolunghi il tuo pregare, il tuo immergerti nella volontà d’amore del Padre, fin che arriva la notte, anzi fino alla quarta vigilia, quella che precede l’alba.

I discepoli intanto sono sul lago. Devono affrontare senza di te la difficoltà del vento contrario. Tu non ci sei per calmarlo, come avevi fatto quando eri sì presente, ma dormivi sul cuscino nella barca (8,23). Essi imparano a desiderare la tua presenza, per essere aiutati a superare gli ostacoli e le difficoltà della loro missione nel mondo.

Tu non li dimentichi: arrivi là dove essi si trovano, sul lago mosso dal vento. Questa notte è anticipo e preparazione di quella che vivranno quando tu verrai condotto via, ed essi fuggiranno. Anche allora, come oggi, alla quarta vigilia incontrerai lo sguardo di Pietro, al canto del gallo (Mt 26,75; Lc 22,61). E come oggi non ti riconoscono mentre cammini sicuro sull’acqua, nemmeno ti riconosceranno quando sarai uscito dal sepolcro. Essi sanno che Dio soltanto cammina sulle acque: «Lui solo… cammina sulle onde del mare» (Gb 9,8; Sal 77,20; Sir 24,5), come Gesù solo uscirà vittorioso dal sepolcro della morte.

La reazione dei discepoli al vederti è la paura. È la paura, frutto del peccato, che ti accoglie col rifiuto. Le loro grida risuonano ancora nel cuore e nelle membra di quanti credono sì, ma manifestano una fede malata, patologica, la fede di chi vuole essere beneficato, ma non è pronto ad offrire se stesso.

Gesù, ti rivolgi a loro come ti sei rivolto al paralitico peccatore: «Coraggio»: essi devono abbandonare la paura, ma in che modo? La supereranno fissando lo sguardo su di te, che ora devi dire: «Io sono». Tu sei il Figlio di Dio, sei la potenza di Dio, ed essi possono esserne sicuri perché ti vedono camminare «sulle onde del mare». E che tu sei Dio, il Dio dell’amore, lo conferma il comando che doni loro: «Non temete». Tu sei davvero ciò che dice il tuo nome, Gesù, «Dio salva», e perciò ogni paura dovrà cedere il passo alla fiducia e alla gioia.

Pietro ora ha coraggio, ma un coraggio presuntuoso. Vuole ubbidirti, dato che tu sei Gesù, ma è lui che vuole suggerirti di dargli l’ordine di imitarti per fare ciò che tu fai, camminare sulle acque.

Pietro chiede di fare quello che tu vuoi facciano tutti i tuoi discepoli, vuoi che siano operatori delle opere di Dio, per manifestare la sua gloria. Ma Pietro non sa ancora che questo sarà il dono che il Padre offrirà a tutti quelli che porteranno la croce con te, il Figlio. Con compassione tu accetti la richiesta del discepolo: gli dai esempio di umiltà, e gli ubbidisci.

Lo chiami, come chiamerai i ciechi di Gerico (20,32): «Vieni». Tu non sei geloso d’essere rivelatore della potenza di Dio che ha creato il mondo, come non sei geloso di manifestarla quando egli ama gli uomini sofferenti.

Pietro ora ti viene incontro. Fin che il suo sguardo rimane fisso su di te (Eb 3,1; 12,2) egli cammina sull’acqua, proprio come Dio «sulle onde del mare»: condivide la sua e tua onnipotenza! Ma appena il suo sguardo si volge al mondo, si ritrova come Sansone quando gli sono stati tagliati i capelli (Gdc 16,19): non ha più forza, non è più portato dalla grazia divina. L’attenzione di Pietro infatti si lascia attrarre dal vento e dalle onde, e lui sprofonda nelle acque, sperimentando la propria debolezza.

Così avverrà nel cortile di Anna: confiderà in se stesso, e cederà alla paura e si ritroverà a scaldarsi al fuoco dei tuoi nemici (Lc 22,55). Quando vedrà il tuo sguardo bagnerà il suo volto di lacrime. Quando tu ora rispondi al suo grido, afferrato dalla tua mano (Sal 18,17) egli si ritrova bagnato da quelle acque che prima aveva sotto i piedi e sulle quali camminava sicuro di te.

Ora tu gli dici chiaramente come deve vivere il tuo discepolo per essere vero discepolo: non dovrà dubitare di te, dovrà vivere una fede sicura, ferma, ininterrotta. Pietro ora è bagnato perché la sua fede è poca, ha lasciato posto al dubbio! Chi tiene lo sguardo del cuore fisso su di te, Gesù, camminerà nel mondo ostile senza cadere, senza essere ingoiato da esso, e potrà sostenere i fratelli.

Ora tutti i discepoli, testimoni del triplo prodigio, il tuo procedere sull’acqua, l’incedere di Pietro verso di te, e la tua mano che lo salva, esclamano la fede sorta in loro: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». È un passo avanti, ma non ancora indice di fede piena, che si manifesterà soltanto quando saranno in grado di dire: «Tu sei il Figlio di Dio» (Gv 1,49; 11,27), l’unico Figlio del Padre.

La gente che ti vede e accorre ha una fede efficace. Cercano di toccare le frange del tuo mantello (Nm 15,39) per essere guariti. Credono davvero che chi viene a contatto con te, anzi, anche solo con qualche cosa di tuo, la salvezza di Dio inizia ad operare in lui. Tu sei il santo di Dio: chi tocca anche solo le frange del tuo mantello, indice della tua obbedienza al Padre (Dt 22,12), inizia il cammino della propria salvezza e della propria santificazione.

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Nihil obstat: Mons. Lorenzo Zani, cens. eccl., Trento, 23/04/2024