OMELIE / Omelie IT
06 ott 2013 06/10/2013 - 27ª Domenica Anno C
06/10/2013 - 27ª Domenica Anno C
1ª lettura Ab 1,2-3;2,2-4 * dal Salmo 94 * 2ª lettura 2Tm 1,6-8.13-14 * Vangelo Lc 17,5-10
Il profeta Abacuc sembra dar voce a quella preghiera che si nasconde in noi e spesso non abbiamo coraggio di rivolgere a Dio. Ci sono spesso attorno a noi ingiustizie tali da scoraggiare anche la nostra preghiera! Dio le vede, perché non interviene? Perché permette che esse facciano soffrire tante persone? Il Signore risponde: c’è una scadenza per ogni cosa, anche per l’ingiustizia, anche per la violenza. È importante che rimanga viva la fede, perché è questa la sorgente della vita. La fede non deve sparire, essa deve dare fiducia, sicurezza, abbandono alle mani potenti di Dio.
I discepoli di Gesù si accorgono che la fede è necessaria, soprattutto dopo che il Maestro ha parlato loro della necessità di perdonare. Come si fa a perdonare sette volte al giorno? Dove prendiamo la forza d’amore necessaria per una cosa che va tanto contro corrente, ma anche contro l’istinto naturale e normale che ci troviamo dentro? È in questa circostanza che fanno la loro richiesta accorata: “Accresci in noi la fede!”. Si è rallegrato il Signore di questa domanda? A prima vista noi diciamo che è proprio bella, e ci uniamo volentieri a loro. Accresci in noi la fede! Questa richiesta presuppone due cose: anzitutto che noi la fede l’abbiamo, e poi che essa sia insufficiente e che proprio lui, il Signore, debba darcene un supplemento. Qualcuno arriva a pensare e a dire persino che se non ha fede è perché Dio non gliel’ha data, incolpando Dio della propria incredulità. La fede è sì dono di Dio, ma non è detto che, se tu non ne hai, sia colpa sua. Egli può avertela donata, ma tu puoi averla nascosta, non l’hai mai usata, l’hai lasciata morire. La fede infatti è una relazione con Dio, relazione tra due persone: è quindi qualcosa di vivo, e come ogni realtà viva ha bisogno di essere coltivata, nutrita, curata.
Che cosa risponde Gesù alla domanda degli apostoli? Una risposta così non ce la saremmo aspettata! Egli dice che non occorre avere molta fede, perché essa, per quanto piccola sia, ottiene grandi cose. Ne hai tanta quanto un granellino di senape? - Il granellino di senape è così piccolo che nemmeno lo avvertiresti tra le dita! - Se ne hai un granellino ti basta, perché grazie ad essa avvengono grandi cose. La fede infatti è il tuo appoggiarti sull’onnipotenza di Dio, sulla potenza del suo amore, sulla sua carità. Da ciò comprendiamo che la fede c’è o non c’è. È un po’ come la corrente elettrica: se c’è, la lampada è accesa, se non c’è la lampada è inutilizzata.
E perché allora gli apostoli hanno chiesto un aumento di fede? Non utilizzavano la fede che già avevano. Non sapevano appoggiarsi sulla potenza di Dio, pensavano solo di dover avere qualcosa per poter contare su se stessi. La fede invece è proprio il contrario: io non ho niente, mi fido di te. Io non sono capace di nulla, mi affido alla tua capacità, o Dio. Non sono capace di amare e nemmeno di perdonare: tengo conto della capacità tua di perdonare e di amare.
Gesù continua la sua risposta aiutando i suoi a vivere una perfetta umiltà. Tu lavori? Fallo senza attenderti nulla. Considera la tua fatica un’attività dovuta, considera il tuo impegno come un dovere. Ritieni di essere solo un servitore che gode di servire. Lascia tutta l’importanza al tuo Signore, al tuo Dio. Lasci tutto a lui? Egli si sentirà impegnato per te, e per te impegnerà la sua onnipotenza. A chi è superbo o orgoglioso sembra esagerata questa umiltà, indegna della dignità dell’uomo. Ma chi ama Dio e chi è capace di amare il prossimo non si meraviglia, anzi gode di poter dire: “Siamo servi inutili”. L’atteggiamento che ne consegue è mitezza, è semplicità, è disponibilità, un atteggiamento che rende la sua persona gradita a chiunque, trasmettitrice di uno spirito di comunione e di fraternità. I veri benefattori dell’umanità sono stati e sono così. Gesù non ci inganna nemmeno su questo punto. Chi vive una siffatta umiltà non ci perde nulla, non è disprezzato da nessuno, anzi, è gradito e desiderato da tutti.
La coscienza di essere inutili, perché Dio è tutto, non è timidezza, quella timidezza che blocca ogni iniziativa. L’attribuire ogni merito a Dio è invece sostegno, come dice l’apostolo, ad essere forti, caritatevoli e prudenti. E il ritenersi poveri e incapaci è la base necessaria su cui poggiare la testimonianza al Signore Gesù, senza paura di credere in lui e per lui anche soffrire.
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